La guerra, una catena di Alessandra Levantesi
E da un libro scandalo amori e dolori di «Giude» E da un libro scandalo amori e dolori di «Giude» La guerra, una catena Tolstoj e la sua attualità CANNES. Inizia al suono di un'allegra marcetta militare «Il prigioniero del Caucaso» di Sergej Bodrov, che parla dell'inutilità e ineluttabilità della guerra. L'ispirazione viene dall'omonima novella di Tolstoj, soprattutto nell'idea che la Storia si ripete e i contrasti fra popoli e culture divisi da secoli rimangono insanabili. Quanto all'attualità, ha fatto irruzione nel film per proprio conto: nel dicembre '94, mentre il regista preparava il progetto pensando r.gli avvenimenti in Jugoslavia, scoppiava la guerra civile con la Cecenia, cosicché le riprese sono state realizzate a 300 chilometri dalle zone belliche, nel villaggio di Reki, isolato fra le montagne e abitato tuttora dall'antica gente agul. La vicenda è semplicissima. In un'imboscata l'anziano ceceno Abdul cattura il sergente Sacha e il soldatino Vanja per scambiarli con suo figlio, tenuto prigioniero dai russi. Purtroppo le cose non vanno come dovrebbero. Verrà giustiziato Sacha che in un tentativo di fuga uccide due uomini e cercando di scappare dal carcere morirà anche il figlio di Abdul. Il quale al momento di sparare decide di rinunciare alla vendetta e lascia libero Vanja. Intanto però arrivano gli elicotteri sovietici pronti a bombardare il villaggio. La morale è che la catena della violenza è senza fine, tutti si sentono irrimediabilmente nemici, salvo l'innocente Vanja che riesce persino a instaurare un timido rapporto di simpatia con una graziosa fanciullina locale. Il difetto è che, pur girato neorealisticamente sul posto, il film non ha abbastanza tenuta stilistica e questo indebolisce la portata del suo messaggio. Paradossalmente se lo sguardo sulla comunità caucasica con i suoi usi e costumi resta «esterno», le scene più coinvolgenti sono quelle fra Oleg Menchikos (Sacha), l'eccellente antagonista di Nikita Michalkov in «Sole ingannatore» e il credibile Sergej Bodrov jr. (figlio del regista), che rientrano nell'ambito di una collaudata tradizione drammaturgica. Sempre alla Quinzaine (ieri a «Un certain regard» è passato il nostro «Compagna di viaggio» di Peter Del Monte), l'inglese Michael Winterbottom con «Giude» si richiama alla letteratura traducendo sullo schermo «Giuda l'oscuro» (1895), l'ultimo romanzo di Thomas Hardy: libro scandalo all'epoca (fu bruciato da un vescovo) e oggi da alcuni considerato un capolavoro e da molti criticato per la discontinuità. I temi por¬ tanti sono due: la naturale vocazione alla cultura del povero orfanello Giuda che a prezzo di enormi sacrifici studia da autodidatta nella speranza vana di poter accedere un giorno all'università; e il suo amore, dopo un precoce matrimonio con la sensuale Arabella, per la cugina Sue, che è vittoriana nella fobia per il sesso ma emancipata nello spirito. Per cui preferisce la convivenza libera al vincolo coniugale, a costo dell'ostracismo sociale e con impreviste e tragiche conseguenze. Siamo cinquant'anni in anticipo, dice Giuda nel romanzo pri¬ ma di morire. Come suo ideale pronipote, Winterbottom afferma di essere partito proprio da questo. In effetti la sua lettura accentua i lati protofemministi di Sue (incarnata appropriatamente da Kate Winslet), l'immagine ha un'impronta naturalista insolita in un film in costume, la relazione sentimentale è tratteggiata a piccoli tocchi quasi alla Truffaut. Ma alla fine si ha la sensazione che questo film per molti versi pregevole non abbia trovato la sua vera motivazione. Alessandra Levantesi
Luoghi citati: Cecenia, Jugoslavia
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