Resistenza in Francia d'un piccolo imbroglione di Lietta Tornabuoni
Due film politici: il più bello è «Un eroe molto discreto» Due film politici: il più bello è «Un eroe molto discreto» Resistenza in Francia d'un piccolo imbroglione CANNES DAL NOSTRO INVIATO Le imposture, le menzogne, le falsificazioni della politica dominano un film francese ben fatto e un film romeno mal riuscito. In «Un héros très discret» (Un eroe molto discreto), ispirandosi a un romanzo di Jean-Francois Derniau, attraverso la storia di un imbroglione che nel caos 1944-'45 dell'immediato dopoguerra si spaccia per un eroe antinazista, Jacques Audiard vuole smentire «la grande menzogna della Resistenza in Francia», attaccare quel mito di De Gaulle che servì ad occultare il fatto che «dal 1940 al 1944 la Francia sconfitta collaborò strettamente con il regime nazista». In «Trop tard» (Troppo tardi), ispirandosi a un romanzo di Rasvan Popescu, il romeno Lucian Pintilie, attraverso un'inchiesta giudiziaria su alcuni assassina commessi oggi nel fondo della miniera di carbone di Petrosani nei Carpazi, vuol denunciare «la persistenza in Romania del comunismo riciclato», il falso mito del cambiamento, la vecchia dirigenza partitica «riconvertita in una classe di nuovi ricchi». Il film di Audiard è migliore delle sue teorie del resto non nuove, già sostenute da alcuni storici francesi revisionisti e illustrate al cinema oltre un quarto di secolo fa da Marcel Ophuls nel memorabile documentario «Le chagrin et la pitie». Il protagonista Mathieu Kassovitz (il regista de «L'odio») è bravissimo nel personaggio dell'orfano d'un falso eroe affascinato nell'infanzia dagli eroi dell'avventura, giovane senza qualità che sembra trovare identità soltanto nel costruirsi e recitare con scrupolo, fatica e attenzione un personaggio eroico inesistente; i modi misti della narrazione (realistici, surreali, con immissione di documenti d'epoca) sono molto efficaci. Il film di Pintilie è peggiore dell'ambiente in cui la vicenda metaforica si svolge. Nel 1990, impressionarono il mondo le immagini televisive di migliaia di minatori dei Carpazi coi loro caschi, i bastoni, gli abiti da lavoro, chiamati nella capitale Bucarest a sostegno del presidente Iliescu e del primo ministro Petre Roman: quasi un esercito proletario, un gruppo d'assalto venuto da barbare condizioni di lavoro, un Corpo scelto del passato. In Romania battezzarono Mineriade quell'avvento che si ripetè con la stessa funzione per quattro volte: «Le ultime due volte ci furono anche delle vittime, i minatori vennero utilizzati come una milizia politica paramilitare manipolata dai governo», dice il regista. Nel film, l'inchiesta del procuratore Costa si svolge appunto tra quei lavoratori; l'indagine simbolica rimane senza esito, giacché non esiste divisione tra poteri politici e poteri giudiziari, e il potere politico mutato soltanto formalmente non ha interesse a far emerg-sre una verità: il cadavere vivente del comunismo sopravvive nel sottosuolo, uccide, non può essere eliminato se sono le au¬ torità (sempre gli uomini d'un tempo) a mantenerlo in vita per i propri interessi, non muore ma resta in giro portatore d'una bomba pronta ad esplodere. Restano nella memoria quelle masse di reietti resi brutali o pazzi dal lavoro in miniera, quelle centinaia di corpi nudi sotto le docce primitive, quell'inferno di cunicoli infestati dai topi e dalle melme nere, resi pericolosi dalle strutture di sostegno cadenti: ma il film è troppo oscuro nell'intricata metafora, troppo semplice nello stile. Il titolo «Troppo tardi» è un grido di catastrofe, secondo il regista: «Quando la mafia sostituisce il Partito, quando il destino dei "Miserabili" di sempre è diventare una riserva di oranghi programmabili, quando non c'è più alcuna resistenza e non rimane che l'esilio, è troppo tardi per tutto». Lietta Tornabuoni Nel romeno «Troppo tardi» il cadavere del comunismo sopravvive nelle miniere Trintignant. A destra Mathieu Kassovltz, Jacques Audiard e Sandrine Kiberlain
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