Ora vi recito Beckett ma come voleva lui di Osvaldo Guerrieri
190 anni dello scrittore celebrati a Firenze 190 anni dello scrittore celebrati a Firenze Ora vi recito Beckett ma come voleva lui Le memorie dell'attrice Billie Whitelaw e la sua straordinaria interpretazione FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Ci sarà pure la tentazione di «fare il punto». Dalle discussioni accademiche, dai raffronti interpretativi, dal subisso di video italiani e stranieri, potrebbe affiorare il desiderio di spiegare «ima volta per tutte» Samuel Beckett, la sua arte disperata e allegra, l'inchiostro così lapidario ed elusivo della sua scrittura. Ma le cinque giornate che si chiudono oggi al Teatro Studio di Scandicci e che sono dedicate ai novant'anni di Beckett, forse hanno uno scopo più affettuoso. L'altra sera è bastata la presenza mattatoriale di Billie Whitelaw per farci capire che non stavamo per entrare nel Mausoleo Beckett, ma rendevamo visita a un amico. Billie Whitelaw è una grande, eclettica attrice che ha avuto il privilegio (qualcuno dice la disgrazia) di interpretare più d'ogni altra il Teatro di Beckett. E' stata l'interlocutrice preferita dello scrittore, la vittima delle sue inappagabili scontentezze. Il legame tra i due era forte, intriso d'una qualche morbidezza amorosa. Per manifestare stima e affetto, lo scrittore compose per lei «Footlose». Storia nota, che la Whitelaw comunica per la prima volta a un pubblico italiano. E' una donna minuta in smoking nero, i capelli biondi e crespi sono annodati dietro la nuca. La sua serata s'intitola «An Informai Evening with Samuel Beckett». E in effetti non c'è formalità, non c'è sussiego nel suo rivolgersi al pubblico che affolla gli spalti e dilaga fin sul piancito. La Whitelaw procede incastrando memorie. Racconta come ha conosciuto Beckett, ricorda il loro percorso comune, le insoddisfazioni del Maestro, i precetti. Per esempio: «Non recitare, lascia che le parole accadano», «Il movimento è più importante del dialogo». Dall'onda lunga della memoria emerge la preparazione di «Non io», il monologo che prevede una sola presenza fisica: una bocca di donna. Per recitare questo pezzo terribile, la Whitelaw era bendata, incamiciata di nero, legata a una sedia, i piedi contro una pedana. Soprattutto aveva sugli occhi una maschera nera con due minuscole fessure, attraverso le quali fissava il punto azzurro che filtrava dalla tenda in fondo alla sala. L'apparato era indispensabile per tenerla immobile, per evitare che la testa si spostasse d'un millimetro, altrimenti la bocca sarebbe andata fuori luce. Ed eccola, in concreto, quell'impresa, in im video girato per la tv tedesca. Possiamo definirla impressionante? Il monologo è detto a velocità pazzesca. L'emissione vocale modella le labbra, trasforma la bocca in un'entità astratta e vagamente mostruosa, con la lingua che pulsa come un cuore a torace aperto. Dopo la rapidità, la lentezza. Davanti a un leggio e poi seduta a un tavolino, la Whitelaw legge una parte di «Footfalls» e otto mi nuti di «Rockaby». Si dà il tempo schioccando le dita come un suo natore di jazz. Poi, inchiodandosi a quel ritmo, ci fa capire come la pagina di Beckett sia una geome tria severa, legata a un parados so: più l'attore è geometrico, più genera emozione. Abbiamo il culmine di tale principio quando la Whitelaw trasforma la voce in un pendolo che oscilla dal sussurrato al gridato. Non solo all'interno d'una frase, ma persino all'inter no d'una parola. Diabolico: e la sala va in delirio. Osvaldo Guerrieri
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