SPIKE LEE il sesso al telefono

Ieri in concorso a Cannes «Girl 6», un film che fa riflettere sull'alienazione contemporanea Ieri in concorso a Cannes «Girl 6», un film che fa riflettere sull'alienazione contemporanea SPIKE LEE il sesso al telefono CANNES DAL NOSTRO INVIATO Al «Phone Sex», al pornotelefono, chiamano dal mare padri di famiglia che mentre sorvegliano i giochi del figlio sulla spiaggia vogliono parlare di cosa farebbero da dietro, «alla Snoopy», a una casalinga inginocchiata intenta a pulire il pavimento. Chiamano, da salotti del Texas decorati con corna e con teste d'animali imbalsamate, allevatori che vogliono parlare di un petto femminile spropositato sobbalzante su e giù nelle cavalcate sessuali. Chiamano dall'ombra, da un telefono pubblico, paranoidi che vogliono parlare della madre morente di cancro, oppure vogliono insultare, minacciare, spaventare l'interlocutrice. Chiamano dalla spider rossa sadomasochisti chiacchieroni; chiamano da casa coppie coniugali insoddisfatte in cerca di un «ménage à trois» almeno telefonico; chiamano al crepuscolo, da vasti, spogli, elegantissimi uffici newyorkesi, manager che vogliono potersi immaginare bambini sculacciati, nutriti e toccati dalla balia. «Girl 6» («Sei sta per: sesso») è un film modesto e Spike Lee è troppo moralista. Però ha la capacità non comune di far riflettere sull'alienazione contemporanea; di riportare alla propria natura aberrante quelle Hot Lines entrate senza altro scandalo che l'alto costo nell'uso e nel costume; di sottolineare quale vertigine di squallore, solitudine, povertà e negazione dell'Eros rappresentino le organizzazioni che stipendiano ragazze perché chiacchierino a pagamento di atti, fantasmi, eccessi sessuali per telefono con uomini sconosciuti. Il regista lo fa nel modo più diretto: descrivendo, mostrando, così come trent'anni fa la Pop Art rivelava significati e implicazioni di certi oggetti quotidiani isolandoli e riproducendoli a grandezza innaturale. La sua protagonista è la prima tra i molti disoccupati che figurano nei film del festival come nella vita: attrice nera senza lavoro, Theresa Randle fa la prostituta vocale recitando orgasmi telefonici, ha successo perché è brava, rimane presa nel gioco delle interpretazioni e delle identità, è un poco inebriata dal proprio potere sugli uomini, si spaventa e si nevrotizza, fugge a Hollywood dove la moralità non è molto diversa. Apparizioni di Madonna, Naomi Campbell, John Turturro e, nel personaggio d'un regista megalomane e losco, di Quentin Tarantino (così famoso che, si viene a sapere, come Brigitte Bardot è chiamato con le iniziali, che suonano ChiùTi); bellissime canzoni di Prince. Non potrebbero darsi due film diretti da neri e con attori neri più diversi da «Girl 6» e «Po di sangui» del regista della Gui nea Bissau Gomes, che di nome si chiama Flora ma è un qua rantasettenne alto e grande con le tempie grigie. La sua tragedia d'una comunità espulsa dalla foresta e gettata sulla via del l'esilio e del deserto, la sua storia d'una comunità in rapporto profondo con la Natura e im mersa in magie, stregonerie e visioni, è uno di quei «nobil film» di gran dignità che servo no ai festival per salvarsi la coscienza antirazzista, per moltiplicare il numero e la diversità dei Paesi in concorso. «Per raccontare avventure, dovevo prima raccontare la mia vera vita: risultava più credibile, e solo partendo dalla critica del reale avrei potuto procedere»: il proposito, attribuito a un bambino di undici anni che vuol scrivere un romanzo sulla «castrazione sistematica della famiglia» e sulla «sottomissione all'ordine femminile delle cose», è magari l'intento di «Comment je me suis dispute... (ma vie sexuelle)» (Come ho litigato... la mia vita sessuale), vera o falsa autobiografia in tre ore di Arnaud Desplechin, 36 anni, francese nato a Roubaix, già autore dell'interessantissimo e premiato «La sentinelle». Il film è una delle più belle analisi della generazione dei trentenni senza maturità: i giovani raccontati da un coetaneo acqui- stano autenticità e naturalezza rare, mentre la ripetizione dei gesti, delle parole e dei giorni attraverso storie d'amore e disamore, vicende professionali, crisi psicologiche, ottiene un effetto di approfondimento e insieme di leggerezza. Si parla molto, come succede tra i giovani e gli intellettuali. Il protagonista, assistente universitario non ancora laureato, desideroso di lasciare l'insegnamento e con ambizioni di scrittore, vive in uno stato di sospensione, ha l'impressione che la sua vita non abbia ancora avuto inizio; intorno a lui, la tribù degli amici contribuisce a un ritratto giovanile collettivo. Tic: la contemplazione delle ragazze coi loro misteri, i gesti scattanti e nervosi, le gambe inquiete, le corte gonne svolazzanti, le telefonate segrete a bassa voce, i capelli sempre tormentati; l'amico amato e rispettato, il collega corrivo eccentrico e famoso che insinua il dubbio d'aver sbagliato tutto, gli intrecci nel gruppo; le crisi mistiche, l'orrore del temersi umiliati e disistimati, il sentirsi in trappola, la paura di sprecare la vita, la tristezza di non essere scrittore, le crisi («Non ho una depressione, ho un'ascensione»), l'ansia che tutto sia già finito e chiuso prima ancora di cominciare. Recitato bene da Mathieu Amalric e da molti altri inclusa Chiara Mastroianni, intelligente, ironico e dolce, molto riuscito, il film fa pensare a un Truffaut o Téchiné dei Novanta ed ha in più un'attenzione, uno sguardo, un carattere molto femminei: attenzione, è una lode. Lietta Tornabuoni Autobiografìa francese di Arnaud Desplechin bella analisi dei trentenni senza maturità Si parla molto, bravo il protagonista Amalric A sinistra Spike Lee con Madonna (che ha un piccolo ruolo in «Girl 6») e Theresa Randle. Sopra ancora la Randle in un momento del film Chiara Mastroianni e Valeria Marini. La figlia di Mastroianni sarà anche in un altro film, «Tre vite e una sola morte», a fianco del padre

Luoghi citati: Bissau, Cannes, Hollywood, Texas