In coda aspettando il miracolo

13 Dopo le polemiche di Milano, nuovo raduno vicino a Imperia In coda, aspettando il miracolo Assedio di folla per monsignor Milingo ALLA CORTE DEL VESCOVO AFRICANO CERVO (Imperia) DAL NOSTRO INVIATO La parrocchia di San Giovanni Battista ha l'aspetto di un castello, così in alto, attorniata dalle case, che sono piccole e fragili e come in cerca di difesa. Quassù si è ritirato monsignor Emmanuele Milingo, il vescovo africano che «predica e guarisce», il vescovo che è stato cacciato dalla diocesi ambrosiana perché, lo ha informato il cardinale Carlo Maria Martini, «non licet», non è lecito far sperare così la gente. Perché è stato allontanato da Milano, monsignore? Milingo ha il volto tondo, l'espressione serena, la parola pronta e una spiccata vena polemica. Quell'ordine dev'essergli costato di più che ai suoi fedeli che si radunavano in un capannone ad Arluno e non pensavano di non esser più i prediletti. Allora, vescovo, perché l'hanno allontanata? «Io questo non lo posso dire. E' meglio domandare a lui. Io facevo in modo di essere vicino alla gente e la gente veniva, dalla Svizzera, dalla Germania, dalla Francia, dall'Austria. Sì, è lui che deve rispondere». Non dice «lui, il cardinale». Poi, ci ripensa: «Non voglio giudicare il cardinale Martini, non è mio compito, non posso giudicare...». La gente, ora, accorre e affolla questa parrocchia aggrappata al colle e per tutta la mattina ha chiesto di poter parlare con Milingo, perché lo chiama così, semplicemente, e cerca aiuto e confidenza. Soprattutto una ragione per avere speranza. C'è don Maurizio ad organizzare, e sembra un impresario con cento occhi: chi è stato pronto, e ora stringe in pugno il numero, potrà avvicinare il vescovo, parlargli, confidarsi con lui. Ma in fretta, perché il tempo è poco e la gente tanta. «La benedizione, la benedizione», implorano quelli che scorgono Milingo, alla fine della mattinata, e aspettano lì davanti all'altare, per un sorriso, un gesto, un segno. E hanno accompagnato col canto Ornella Rigamonti Valenza, 41 anni, una biondina che fa parte del «Gruppo rinnovamento dello spirito» e gioca con la chitarra, e possiede una voce limpida. «Un dono del Signore», spiega lei. La messa, nel pomeriggio, e ci sono quelli che vorrebbero un miracolo, perché soltanto se avverrà un miracolo pensano di poter avere ancora una speranza. C'è un bimbo, alla destra dell'altare, forse 3 anni, il volto bello, sereno. E' adagiato su un passeggino e pare dormire. Niente lo sveglia, né i canti né la gente. Sembra sereno, ed è lì, immobile. E il dramma lo leggi negli occhi rossi del padre, sulla trentina, che guarda quella sua creatura, l'accarezza, e con gesto delicato la solleva per farle cambiare posizione. E il bimbo rimane immo- bile, indifferente. Così senti la pena che ti entra fin nel cuore. Un miracolo, se no che cos'altro? Milingo è davanti all'altare e il coro intona: «Uomo di Galilea che passando vai, ti prego di guardarmi, ti prego di toccarmi che guarito io sarò...». Un miracolo. Il vescovo ha spiegato che non è lui a compierli i miracoli, «è la preghiera». La sua voce è chiara, anche se l'accento è un po' bizzarro e le frasi un po' monche. La gente tace. Non sono io a chiamarli, sono loro a venire da me, ha detto un giorno, chissà se per giustificarsi o difendersi. Il tempo, non basta mai. «(Anche Lui, non aveva il tempo di essere insieme con i suoi parenti», mormora Milingo. E vuol dire Gesù. «Io sono soltanto uno strumento, aveva detto, nella parola di Dio c'è speranza, la soluzione di tanti problemi». E