la congiura del Cremlino

la congiura del Cremlino la congiura del Cremlino Un piano per fermare i comunisti G MOSCA RANDE partita finale. Dove tutti i colpi sono possibili, dove nessuna regola è scritta, dove chi cade non ha rete di salvataggio, dove la posta in gioco non è solo il potere, ma il destino, la carriera, la vita. Solo così si può capire qualcosa della «campagna elettorale» russa. Boris Eltsin ha lanciato la locomotiva della sua campagna elettorale. Ha in mano tutte le televisioni centrali. Gli mancava Ntv, l'unica privata. Ha comprato anche quella mettendo Igor Malashenko, il suo direttore generale, nel proprio comitato elettorale. Così ha l'eri plein dei media elettronici. I giornali contano poco, ma - eccetto quelli comunisti - sono tutti con lui. Stanno al suo gioco o lo fanno attivamente. La paura dei comunisti è alle stelle tra l'intelligencija. Una specie di 1948 italiano, ma elevato alla decima potenza, qualcosa di simile a una crisi isterica collettiva. Ma collettiva, s'intende, a Mosca. Nel resto del Paese, fuori dalla capitale e da San Pietroburgo, gli umori sono molto diversi. Come sondarli? La sociologia russa è ancora alle prime armi ed è comprabile, come tutto il resto. Come dappertutto. Solo che qui tutto è più vendibile. L'essenziale è che cresca il rating del presidente. E quello lo si fa crescere, inesorabilmente, da due mesi e mezzo, da quando cioè Eltsin ha annunciato la propria candidatura. Succede che la compattezza dei media abbia qualche incrinatura, e che qualche sondaggio continui testardamente a dare in testa Ziuganov e perfino Javlinskij. La strategia è chiara. Si sta preparando l'opinione pubblica all'idea che la vittoria di Boris Eltsin è un fatto «naturale», «scontato», «inevitabile», «logico». Al punto che circola una battuta: «Boris Eltsin vincerà queste elezioni. Anche se le perde». Ma succedono cose strane, che non stanno in questa cornice neanche se le prendi a martellate. D'un tratto un gruppo di 13 banchieri getta un sasso nello stagno. Poiché si tratta di uomini che hanno investito milioni di dollari per sostenere il presidente uscente, poiché sono i più ricchi e influenti nella Russia d'oggi, si ritiene opportuno fare attenzione a quello che dicono. E, con grande sorpresa perfino di molti commentatori russi, i banchieri dicono le seguenti cose: a) attenzione, il Paese è spaccato in due. Chiunque vinca (con questa piccola locuzione, tra l'altro, viene demolita la certezza della vittoria di Eltsin, ndr) in una tale situazione c'è il rischio grave di una totale ingovernabilità, b) Occorre un «compromesso» tra i due principali candidati, cioè Eltsin e Ziuganov. La mossa solleva un uragano di commenti. Ma il significato è chiaro. Rinviare le elezioni, offrire a Ziuganov il governo e garantire a Eltsin la presidenza per altri due o tre anni. Così si garantirebbe la stabilità del Paese fino a che l'attesa ripresa economica non sopravvenga. Solo allora si potranno chiamare i russi a votare. Mossa indipendente? Niente affatto. Uomini come Gusinskij (Most Bank) e Berezovskij (Logovaz), quest'ultimo legatissimo a Korzhakov, capo della guardia presidenziale, non parlano senza avere consultato i loro referenti politici. Solo che questo equivale a chiedere a Ziuganov un bel harakiri. Ziuganov sa bene che vincere è per lui più pericoloso che perdere. Come governare il Paese contro tutto il resto del mondo? E' ovvio che l'Occidente tratta con chi vince, ma qui la posta in gioco è la collocazione della Russia nel mondo. E il programma nazionalista e patriottico di Ziuganov, non va affatto a genio a molti circoli occidentali. Dunque cercheranno di farlo cadere dopo, alla «cilena», chiudendo i rubinetti finanziari alla prima occasione, ritirando gl'investimenti, aumentando le tensioni, accelerando l'estensione a Est della Nato, costringendolo