A Hebron, tra i folli di Dio che sognano il martirio di Fiamma Nirenstein

A Hebron, tra i folli di Dio che sognano il martirio A Hebron, tra i folli di Dio che sognano il martirio NELLA CITTA' DELL'ODIO u HEBRON N padre con gli occhi azzurri, un breve mitra appeso alla spalla muscolosa, tre bambini che lo circondano. Dà retta a tutti, ha tempo per tutti. Non distribuisce noccioline, né pop-corn, bensì cetrioli con la buccia da mangiare a morsi, spicchi d'arancia gocciolanti vitamine. Bambini meravigliosi, che respirano aria pura: guance rosse, occhi puliti. «Viviamo da cinque anni a Hebron, ho 26 anni, mia moglie ne ha 24. Siamo genitori di tre figli, aspettiamo il quarto». E mentre lo dice, li bacia, li accarezza; ha i capelli biondi lucenti di giovinezza, appena coperti dalla kippah nera. «Non abbiamo nessuna paura. Siamo 400 ebrei in mezzo a 150 mila palestinesi. Ma mio figlio, che ha cinque anni, va già al souk, al mercato arabo da solo. Chi vive a casa sua, non ha mai paura». Hebron ò un manicomio, una dimostrazione di quanto il sangue sia per gli uomini attraente. Quello degli altri, ma anche il proprio. Sotto la grotta di Machpela, dov'è seppellito Nostro Padre Abramo, giace un segreto della psiche umana ben più complesso dell'ispirazione mistica. Qualcosa che riguarda la struttura stessa della perversione, l'amare l'odio, godere il rischio, sfiorare la morte, adorare i propri nati, e per questo sottoporli a prove inenarrabili fin dalla nascita. Solo una settimana fa è stato accoltellato, dopo una serie infinita, l'ultimo ebreo in quello stesso souk dove i bambini vanno da soli a comprarsi i cetrioli; accanto a quel souk, porta a porta con le case degli ebrei, fiorisce Hamas. Da qui, da Hebron, vengono tutti gli attentali terroristici agli autobus, i suicidi-omicidi. E porta a porta, Baruch Goldstein ha compiuto qui la sua strage di arabi nella tomba dei patriarchi. Fino al 1929 gli ebrei e gli arabi convivevano qui pacificamente. Poi un pogrom arabo antiebraico cambiò per sempre l'atmosfera. Gli ebrei, dopo la grande strage fuggirono tutti, ma poi tornarono lentamente, spinti da un sentimento misterioso e attratti dall'enorme, innegabile importanza storico-religiosa di Hebron nella loro storia: qui nacque il potere di Re David, e non a Gerusalemme. E qui, dalla tomba dei patriarchi emana mistero, santità e follia. Siamo a due settimane dalle elezioni. Peres avrebbe dovuto restituire Hebron ai palestinesi in questi giorni. Ma poi ha deciso di aspettare fino alle elezioni. Hebron, quando arriviamo, sta preparandosi a una manifestazione di protesta, e più che di protesta, di mistico furore; come, l'esercito se ne va, vuole abbandonare 400 figli d'Israele nelle mani di un grande popolo infuriato, vuole lasciarci a un nuovo pogrom? Un paio di migliaia di persone si riuniscono proprio a metà strada fra la grotta dei patriarchi, un bell'edificio moresco, un tempo un ospedale che oggi è una specie di kibbutz, una piccola comune della follia, stretta fra gli arabi e il quar¬ tiere di Avraham Avinu. Da Beith Hadasa alla grotta, c'è solo un labirinto di stradine arabe. Beith Hadasa oggi è piena di bambini e di donne incinte, tutte carine, giovani, alternative, con il fazzoletto in testa. Dal 1931, dopo il pogrom in cui gli abitanti della casa furono uccisi tra mille torture, gli ebrei hanno sempre tantato di rientrarvi nonostante le proibizioni dello Stato; anche Begin seguitava periodicamente a cacciar via dall'edificio gruppo di pazzi che vi rientravano nottetempo, con tutte le loro donne incinte, finché una serie di assassini di ebrei perpetrati dai palestinesi fecero sì che il governo concedesse di nuovo gli insediamenti ebraici. Furono assassini! terribili, fra cui quello di sei giovani religiosi accoltellati mentre andavano da questa graziosa casa moresca alla grotta per pregare. Una conca di foiba: «Ecco - ci spiega tranquillo, con uno sguardo serafico, Noam Arnon, 23 anni, sette figli, tre libri sotto il braccio -. Guardi in alto. Noi ebrei siamo qui in una buca. Se l'esercito va via, ci sparano da lassù». Guardo in su: vicine, molto vicine, le case arabe, da cui sovente piovono sassi e proiettili. Arriva Arik Sharon: la sua aria marziale è messa in discussione dall'aspetto pingue, ma avanza fra il frastuono della musica kleismer, clarinetto e violino, fra due ali di popolo entusiasta. «L'esercito dice che vi potrebbero costruire un tetto di protezione sopra la testa», chiediamo a Noam Amon. «Per carità, il tetto sarebbe una gabbia, chi la vuole, non vogliamo vivere come i crociati dentro a una fortezza». «Il governo vi offre di portarvi da un luogo a un altro in auto blindate quando l'esercito se ne andrà». «Di shabbat noi non andiamo in macchina. Che facciamo, restiamo chiusi in casa tutto il giorno? E poi, ci possono sempre sparare in casa dalle finestre». «Vi hanno of- ferto di darvi i vetri blindati». «Sì, ma poi non possiamo più aprire le finestre. Con sette figli, dee stendiamo i panni?». «Ho letto da qualche parte che l'esercito ha offerto di comprarvi il disseccatore». «E chi ci paga poi il conto dell'elettricità? Siamo poveri, noi». Arnon seguita a spiegare che su quella collinetta di fronte, nel quartiere di Abus Nena, il 90 per cento degli abitanti non è andata a votare; Arafat non gli interessa, sono tutti di Hamas. «Ma insomma, allora andatevene». Ma l'odio suscitato da questa battuta rende la cronista bersaglio dello sguardo di almeno quattro donne incinte, tutte giovani, tutte energetiche americane, vestite a fiori, fra il freak e il religioso, gonna lunga e fazzoletto (niente parrucca), orecchini colorati di rigore. «Andarsene, mai». Lo slogan preferito scritto su tutti i muri e i volantini è «Da allora per sempre». Fiamma Nirenstein Un colono: siamo 400 ebrei in mezzo a 150 mila palestinesi, ma mio figlio va al mercato da solo, senza paura

Persone citate: Arafat, Arik Sharon, Avraham Avinu, Baruch Goldstein, Begin, Noam Amon, Noam Arnon, Padre Abramo, Peres, Re David

Luoghi citati: Citta' Dell'odio, Gerusalemme, Hebron, Israele