anche: «Nessuno di noi che pre¬ ghiamo, per gli ammalati, predichiamo la parola di Dio, cacciamo il demonio, nessuno ha fatto questo per un suo proprio potere. Ritorniamo sempre a quello che ha detto Gesù: attirare la gente a noi stessi, attirare la gente a Dio». Ora c'è quel bimbo, così fragile e così fermo, lì accanto, accarezzato dallo sguardo del padre o da un raggio di sole. Un miracolo. Un'infermiera, brunetta, sulla trentina, dice, il tono risentito: «Ma perché parlano di lui, di Milingo, come di uno stregone? Ho una cosa da testimoniare. Un uomo di 52 anni, un imprenditore, aveva un tumore alla parotide, ormai senza voce, quasi senza l'uso delle gambe e, secondo i medici, con non pili di due mesi di vita. Fu accompagnato da monsignore, ad Arluno. Sì, non volevano più fargli la chemioterapia o il cobalto. Ma, dopo quella visita, lui preteso quello cure. Ed è guarito, senza disturbi e senza alcuna ragione apparento». Come si chiama, quest'uomo? «Non posso rivelarlo». E lei, come si chiama? «Non posso dirlo, senza l'autorizzazione». Autorizzazione di chi? «Di don Maurizio...». C'è un'aria strana e una luce irreale e un silenzio inquietante, nella chiesa barocca di San Giovanni Battista, nella quale d'estate vengono suonati concerti di musica da camera. Monsignore ha proso spunto dal Vangelo secondo Giovanni e dico che «la parola di Dio è sempre fresca. Non è vero che se abbiamo sentito una parola del Vangelo lo abbiamo capito tutto». «Non lo vedo, non lo vedo», supplica la voce di una ragazza, bruna, dal volto affilato e gli occhi grandi, seduta sulla panca nella prima fila. «... Il più grande fra voi deve essere ultimo», ammonisce Milingo. E la ragazza crolla, si agita, urla e un uomo con i baffi lo afferra i polsi, la trattiene. «Ti prego, ti prego...», le mormora. «Non voltatevi», ordina la voce dura di una del servizio d'ordino. «Guardate l'altare, soltanto l'altare». E poi: «Pensate che si parla della liberazione dello spirito dalla materia». La materia è anche una casa acquistata dal Gruppo a San Michele ad Arentino o che dovrà diventare la sede dei discepoli di monsignore. Al momento della questua, il parroco, don Maurizio, ricorda che il costo è di 260 milioni. Forse, Milingo non avrà problemi, da queste parti. Contrariamente al cardinale Martini, che ha le sue idee, monsignor Mario Olivieri, vescovo di Albenga e Imperia, fa dire al suo segretario, don Antonello Dani, di «non avere nessun parere». E Vittorio Dosiglioli, vicesindaco di Cervo, osserva: «Abbiamo accettato la scelta del parroco di portare questa persona che, altrove, non è troppo gradita. Lo sopportiamo: è una scolta religiosa. Dal punto di vista personale, beh!, io sono cattolico e pidiessino, e non sono molto d'accordo con questa cosa». Porche? «Perché si può accettare l'idea di un guaritore soltanto come ultima ratio». Forse perché è nero? «Ma no, questo non succede dalle nostre parti. Siamo sempre stati invasi, dai meridionali, dai piemontesi, ora da marocchini e tunisini. No, il colore per noi non vuol dire niente». La gente aspetta un segno, lì nella chiesa. E monsignore ammonisce: «Amore non significa che dobbiamo distruggere, umiliare, mettere da parte gli altri». Due lacrime rigano il volto di quel padre che con gli occhi copre ancora il suo bimbo immobile. Vincenzo Tessandori Accorrono malati e curiosi. E c'è anche chi urla: «Non chiamatelo stregone». Lui: «Non sono io a fare i prodigi, è la preghiera» Monsignor Milingo durante la cerimonia di ieri a Cervo, vicino a Imperia e, qui accanto, i fedeli in attesa di sentirlo parlare