L'arte del «taglia e cuci» di S. Cap.

Società L'arte del «taglia e cuci» Da Vivaldi a Rossini a Brahms i virtuosi della citazione A chacona era una danza molto ballata nel '600 spagnolo, di movimento piuttosto lento e ostinato. Ne sono state scritte migliaia, però oggi ci ricordiamo soltanto quella che per nostra fortuna ha «copiato» Bach per il suo violino. Grazie alle antiche derive dei musici vaganti, sempre a caccia di lavoro e di committenti, una melodia popolare bretone è finita nel canto del tenore nei Vespri della Beata Vergine di Claudio Monteverdi. Se invece che dai colleghi si copia da se stessi, l'operazione si chiama «autoprestito». Nel genere, Rossini era un autentico virtuoso: non aveva mai abbastanza tempo per la quantità di opere che gli venivano richieste e nutriva gran fiducia nell'assenza di ogni meccanismo di riproduzione del suono. Una sinfonia o un temporale che il pubblico di Napoli avevano già ascoltato, suonavano nuovissimi a Bologna, Venezia o Parigi. Oggi il gioco è più difficile, e i compositori scrivono meno opere, anche se il «taglia e cuci» rimane prassi diffusa, o per improvvisa vacanza dell'estro creativo o, ancora, per la fretta. Diceva Massimo Mila: «Come si può pretendere che Pierluigi da Palestrina, autore di sette libri solo di messe, trovasse ogni volta una diversa ispirazione?». «Vivaldi ha scritto seicento volte lo stesso concerto», protestò Stravinskij esasperato contro l'improvvisa esplosione della moda vivaldiana. Curioso destino per un autore dimenticato per oltre due secoli e oggi abusato. Il genio russo era stato ingeneroso e sincero: parlava infatti anche di sé, del rischio fortissimo dell'autocitazione di maniera. La crìtica del testo musicale è il titolo di un'antologia di saggi appena pubblicata dalla Libreria Musicale Italiana dove un bel numero di studiosi si diverte a scovare esempi di copiatura nel periodo barocco e settecentesco, alla ricerca del «testo» originale, capostipite. La filologia è diventata implacabile: i manoscritti viaggiano via Internet, verità nascoste da secoli vengono a galla. «Sposa, son disprezzata», una delle arie meravigliose di Vivaldi, deriva da «Sposa, non mi conosci» di Geminiano Giacomelli, che senz'altro avrà ripagato il veneziano con la stessa moneta. Giocava anche un senso di solidarietà corporativa: i musicisti lavoravano tanto, erano pagati poco e il talento non sempre rispondeva prontamente all'appello del committente. Il violinista Eduard Reményi fece conoscere a Brahms alcune melodie popolari ungheresi. Quando il compositore presentò le proprie Danze ungheresi, Reményi ebbe un attacco di gelosia e accusò il maestro di plagio. Non aveva capito la differenza, e neppure che soltanto grazie a quell'episodio i posteri si sarebbero ricordati di lui, troppo fedele all'idea romantica dell'opera unica e irripetibile per cimentarsi con il concetto contemporaneo di work in progress, di stesura mai definitiva. Le citazioni, le allusioni, i richiami fanno moda, postmodernissima tendenza, e le nostre orecchie, logorate dall'uso, dai riferimenti, dai precedenti, stentano ormai nel riconoscere la novità che merita rispetto, o addirittura la rifiutano, sfinite. E si placano ascoltando il già udito. [s. cap.]

Luoghi citati: Bologna, Napoli, Parigi, Venezia