Chirac riapre il giallo del marocchino Omar

Condannato per omicidio, graziato dall'Eliseo Condannato per omicidio, graziato dall'Eliseo Chirac riapre il giallo del marocchino Omar PARIGI NOSTRO SERVIZIO «Omar m'a tuer», «Omar mi ha uccidere». La vittima di un omicidio può fare un errore di grammatica come questo scrivendo con il proprio sangue prima di esalare l'ultimo respiro? Questa e mille altre domande ricominceranno a solleticare la fantasia dei francesi dopo che l'Omar in questione, Raddad, un giardiniere marocchino condannato a 18 anni di carcere per l'omicidio della sessantacinquenne signora di cui curava piante e fiori, ha ottenuto ieri una «grazia parziale» dal presidente Jacques Chirac. E' in carcere dal 1991, e già tra due anni - invece che a metà della pena - potrà chiedere il beneficio della libertà condizionata. Grazie all'antica prerogativa dei sovrani, il Capo dello Stato ha avuto clemenza per il giardiniere, la cui vicenda divenne un caso nazionale, tanto che il più famoso dei suoi avvocati, Jacques Verges, paragonò il caso Raddad al caso Dreyfus. Pochi erano gli elementi a suo carico, tutti molto sospetti, tanti i dubbi, innumerevoli le carenze nella conduzione dell'inchiesta. Ma per l'ordinamento penale francese ereditato dalla rivoluzione del 1789, e che solo adesso per iniziativa del Guardasigilli Jacques Toubon sta cambiando, non c'è appello alla decisione di una giuria popolare. Se non si riapre il processo, con elementi nuovi, l'unica strada è la clemenza del «sovrano», nella fattispecie Chirac. Omar Raddad fu condannato nel gennaio 1994. Era in carcere dal 1991 dopo che in quell'anno - il 23 giugno - la signora presso la quale prestava servizio in giardino, madame Ghislaine Marchal, mia ricca ereditiera, fu trovata uccisa nella cantina della sua villa accoltellata e finita a colpi di mazza. Il giardi- niere, subito accusato, ha sempre disperatamente dichiarato la sua innocenza, sottoponendo la corte a circostanze temporali che avrebbero reso quasi impossibile il delitto e l'assenza di moventi realmente seri, a parte un debito non molto consistente con la vittima. La polizia tralasciò di prendere le impronte digitali sugli oggetti attorno alla vittima e le negligenze dei primi giorni vennero a galla più volte durante il processo. Sotto le unghie della signora non venne scoperta traccia di capelli o di quant'altro potesse appartenere ad Omar. Su Omar non c'era traccia di sangue o altro. Il giardiniere marocchino, magro, indifeso, baffi neri e capelli corvini, offriva un'immediata soluzione al giallo. Alla sua causa, però, si appassionarono in molti, il re Hassan del Marocco incaricò Verges di difendere il giardiniere, mentre suo nipote, principe Moulay Hicham, incaricò un detective privato di cercare prove dell'innocenza di Omar. L'alibi del giardiniere - era andato a mangiare nell'ora indicata dalle rilevazioni come la più probabile per il delitto - presentava qualche fessura, ma sembrava solido. Era entrato in alcuni negozi ed aveva telefonato a casa da una cabina ma, in una prospettiva alla Hitchcock, avrebbe avuto la possibilità di commettere il delitto in qualcuno degli intervalli in cui si era manifestato. Durante l'istruzione del processo - con i francesi divisi tra innocentisti e colpevolisti - vennero a galla diversi elementi nuovi e sconcertanti. La scritta innanzitutto, tracciata con il sangue e troppo vistosamente sgrammaticata per essere opera di una signora colta come madame Marchal. Poi il fantomatico «secondo Omar», l'ipotesi della difesa secondo cui un omonimo del giardiniere avrebbe frequentato la villa. La polizia, da parte sua, si mise sulle tracce di una cameriera che la vittima aveva licenziato tempo addietro, senza mai trovarla. Infine, la testimonianza di un certo «M.M.», un detenuto che avrebbe confidato al compagno di cella il delitto di cui era accusato Omar. Ma nulla di questo fu sufficiente per far assolvere il giardiniere. Alla lettura della sentenza, un uomo si alzò in aula e gridò: «I giudici sono i rappresentanti di Dio sulla Terra. Dio si è sbagliato». Omar continuò a professarsi innocente «dalla testa ai piedi». C'è voluta - non per fare giustizia, ma per ottenere clemenza - la visita di re Hassan in Francia di qualche giorno fa, che secondo «Le Monde» è all'origine della grazia di Clùrac. Hassan gli avrebbe promesso di risolvere il caso di un francese con doppia nazionalità detenuto in Marocco. Tullio Giannotti I presidente francese Jacques Chirac

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