Schuster al fronte con Dio in testa

Il cardinale oggi beatificato Il cardinale oggi beatificato Schuster al fronte con Dio in testa ECHUSTER non era fascista né antifascista, e non era neppure neutrale. Schuster era un monaco e basta. Monaco è uno che ha solo Dio in testa». L'energica definizione di Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, è di David Maria Turoldo. Questo «monaco che ha avuto solo Dio in testa» sarà beatificato oggi in San Pietro da Giovanni Paolo II. La circostanza della beatificazione ha dato la stura ai ricordi, agli studi, alle riflessioni sulla ieratica figura dell'arcivescovo benedettino, famoso liturgista, che, negli anni caldi del fascismo e della Resistenza, ha retto la diocesi ambrosiana, ha trattato la resa con i tedeschi e ha avuto a Milano l'ultimo colloquio con Mussolini, proprio il 25 aprile 1945. Per l'occasione, il nuovo beato è stato fatto transitare anche dentro il genere del racconto storico letterario. Marco Garzonio, in Schuster (Piemme), ne ha tracciato la biografia partendo da una finzione di reminiscenza manzionana: il ritrovamento di un dattiloscritto nel solaio di una vecchia casa borghese di Milano, nel quale sono stesi i ricordi e le riflessioni di un professionista cittadino che tenta di investigare umanamente e spiritualmente la figura del suo arcivescovo. A proposito di «ricordi» veri, c'è invece quello di Indro Montanelli, che, in una breve prefazione alla biografia scritta da Luigi Crivelli, Schuster, un monaco prestato a Milano (ed. San Paolo), narra come, condannato a morte dal tribunale di guerra germanico, prigioniero delle SS a Gallarate, riuscì, scrivendo su un foglietto di quaderno, a notificare la cosa al cardinale, il quale si adoperò immediatamente per salvargli la vita. Ricordi sono quelli messi insieme da Elio Guerriero e Marco Roncalli, che, sempre per la San Paolo, hanno pubblicato un epistolario tra Schuster e Giovanni XXIII. Più che le lettere, degne di attenzione sono la documentazione e le note che le accompagnano. In uno scambio epistolare tra Roncalli e Adelaide Coari c'è un importante accenno al primo incontro tra Schuster e il poeta Clemente Rebora, il 24 ottobre 1929. La Coari, per chiedere un'udienza, cosi presentava Rebora al cardinale. «E' un animo fervido, buon poeta e scrittore, cresciuto in famiglia di specchiata rettitudine, ma atea, decisamente ostile allo sviluppo della vita religiosa». Dopo mi mese esatto da quel colloquio con l'arcivescovo e monaco benedettino, Rebora, a 44 anni, faceva la prima comunione e si apriva alla vocazione religiosa rosminiana. Nelle agende scrupolosamente tenute da papa Roncalli si trovano rapide annotazioni su Schuster. Un anno prima che l'arcivescovo mila- li cardinale Ildefo nso Schuster nese morisse, dopo un incontro a Milano, Roncalli scrive: «Il card. Schuster un po' increspato, ma sempre buono e pio». L'increspatura non è solo fisica. Roncalli ha già aimotato parecchio tempo prima: «Il card. Schuster amabilissimo, ma pessimista in forma esasperante». Da pessimismo, Schuster era affetto anche parecchi anni prima, perfino durante il fascismo, per quanto avesse avuto verso il regime espressioni di un certo entusiasmo, nell'illusione di «cristianizzare codesta Rivoluzione», tanto da provocargli la reazione di un gruppo di cattolici antifascisti ambrosiani. Con una cultura impregnata di antichi testi liturgici e medioevali, il cardinale coltivava ancora l'idea di una società integralmente cristiana, che però vedeva ormai sfaldarsi. «Nell'intimo del cuore di molta parte dell'umanità, Dio non c'è più col suo soffio vivificatore», scriveva in una lettera pastorale del 1931, cominciando già a comprendere di trovarsi di fronte, tra nazismo e fascismo, a un «imperante sistema» anticristiano. Giorgio Rumi e Angelo Majo, in II cardinal Schuster e il suo tempo (ed. Massimo), hanno ricostruito bene l'atmosfera ambrosiana e nazionale dentro la quale spicca la figura del cardinale che, a Milano, quasi Consul Dei, vede la sua grande Chiesa ambrosiana come «seconda Roma» cristiana, libera, però, da un «romanesimo» fascista, lontana dalla «eticità di uno Stato pagano», contro il quale l'arcivescovo si scaglia con la solennità e l'autorità di un antico patriarca ecclesiastico. Ed è, infine, a questa autorità di Consul Dei che egli farà ricorso, nel disfacimento dei giorni di guerra, per «liberare il popolo lombardo con l'aiuto di Dio» dal regime fascista e dall'occupazione germanica. Emilio Sereni, a nome del pei, si reca di nascosto dall'arcivescovo per spiegargli che il comunismo, «sia pure ateo», è «rispettoso della religione cattolica come di ogni altra religione». Il generale Wolff fa «la resa nelle mani del cardinale di Milano». Il 25 aprile 1945, in una sala della curia milanese, alla presenza di Schuster, si incontrano Mussolini, Graziani e il generale Cadorna, capo del Clnai. Schuster, il monaco cardinale, dunque, «al di sopra dei gagliardetti», come ebbe a titolare la sua biografia Beltrame-Quattrocchi. Con quel suo piccolo, gracile corpo («quel corpicciolo», dirà papa Roncalli), egli ebbe, come scrive il vescovo Loris Capovilla, «il singolare potere di planare dall'alto sulle ideologie e sugli avvenimenti». Dall'alto, per ritornare a Turoldo, semplicemente di «uno che ha solo Dio in testa». Domenico Del Rio li cardinale Ildefonso Schuster