«Romano? E' la scuola dc Se ne frega degli alleati» di Augusto Minzolini

«Romano? V la scuola de Se ne frega degli alleati» ... .. «Romano? V la scuola de Se ne frega degli alleati» LE DUE ANIME DELLA MAGGIORANZA UROMA N testimone ma d'eccezione come Fausto Bertinotti, che ha partecipato all'assemblea degli eletti della maggioranza che sosterrà il govemo Prodi, quella sensazione dentro il cinema Capranica l'ha percepita subito. «Prodi - spiega - andrà avanti da solo. Se ne frega degli alleati. Prima lo lui fatto nella scelta di portare Di Pietro al governo, infischiandosene del fatto che tutti erano contrari. Poi quando ha deciso i sottosegretari. Oggi nella riunione era evidente quello che sta avvenendo: i capigruppo schierati e Berlinguer che gli tira la volata. Prodi che decide di dialogare direttamente con me, e D'Alema che visibilmente è incavolato .nero, Eppòi in .quello che dice Prodi, nel suo modo di fare c'è il messaggio "l'Ulivo sono io". Il suo progetto è quello di far diventare quell'assemblea un soggetto politico. Voglio vedere come farà D'Alema a fermarlo visto che già un terzo del pds sta con lui. Prodi è un democristiano, va avanti e basta. L'ho capito quando mi ha telefonato e mi ha detto: "Ti passo Micheli che sarà il mio sottosegretario". Capito! Ha scelto il direttore generalo dell'Iri, della sua Iri. Dicono che noi siamo sotto ricatto, che non possiamo far cadere il primo governo della sinistra. Ma noi dobbiamo rispondere solo al nostro 8,6 per cento. Se Prodi va avanti su questa strada D'Alema sta peggio di noi. Come farà a rompere con il governo l'uomo che guida il più forte partito della coalizione? Per questo Massimo mi è simpatico, io sto sempre con i più deboli». Un altro testimone che sta all'altro capo della maggioranza di governo, Giorgio La Malfa, che pure con Bertinotti non ha nulla che spartire, ha respirato nella riunione la stessa atmosfera. «La notizia di oggi - racconta in mezzo al Transatlantico di Montecitorio - è la freddezza dell'assemblea nei confronti di Prodi. Mi viene in mente che Berlinguer ha addirittura fatto una pausa nel presentare Romano, si aspettava un applauso che non è venuto. Eppoi, Del Turco che va in tribuna per dire a quello che sarà il suo premier: "Professore, gli esami non finiscono mai..." Roba da matti. Lui, comunque, va avanti deciso, per questo c'era quell'atmosfera». Forse domani sarà diverso, forse tra una settimana sarà tutto cambiato, ma quello che sta andando in scena in questi giorni è il «decisionismo» di Prodi. Lo si sente nell'aria, lo si legge sui volti degli alleati del premier e nelle dispute di corridoio. E', appunto, una sensazione che aleggia, che si sentiva ieri anche all'assemblea degli eletti dell'Ulivo al cinema Capranica. In quella sala c'era il mondo variegato delle tante anime dell'Ulivo gelose della propria identità, c'era la pattuglia degli uomini di Lamberto Dini, c'erano gli alleati, tanto necessari quanto insidiosi, di Rifondazione Comunista. C'erano le donne del pds, perlopiù vestite in rosso secondo la moda in voga dalla sera del 21 aprile. C'erano i popolari che avevano sottobraccio il volume dei discorsi di Aldo Moro. C'erano gli ex repubblicani come Libero Gualtieri ancora incavolato con Bertinotti per quella sortita contro la Nato e che, ovviamente, per non far rivoltare Giovanni Spadolini nella tomba ha ripetuto per due ore: «Durante la guerra del Golfo dissi al Senato che l'unico governo che riconosco è quello americano e non tomo corto indietro». Ed ancora c'erano le tante dispute sul governo: Marini che dava per sicuro il ministero della Difesa a Maccanico; Fassino che rivendicava lo stesso ministero per il pds; Berlinguer interessato alle voci che lo volevano alla Pubblica Istruzione. Ma ieri, in fin dei conti, in quella sala c'era soprattutto Romano Prodi, il prossimo premier che più passano i giorni e più osa, il personaggio che si è messo in testa che con uno strappo oggi e uno domani quella macedonia di storie, di idee, di ambizioni, di orientamenti diversi potrebbe diventare un unico soggetto politico: lo schieramento dell'Ulivo, alias il partito democratico. Se si vuole dare un minimo di spessore alla «telonovela» dei ministeri, alle microguerre tra il premier e i leader dei partiti della sua maggioranza, bisogna partire da qui, dal progetto che divide il professore dai suoi principali alleati. Solo questa lettura dà un senso alla caparbietà con cui Romano Prodi ha difeso - e continua a difendere - la scella di chiamare Di Pietro nel governo e la candidatura del suo amico d'infanzia Giovanni Maria Flick al ministero di Grazia e Giustizia. Solo in questa logica si capisce perché il premier si arrischia a dire in pubblico che il pds non può pretendere di avere contemporaneamente il ministero dell'Interno e quello della Difesa, perché continua a mantenere in campo l'ipotesi di Antonio Maccanico, perché a convincerlo non bastamo le dichiarazioni di Fassino o l'incontro di ieri pomeriggio con D'Alema. Il professore vuole dimostrare clic è lui a decidere gli equilibri interni alla coalizione, che e lui a rappresentare lo schieramento. «Le scelte sul governo sono importanti - è la spiegazione che dà una tifosa del professore! come Rosy Bindi - perché il governo è il veicolo per far diventare l'Ulivo un soggetto politico». Il conflitto tra chi vuole far nascere davvero l'Ulivo e chi vuole difendere l'identità tli partito ieri in quella sala e aleggiato come non mai. Tutti hanno fatto finta di niente, tutti hanno cercato di non parlarne, eppure quella sensazione si è sentita, eccome. Ha infastidito Massimo D'Alema, probabilmente non è piaciuta a Franco Marini, ma sicuramente ha inebriato gente come Rosy Bindi o i pidiessini che la pensano come; Walter Veltroni. E' un contrasto tra duo modi di vedere l'Ulivo, che in questi giorni ha pesato sulle scelte per la composizione del governo, e che ieri in quell'assemblea ha avuto un nome. E' l'idea che ha spinto Gianclaudio Bressa, presidente dei comitati Prodi, a dire: «Vedrete, dopo i riti come questa riunione, arriverà anche la sostanza, li' l'unico modo per far crescere tutti quelli che sono qua dentro». 0, ancora, il pidiessino Falerni a spiegare: «Vedrete che alla fine le logiche ferree del maggioritario spingeranno anche D'Alema a cambiare». Ma è anche la paura elio ha costretto Ottaviano Del Turco a mettere le mani avanti: «Un leader carismatico-ha fatto prosente dalla tribuna - non può ridurre il significato delle diverse esperienze». Eh si, la partita tra il tandem Prodi-Veltroni o i leader dei partiti della coalizione è cominciata sui nomi dei ministri e continuerà su molte altre cose. Vedremo se alla fine i diversi partiti si scioglieranno nell'Ulivo, o so, invece, si scioglierà l'Ulivo e rimarranno solo i partiti. Augusto Minzolini Bertinotti: Massimo mi fa pena. E' furioso e non può rompere La partita tra Prodi-Veltroni e i leader dei partiti della coalizione è iniziata sui nomi dei ministri e continuerà su tutto il resto Da sin. D'Alema con Bertinotti e Giorgio La Malfa