Tiepolo nettare d'affresco di Marco Vallora

A 300 anni dalla nascita si è aperta la stagione delle grandi mostre A 300 anni dalla nascita si è aperta la stagione delle grandi mostre Tiepolo, nettare d'affresco Colori e storie di un geniale scenografo DWUERZBURG AVVERO, nessuno può dire di conoscere davvero Giambattista Tiepolo se Inon s'è insinuato almeno una volta entro quella scatola delle meraviglie e delle proiezioni affabulate, che è l'affrescata Residenz di Wurzburg, dove il cinquantenne veneziano imparentato per via di matrimonio con i Guardi, insieme ai figli Giandomenico e Lorenzo, ancora quindicenne, profuse il suo genio scenografico e il suo talento nemmeno così facile, come parve a tutta un'impressionante sequela di tradizione critica ostile. Troppo seducente: eppure soltanto chi è penetrato in questa gabbia felice di colori e di storiette, in questa liberante voliera di immaginazione e serenità - che nonostante l'acciabattarsi esasperato e formicolante del solito anfanante pubblico-grandi mostre (che poi siamo giocoforza anche noi, uno più uno) si libra nella luce immateriale annientando la rumorosa realtà intorno - ebbene, solo chi ha avuto la fortuna di abbeverarsi a questo nettare cristallizzatosi in polvere d'affresco, può capire che cosa tentiamo di dire. E' vero che spesso il Tiepolo può risultare anche zuccheroso e vacuo, confetturiere e stilista di troppi drappi e sete e pasticcerie: ma qui, poco dopo l'incanto illusionistico del Palazzo Arcivescovile di Udine e lo splendido Ritrovamento di Mose, talmente ardito di scorci che un collezionista bigotto lo sezionò per «migliorarlo», qui il macchinoso artificiere di stupori coreografici è davvero al suo vertice. Perfin più rilassato e libero e un poco meno «capriccioso» che negli ardimenti prospettico-architettonici del Palazzo Clerici di Milano. Insomma, non ha più bisogno di mostrarsi bravo e virtuoso a tutti i costi e rimane sì pneumatico e fiorescente, com'è suo costume, ma con una sprezzatura confidente e serena, una superiorità magnanima e distesa, musicale, vorremmo dire, ma senza troppe trombe e timpani e clarini, insomma veneto-vivaldiana, che forse per lui non ha eguali. E poi il ruolo del prodigioso, del numinoso, addirittura, lo aveva già assolto lo straordinario artefice-progettista Balthasar Neumann, di formazione forgiatore di campane e architetto militare, che profuse per questa reggia tutta la sua sapienza. E che Tiepolo, nel suo concerto della volta, dove stanno al sipario divinità mitologiche e Ore alate e volteggianti Stagioni, ritrae (forse già in memento funebre, essendo stato colpito, lui così bulimico di spazio e grandezza, d'un cancro allo stomaco) come pacificato colonnello d'artiglieria disteso sul suo cannone, col veronesiano setter dalla coda d'alano, ibrido d'eleganza. Un cannone non solo come simbolo di provenienza militare, ma perché celebre rimase la sua boutade: potete far esplodere qui dentro una palla da cannone ma la mia volta reggerà. Volta di oltre seicento metri quadrati, una vera scommessa e forse l'affresco più vasto del mondo. Che Tiepolo esegue nella rapinosità più impressionante se pure distesa: non più di un anno. Ed è emozionante, nella mostra di corredo, che poi si rafforzerà raggiungendo New York, vedere come nasce, nella semplicità casta e mordace della sanguigna, della rabdomantica matita, della biacca bianca che inventa le ombre senza bruciare la carta azzurrina, assistere al prodigio del nascere di queste spume senza peso, di questi racconti sospesi e liberi da ogni dogma iconografico: che se ne impipa persino del terrorismo professorale del Ripa, affiancando l'Africa al cammello e mettendo l'Asia a cavalcioni dell'elefante, cioè sovvertendo ogni regola prestabilita. E soprattutto in luogo della