a aprire il fronte interno con i nostalgici, quindi indebolendolo. Ma Ziuganov non può più fermare il proprio esercito. Anche la sua locomotiva è in moto ormai a tutto vapore. Può soltanto dire - le ha dette il 9 maggio - due cose: «chiunque perda dovrà accettare il risultato». E l'altra cosa che ha detto è stata: «Non ci saranno persecuzioni politiche». Garanzia agli sconfitti, i quali non sanno che farsene. Hanno troppa paura e sanno che Ziuganov ha alleati - come Anpilov - molto meno soft di lui. Comunque la panoplia di Boris è ricca di frecce. H lavoro avviene su più piani. Se Ziuganov non ci sta si può tentare con il fronte della cosiddetta «terza forza». Fronte debole quant'altri mai, ancora inesistente. Buona ragione per. demolirlo prima che si formi. Eltsin «convoca» il candidato-gene¬ rale Aleksandr Lebed. Secondo buone fonti gli promette - in cambio del ritiro della propria candidatura a vantaggio di Eltsin - il ministero della Difesa. Ma a Eltsin Lebed fa comodo soprattutto se non si ritira. Perché spera che proprio Lebed porti via un discreto 5% di voti ai comunisti (i nazionalisti non comunisti preferiscono Lebed a Ziuganov). Ma è essenziale che Lebed non faccia fronte unico con Javlinskij. Perché Javlinskij più Lebed, più Fiodorov, più Gorbaciov (se si mettessero d'accordo per fare una squadra e individuare un candidato) potrebbero portare il loro candidato al secondo turno, contro Ziuganov, lasciando Eltsin al palo. Il pericolo, per quanto remoto, è gravissimo. Così Eltsin promette a Lebed che «avrà quanta televisione vuole per fare la propria campagna elettorale» (la virgolettatura indica che la frase, secondo la fonte degna di fede che me l'ha riferita, è stata detta effettivamente da Eltsin nel colloquio con Lebed). Lebed, a sua volta, teme la guerra civile. L'ha detto in pubblico più d'una volta. Pensa che l'esercito sia al limite di rottura e ritiene che Javlinskij non possa governare la situazione in caso di vittoria, mentre lui, il generale, pensa di farcela. Per questo l'accordo tra i due è molto difficile. Javlinskij non può ritirare la propria candidatura per Lebed; Lebed ritiene di non poterlo fare a vantaggio di Javlinskij; Fiodorov non ha ancora deciso, ma probabilmente è l'osso più morbido. Gorbaciov resta in attesa, ma anche i suoi due o tre milioni di voti potrebbero far comodo. Ma la vera partita si gioca al tavolo di Javlinskij. Eltsin convoca anche lui al Cremlino. E gli promette il posto di capo del governo. Se, naturalmente, ritira la propria candidatura a suo vantaggio. «Mi servono i tuoi dieci milioni di voti», pare gli abbia detto. Javlinskij pare gli abbia risposto che non è affatto detto che i suoi dieci milioni passerebbero automaticamente a Eltsin e che, per questa ragione, Ziuganov potrebbe batterlo al secondo turno. Al che - secondo indiscrezioni - Eltsin gli avrebbe seccamente risposto: «Non ci sarà nessun secondo turno». Frase ambigua che può voler dire due cose: il secondo turno non ci sarà perché vinco al primo; oppure: non ci sarà perché, in caso di risultato dubbio, lo faremo saltare. Javlinskij esita. Rischia di bruciarsi le ali per niente e, anzi di aiutare involontariamente la guerra civile che vorrebbe evitare. Intanto Korzhakov ha lanciato la sua messa in guardia: le elezioni è meglio non farle. Eltsin, con un occhio di riguardo a Clinton, lo ha rimproverato: le elezioni si terranno secondo Costituzione. Ma durante l'incontro con Javlinskij una delle varianti discusse è stata l'annullamento delle elezioni. Manca poco più d'un mese al voto e tutto è ancora aperto. Il «Concerto Straordinario» aspetta altri attori e altri spartiti. Giuliette Chiesa Tredici banchieri propongono un compromesso: Ziuganov premier e elezioni rinviate al '98 LE STRATEGIE PER IL VOTO

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