Cana dopo il massacro gli sberleffi

Intervista choc: quando c'è urgenza non perdiamo tempo a guardare le carte geografiche Intervista choc: quando c'è urgenza non perdiamo tempo a guardare le carte geografiche Cana, dopo il massacro gli sberleffi Gli artiglieri israeliani: «Tanto erano solo arabi» TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO «Siete stati "ahla"», che nel gergo dei militari israeliani vuol dire «il massimo». Con queste parole, il 18 aprile scorso, alcuni minuti dopo il bombardamento dei profughi libanesi a Cana (107 morti), il capitano S. cercò di rincuorare i soldati della batteria dell'artiglieria israeliana direttamente responsabile della strage. Solo che, sostiene il settimanale Kol-Ha'ir di Gerusalemme, non c'era alcun bisogno di rincuorarli: «Con tanti milioni di arabi che ci sono al mondo, - commentò un artigliere - uno in più o in meno...». Le dichiarazioni rilasciate al settimanale da tre soldati e due ufficiali della batteria responsabile del bombardamento di Cana aggiungono nuovi inquietanti interrogativi sulla vicenda. I militari rivelano fra l'altro che «quando c'è urgenza, non stiamo tanto a studiare le carte geografiche». Quel giorno, inoltre, prima di aprire il fuoco non verificarono le condizioni atmosferiche, come avrebbero dovuto per ottenere il massimo della precisione. Un duro attacco al comportamento dell'esercito in questa vicenda è giunto anche dall'analista di questioni militari del quotidiano Haaretz. «Non c'è dubbio - scrive Eitan Rabin - che l'esercito non volesse fare una strage di civili libanesi innocenti, ma è chiaro anche che durante il bombardamento ci furono molte negligenze». Il giornale enumera poi le numerose reticenze e le contraddizioni in cui, volta dopo volta, sono caduti i comandanti militari nel ricostruire l'episodio. Ancora oggi il giornale non è disposto a credere che l'intelligence israeliano - che conosceva per nome l'autista dell'ambulanza colpita all'inizio di aprile a Tiro - ignorasse che nella base dell'Unifil a Cana ci fossero centinaia di profughi. Le dichiarazioni fatte a Kol-Ha'ir dagli artiglieri sono ancora più agghiaccianti. Non è chiaro come il settimanale abbia potuto raggiun- gerii: dalle loro risposte si ha l'impressione che non sapessero di aver davanti un giornalista. Ad ogni modo il portavoce militare, che avrebbe dovuto autorizzare preventivamente le interviste, era ieri ignaro che esse fossero avvenute. «Cinque minuti dopo gli spari racconta il soldato A. - abbiamo avuto le prime informazioni di cosa era successo. Non mi sembra che fra di noi ci fosse un'atmosfera pesante. Ancora non comprendevamo che era stato un fiasco, che si sareb¬ be potuto evitare. No, non c'era uno stato di depressione». A. così prosegue: «Il comandante dcJa batteria ci riunì e ci disse che la guerra è fatta così, che dovevamo continuare a combattere alla grande, che se gli "hezballoni" (neologismo che unisce "Hezbollah" a "palloni" ndr) erano entrati in un villaggio arabo erano problemi loro. Se quelle puttane ti sparano addosso, cosa devi fare? Aggiunse che avevamo spara¬ to bene e che di arabi, si sa, ce ne sono a milioni». «Anche il capitano S. - aggiunge il soldato - ci disse che eravamo stati "ahla", il massimo, e che in fondo le vittime erano "arabushim"», spregiativo in ebraico di «arabi». Il sergente T., da parte sua, afferma «che in gueira non stiamo a controllare le carte geografiche, perché il tempo stringe». Nel caso specifico, un'unità di élite israeliana era stata individuata presso Cana dagli Hezbollah e stava per essere colpita dai loro mortai. Seconde una voce - risultata infondata - l'unità aveva già avuto perdite. ((Abbiamo dovuto prendere decisioni in minuti» ha ricordato poi il generale Amiram Levin, comandante della zona militare settentrionale. «Il comandante della batteria ci diede gli ordini e noi - nota T. - abbiamo fatto fuoco, senza valutarli». «E se li aveste valutati?» chiede Kol-Ha'ir. ((Avremmo sparato più proiettili e ucciso più arabi. Male di certo non ne avrebbe fatto», risponde 0 sergente T.. Problemi di coscienza, aggiunge, non ne esistono dato che «anche gli Hezbollah miravano a uccidere i nostri civili. Solo che loro non ci sono riusciti». Nelle conversazione interviene il sergente I.: «Sono cose che succedono in guerra. Noi per fortuna abbiamo rifugi. Loro no. E' un problema loro, degli "arabushim". Perché te la prendi a cuore?». Aldo Baquis iro - ignorasse nifil a Cana ci rofughi. tte a Kol-Ha'ir ancora più aghiaro come il otuto raggiun- S*f 3* 1 t «Cinque minuti dopo gli spari racconta il soldato A. - abbiamo avuto le prime informazioni di cosa era successo. Non mi sembra che fra di noi ci fosse un'atmosfera pesante. Ancora non comprendevamo che era stato un fiasco, che si sareb¬ mcpsnnru Una bimba libanese con la madre davanti alle numerose tombe ed al cartellone commemorativo della strage del 18 aprile scorso a Cana

Persone citate: Aldo Baquis, Amiram Levin, Cana, Eitan, Rabin

Luoghi citati: Cana, Gerusalemme, Tel Aviv