tronfia Geografia ponendoci una materna Pittura, che genera tutto questo trionfo ottico. E probabilmente, nelle more dell'inverno, che non lasciava spazio alla tecnica delicata dell'affresco (prima del grande salone del Treppenliaus i Tiepolo avevano già decorato il soffitto del Kaisersaal, con tutta la machinerie sacro-politica di Apollo che sposa Beatrice di Borgogna al Genius Imperli ovvero il Barbarossa) ci si sbizzarriva con progetti futuri, bozzetti ambiziosi, esercitazioni estemporanee: e come vien su bene il fanciullo Lorenzo, che un giorno la storia dell'arte dovrà studiare con meno senso di sufficienza: («compilava ritratti di ragazzi meglio di Cocteau» sorride Arbasino). Sin dai suoi stenografici disegni, appunti diaristici di estremità in riposo o di nuche decorate dalle alghe, è la velocità d'intuito, di presa della realtà, che sorprende, In questo quasi coetaneo di Bach, ma che non partecipa assolutamente alla sua quadrata castità strutturale: tutto è velo e volo e spuma, galateria mentale rubata e immaginosa, capriccio malizioso e decorativo. In questo aveva ragione il suo coetaneo Zanetti, che parlava di «lucida imprecisione», del suo «pregio d'inventare e inventando di distinguere unendo a ciò una esatta intelligenza di chiaroscuro ed una lucidissima vaghezza». Questa sua capacità teatrale d'essere insieme preciso e inafferrabile, illustratore fedele ma anche magico illusionista. Lavorava con impressionante prestezza, al punto da far dire a Winckelmann: «Dipinse più Tiepo¬ lo in un giorno che Mengs in una settimana; ma Tiepolo è già visto e dimenticato, Mengs, invece, immortale». Eccoci qui, infatti, in coda reverente. Quando arriva a Wurzburg Tiepolo è già riverito e conteso, amico e consigliere dell'Algarotti, per esempio, anche se non poi così amato. Ha avuto il lusso di rifiutare inviti regi a Stoccolma, che lo retribuiva troppo poco mentre qui è pagatissimo, 30.000 fiorini per soffitto, più di un decimo dell'entrata erariale di un anno, in questo piccolo staterello francone di principivescovi: che obbligano la cittadinanza ad ospitare legioni di contadini che lavorano ininterrottamente a questa reggia, che il filosofo Hume trova «forse meno immensa ma più completa e elaborata di Versailles». E Tiepolo non aveva ancora posato il suo miracolato pennello. Ma il vero miracolo, qui, si mani¬ festa quando si accede al grande scalone del Treppenliaus, che è articolato in varie «stazioni» della felicità, in una vera via delitiae: ed è ovvio che qui Tiepolo abbia studiato proprio questo effetto sorprendente di visione progressiva e graduale. Tu sali dai diciassette metri di profondità della baso, moti continuamente di prospettiva, ti elevi sino alle vertigini della prima galleria e via via ti si schiude questo immenso cielo di nuvolose figure e di esotiche allegorie, trafitte da coccodrilli giocherelloni e da eleganti pie nic cannibalici. E forse un margine di intuizione possiamo concederla a Longhi clic «stroncò» Tiepolo come Cecil B. De Mille della pittura, artista in technicolor: perché effettivamente qui s'inventa già una camera pietà cinematografica, che ti viene incontro, cangia le prospettive, corre come un cielo di nuvole. Pittura-passeggiata. Ma è impressionante guardare, tra tanta levità mitologica, quell'autoritratto goyesco e pensoso dell'artefice che si ritrae in un'ansa degli stucchi del Bossi e soprattutto quella figura ritorta del Pittore, che durante il banchetto dei cannibali nasconde il proprio volto sotto la cartella degli schizzi, come ad occultare la vergogna del proprio mestiere. Marco Vallora A sinistra: la «Residenz» di Wurzburg. In alto: un particolare di «Africa». A destra: i «due trombettieri»

Luoghi citati: Africa, Asia, Milano, New York, Stoccolma, Udine, Wurzburg Tiepolo