Rattoppo, l'arte di ricucire il mondo

Fra corredi Ina singolare mostra sulla cultura del «risparmio» Rattoppo, l'arte di ricucire il mondo PESCATOLO ED UNITI DAL NOSTRO INVIATO C'è un paio di calzoni da lavoro strappati e sfilacciati. In alcune zone sono consunti fino a diventare velo evanescente, in altre sono rammendati con tessuti e fili eterogenei. Sono un pezzo di vestiario ridotto a pura idea di se stesso. Simbolo di miseria, fatica, ma soprattutto della tenace volontà di utilizzare le cose fino alla loro morte definiti- J| va. Sono anche una tappa Jf nella singolare mostra II rattoppo. Bisogno e creatività nelle pratiche contadine, allestita al Museo del Lino di Pescarolo ed Uniti, a pochi chilometri da Cremona (aperta fino al 7 luglio). La rassegna, che allinea capi di vestiario, oggetti da cucina e lavoro, è curata da Fabrizio Merisi, inventore altresì del prezioso catalogo, miscela di competenza e leggibilità (con interventi di Ettore Guatelli, Giancorrado Barozzi, Pietro Clemente, Ottavio Lurati). «Con il termine "rattoppo" bisogna intendere l'insieme molto vasto di pratiche - dice Merisi, artista e studioso - per usare, aggiustare, riciclare tessuti e oggetti nel contesto rurale pretecnologico. Abbiamo voluto documentare una cultura e un modo di vivere, senza nostalgia per l'idillio di un'era perduta. Le scarpe rappezzate fino all'inverosimile, le mutande rattoppate, le scotole ricucite, testimoniano, anzi, una vita di dolorosa indigenza. L'esposizione però è utile perché aiuta a ripensare il ciclo economico. La cultura contadina del risparmio e del riciclo delle materie prime è esemplare perché è riuscita a chiudere il cerchio, ad armonizzare il rapporto tra produzione, consumo, smaltimento; a convivere con l'ecosistema. E' un modello per la civiltà moderna dell'usa e getta, impotente di fronte ai rifiuti». La mostra cremonese fissa l'attenzione su una piccola manciata di oggetti contadini, perlopiù d'inizio secolo. Ma l'attitudine al rattoppo, al rammendo, al riciclaggio, al rabbercio, è diffusa in tutto il mondo. Lascia tracce di sé nei miti, nel folklore, nelle simbologie sulla scopa o sulle ore del giorno in cui pulire la casa per non disturbare malasorte e demoni. Ogni mondo, ogni società, ha elaborato mode e modi particolari per risparmiare risorse. In alcuni casi, come nella tecnica antica giapponese di riciclare tessuti di cotone (documentata da ima mostra a San Francisco nel '94), sfiora addirittura la ritualità sacra. Nelle avanguardie diventa fonte di ispirazione estetica. Dai collage di Miro agli oggetti di Man Ray e Duchamp, dalle tele di Fontana ai sacchi di Bum. Proust appuntava brandelli di Recherche su striscioline di carta e poi le rammendava su fogli più grandi. Rattoppare è esigenza che nasce dall'indigenza, dalla povertà. Ma non solo. Gli imparaticci delle antiche scuole femminili camostrano che anche le rampolle borghesi si impratichivano nel rammendo. E le ultime rammendatrici che s'annida¬ no nelle metropoli moderne, quelle dominate dalla moda usa e getta, vantano ancora clienti potenti, facoltosi, famosi. Nell'universo del rammendo gli <Jjiti possiedono una vita propria autonoma. Trasmigrano attraverso le classi sociali, le generazioni, i fratelli. Un vestito contadino da ragazza s'allungava di balze colorate, man mano che l'età aumenta, per adeguarne la lunghezza alla cresci¬ ta. Poi le balze venivano tolte per passare alle sorelline più giovani; e il ciclo ricominciava. Stesso destino per mutande, corsetti, pantaloni. I lenzuoli, cuore (anche simbolico) della dote, dovevano durare tutta una vita. Anche più vite. Il sopra e il sotto erano ottenuti cucendo insieme più teli. Quando una zona era troppo usurata, i teli erano scuciti e ricomposti facendoli ruotare. Quando l'ago non bastava più, il lenzuolo diventava telo per coprire utensili, cibi, oppure tagliato per rinascere come asciugamano, pezzuola. Infine come straccio. La «roba» passa anche da un universo all'altro. Gli oggetti da guerra si riconvertono nella vita da cascina. Gli elmetti diventano scaldini e paioli; le baionette si mutano in coltelli e falcetti; gavette e cartuccere strumenti per soffiare gas sulle arnie. Le molle dei sellini da bicicletta servono a costruire trappole per topi (e altri roditori). Tappi, lamiere, barattoli, chiodi, si fondono in giocattoli, spaventapasseri, oggetti vari. L'arte del rattoppo è sapere alquanto femminile. Vestiti, calze, guanti da rammendare s'ammonticchiavano accanto alle contadine. Sempre in ritardo col lavoro da sbrigare. Tanto che per venire incontro ai loro ritardi si muovevano le stagioni. Tra San Marco (25 aprile) e Santa Croce s'invocava l'«invernetto», un provvidenziale periodo di maltempo che teneva le donne lontane dai campi per cucire. Il lmguista Ottavio Lurati va alle radici del termine, dell'idea «rattoppare». Dimostra che c'entra poco con la parola «toppo (scuro). E' imparentato piuttosto con la stoppa (cascame di lino e canapa, usato per colmare fori e falle); o con la «toppa della chiave» creata a protezione delle antiche serrature; così come «rabberciare» è nipote del «fare un cappone», l'antica pratica di castrare i polli, con interventi «malcurati che lasciavano cicatrici bitorzolute e irregolari». Non e solo una sterile ricerca filologica: il rattoppare è strettamente legato col linguaggio. I riparatori ambulanti, i ciabattini da Bormio, i seggiolai da Primiero, gli aggiustatori di giare (omaggiati da Pirandello) che giravano il Paese a prestare la loro sapienza erano noti come «quelli che praticavano il gergo». La moderna società dell'opulenza che fa del consumo il proprio orgoglio, la propria forza, la propria ragion d'essere, ha relegato in seconda lmea la silenziosa sapienza del rattoppo. La plastica, materiale etemo, quando si rompe dev'essere gettata. Così come i computer, le macchine, le televisioni. Come i collant o i rasoi, primi veri esempi ruggenti del moderno felice «usa e getta». Ma il rabbercio, nonostante tutto, non muore. E' una cultura essenziale, nata con la finitezza dell'uomo. Non può scomparire. Sopravvive nei gerghi, negli stili metropolitani che riciclano mode e modi, nell'arte trash che vive saprofita degli scarti, nelle esigenze «verdi» non più eludibili di riaffrontare un corretto rapporto con la natura e con le materie prime. Bruno Ventavoli Fra corredi e collage di Mirò Ina singolare mostra sulla cultura dTOLO ED UNITI CO INVIATO o di calzoni da lavoro sfilacciati. In alcune zonsunti fino a diventare scente, in altre endati con teseterogenei. Sono vestiario ridotto a di se stesso. miseria, fatica, utto della tenace utilizzare le cose o morte definiti- J| nche una tappa Jf olare mostra II isogno e creatiratiche contadi al Museo del Liarolo ed Uniti, a metri da Cremofino al 7 luglio). a, che allinea caario, oggetti da voro, è curata da Merisi, inventore prezioso catalo di competena libiR l'FespbcriqgcSgagStmtrpcp(cdd«c Calzoni da lavoro

Luoghi citati: Bormio, Recherche, San Francisco