Il «torinese» che non sorride mai di Filippo Ceccarelli

Il «torinese» che non sorride mai Il «torinese» che non sorride mai La leggenda di un duro e puro, terrore dei suoi nemici PROMA RIMA no, prima era troppo facile, troppo ad effetto. Ma ora che è presidente della Camera, ora che se ne sta lassù, sempre un po' pallido, col ciuffo, la voce da ragazzo e gli occhialoni, ecco, tanto vale metterla giù piatta piatta: quanta paura fa Luciano Violante? E quindi: quanto è consapevole di questa assoluta trasfigurazione che lo rende già in partenza l'uomo forte dell'Ulivo? Beh, non sono questioni che si misurano a colpi di maggioranza, o a decibel d'applausometro. Eppure, in tutta onestà, e con il dovuto rispetto, sono pochi gli esponenti politici che riescono a ispirare, come Violante, un timore profondo e persino incomprensibile; qualcosa di sfuggente e di viscerale, un riflesso, un ricordo, un retaggio che della politica va a toccare quel che è meno razionale, meno logico, ma c'è. Ora, l'ex ministro Mancuso non si può certo considerare come un misuratore neutro di sentimenti applicati alla vita pubblica, però, vale senz'altro a offrire un efficace saggio terminale di «Violantofobia»: «Dini aveva in lui un padrone che lo terrorizzava come un cane teme la verga del padrone. Dini temeva le telefonate di Violante, che ha in sé qualcosa di perverso. Un piccolo Torquemada senza faccia e senza pietà, vero commissario politico della magistratura di sinistra, orditore delle trame del suo partito. Un uomo temibile perché capace di ogni violenza». Accidenti. Ma girando per archivi se ne trovano tante, di cosette del genere. Di sospetti incrociati e spaventosi sul suo accanirsi contro imputati poi risultati innocenti come Eddy Sogno, ma anche di attentati progettati ai suoi danni da svariate parti (mafia, fascisti, brigatisti); di cospirazioni le più subdole, di «demonizzazioni» anche esotiche e spontaneamente surreali, tipo il capo-delegazione iraniano che partecipa a un convegno sulla droga, ascolta Violante che propone la regolamentazione della marijuana e: «Parlo nel nome di Allah, questa della droga legale e del suo sostenitore mi pare il gioco del demonio...». Per cui, alla fine, è quasi impossibile cogliere lo specifico di un personaggio che Cossiga a suo tempo ha definito Vishinskij. Ma che piaceva come pochi altri a un personaggio all'antica come Berlinguer. Dal 1979, anno d'iscrizione al pei, costantemente dipinto come una specie di arcangelo stakanovista, codice penale nella mano sinistra e spadona infuocata nella destra. Violante, un po', come la conferma che la politica è anche forza, è rischio, è paura, è sangue, a volte pure tragedia. Da sempre, del resto, gli organismi hanno bisogno di individui meno disposti di altri, almeno all'apparenza, a considerare come un'at- tenuante la debolezza della natura umana. E però, su certi non trascurabili aspetti della storia italiana, Violante è preparato e conseguente come pochi altri. Uno che, fin da ragazzino, studiava le schifezze del Sid, interrogava il generale Maletti, si faceva dare incartamenti da Andreotti, inaugurava corrispondenze con Moro sul segreto di Stato. E intanto, non c'è dubbio, capiva. Cosa significava nel concreto vivere in una «democrazia bloccata»; quali forze preventive erano pronte a contrastare un'ipotetica rottura degli equilibri internazionali. Attraverso quali violazioni era previsto che stesse in piedi, in questa periferia imperiale a limitata sovranità, questo ordine superiore: così spesso illegale. Uno che ancora riesce a scan- dalizzarsi come allora, e a crederci. Ma forse troppo, e comunque in maniera tale da rendere possibile quella specie di amaro sollievo che ieri mattina si coglieva nei sospiri di diversi anche rispettabili esponenti dell'informazione: «Beh, insomma, meglio alla Camera che al Viminale». 0 quella ansiogena repulsione che prende chi, credendo alle dinamiche sociali o alle leggi della politica, si sente condizionato dagli strattoni di un eventuale «partito dei giudici» che opera a un livello etico, ma con strumenti molto me¬ ntlvnvdqv no etici tipo la galera. Pochissimo, rispetto a tanti altri, oggi, si sa del privato di Violante. Ma anche questo, con i dovuti prò (ecco finalmente un non-esibizionista) e i contro (chissà che segreti), ancora rinvia all'enigmatica ambivalenza di un personaggio che comunque, a un certo punto della sua vita, deve aver consapevolmente scelto di mettersi a rischio. E ancora due anni fa spietati vicini di casa raccoglievano firme per tenerlo lontano da lì, per via delle bombe. Davvero non capita a tutti i politici. Ma qualcuno deve pur farlo. La paura prende infatti strane vie, e l'odio comporta singolari compensazioni. Nessuno dei suoi nemici, per dire, ha mai non solo detto, ma neanche immaginato che Violante possa essere un ingenuo. Né mi superficiale. E' la serietà un'altra cifra del personaggio, che fin dagli Anni Settanta, quando come magistrato sorvolava in elicottero le pendici del Monte Bianco alla ricerca dei campi paramilitari di Ordine Nuovo, ha sempre fatto un effetto di fredda severità: «Il dottor Violante tace - si leggeva in vecchi articoli della Stampa - senza sorridere». Per poi scoprire, invece, vent'anni dopo, che è addirittura un poeta, che ha scritto una commovente Cantata per la festa dei bambini morti di mafia, più volte rappresentata. 0 che può dissociarsi dall'amico Caselli contro «l'antimafia della lagrima e dei ceri», poiché «qui c'è in ballo la guida politica dell'Italia nei prossimi dieci anni, e occorre tenere punti fermi, ma pure tessere accordi, giungere a mediazioni». Appunto. Filippo Ceccarelli Cossiga lo chiamò Vishinskij per Mancuso era Torquemada ... :^mm§m 1 *1 111* 'ì i &.aJf IL NUOVO PRESIDENTE L'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga Edgardo Sogno il «comandante Franchi» medaglia d'oro della Resistenza accusato da Violante

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