«Italia ingrata con la città» di Guido Vergani
«Italia ingrata con la atta» «Italia ingrata con la atta» Strehler: ma io ringrazio la giunta IL FONDATORE DEL «PICCOLO» FMILANO INALMENTE, dopo 42 anni di promesse e 13 di cantiere, eccolo il «Piccolo» di Marco Zanuso: la sala color rosso scuro, compatta, raccolta nonostante i suoi 1100 posti; le barcacce per gb' «ingressi» in piedi che Giorgio Strehler ha voluto nel ricordo dei vecchi teatri e della sua giovinezza di spettatore in tandem con Paolo Grassi; il palcoscenico tecnologico. Soprattutto, ecco Strehler e la sua indignazione: «Lavoriamo per la prima volta in questo nuovo teatro. Non dovrebbe essere una solennità. Stiamo festeggiando una cosa vergognosa. Dovremmo avere toni funebri, perché celebriamo anni e anni di incapacità, di bassezze. Milano è l'emblema del disinteresse, dell'ignavia di questo Paese verso la cultura. Avremmo dovuto entrare qui nove anni fa... Adesso, abbiamo un teatro. Troppo tardi. Non per me che sono ancora vivo e abbastanza vivido. Troppo tardi, per l'immagine di questa città, della sua industria, delle sue banche, del suo potere che non hanno avuto alcuno slancio verso il "Piccolo". Vogliono che, come i calciatori, noi si indossi la maglietta con il nome dello sponsor? Siamo prontissimi a farlo». Nel quarantanovesimo compleanno del Piccolo, Strehler ha riunito gli attori di «Madre Coraggio di Sarajevo» nella sala prove, mentre una parte dell'edificio è ancora nelle mani dei muratori. Gli stanno attorno Giulia Lazza- rini, Fiorenzo Carpi, Moni Ovadia e molti giovani attori. Un po' discosta, Nina Vinchi che, cardine per quasi mezzo secolo del «Piccolo», non si è «seduta» nella forzata pensione e progetta ima fondazione a sostegno del «suo» teatro, per il quale il regista pensa a un'attività polivalente. Per quasi due ore («Dicono che mi parlo addosso e non smentirò questa vecchia fola»), Strehler ha intrecciato l'amarezza all'entusiasmo di chi, nonostante tutto, ha voglia di fare, di avviare una «seconda rivoluzione teatrale», dopo quella accesa dal debutto del «Piccolo» nel 1947, quando «il nostro panorama era fermo al 1860 e noi lo abbiamo portato a livello della contemporaneità europea». Si è rifatto all'«Assassinio nella cattedrale» di Eliot per affermare, come quel cardinale nell'omelia pasquale, che «questo evento deve al tempo stesso farci gioire e farci piangere». Ha chiesto allo Stato, ai poteri pubblici il trattamento che stanno mettendo a punto per la Scala, la fine di tasse e balzelli, la possibilità di lavorare su progetti non stagionali ma almeno biennali: «Se no, faranno senza di me. Non è più il momento di giocare sul mio nome e sulla mia disponibilità. Mi ritirerò e mi dedicherò all'insegnamento». Su questa minaccia, la sparatoria polemica si è conclusa. Strehler ha aperto il copione di Brecht per la prima lettura del testo che andrà in scena verso metà luglio, «anche se non ci saranno le poltrone, i camerini, i gabinetti, perché noi saremo ineccepibili, daremo tutto, io vi porterò a dare tutto». Simbolicamente, Strehler ha deciso di provare in mezzo ai lavori in corso, ha rotto gli indugi anche per spronare la traballante giunta leghista a finirli, questi sempiterni lavori a cui, dopo un decennio di sabbie mobili tangentare e politiche, hanno dato una scossa prima il sindaco Piero Borghini, affidando i lavori alla Metropolitana Milanese, e poi il duo Formentini-Daverio che ha fiatato sul collo dei responsabili del cantiere. «Dicono che io mi sono venduto alla Lega. Semplicemente, ringrazio sindaco e assessore di avere mantenuto le promesse. Hanno preso un teatro a metà e lo hanno portato a tre quarti. Questa sorta di debutto è per dargli l'ultima "pettata", come dice Pirandello nei "Giganti", l'ultima spinta». Guido Vergani «Il teatro era a metà, ora è a tre quarti» Giorgio Strehler «anima» del Piccolo Teatro
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