Maggio, mese delle rose e dell'8 per mille; Bossi, speriamo sia solo folklore di Oreste Del Buono

Maggio, mese delle rose e dell'8 per mille; Bossi, speriamo sia solo folklore lettere AL GIORNALE Maggio, mese delle rose e dell'8 per mille; Bossi, speriamo sia solo folklore La Lettera di O.d.B. è rinviata per un'indisposizione di Oreste del Buono. «Non date al Fisco quei soldi» Maggio è il mese delle rose... e delle dichiarazioni dei redditi. Perciò sono di prammatica gli inviti ai cittadini per la destinazione, a proprio favore, dell'8 per mille del reddito dichiarato. Non mi stupiscono perciò gli appelli degli Organismi religiosi, mi spiego meno invece la trovala del Fisco di farsi devolvere dai contribuenti, oltre naturalmente le tasse, anche il contributo dell'otto per mille per le non meglio specificate «attività sociali». Perché, mi chiedo, le attività sociali dello Stato devono essere finanziate dai contributi spontanei dei cittadini? Non bastano l'orse i prelievi coattivi che Esso opera sui loro redditi? Anche perché mi pare che nessuno ci abbia mai spiegato sufficientemente che fine fanno questi danari. Allora perché destinare allo Stato l'otto per mille del reddito? non s;:-ebbe meglio destinarlo alle Associazioni di volontariato senza fini di lucro che sono perennemente in deficit? Si potrebbero raggiungere in tal modo due finalità: la trasparenza nella destinazione e nell'utilizzo dei fondi raccolti nonché il finanziamento di attività sociali che lo Stato ha ampiamente dimostrato di non essere in grado di svolgere con le proprie strutture e che delega costantemente ad altri. Filippo Gangemi, Savona Presidente del Comitato Savonese dell'Unione Nazionali Consumatori L'ergastolo per i leghisti? Le brillanti iniziative di fine settimana del signor Bossi e compagni (parlamento di Mantova, Padania, passaporto e moneta del Nord, giubbe verdi, e via andando) provocano in genere commenti che le collocano nell'ambito del folclore locale. Mi auguro che sia così. Ma non dimentico che le sfilate degli Schùtzen vestiti di cuoio (che attiravano anni fa la benevola curiosità dei villeggianti in Alto Adige) furono l'inizio di fatti drammatici. In questi giorni un magistrato mi ha ricordato l'articolo 241 del Codice Penale (del quale, dai lontani studi di Diritto avevo dimenticato l'esistenza). Sono andato a rileggerlo e lo trascrivo testualmente: «Attentati contro l'integrità, l'indipendenza o l'unità dello Stato. Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza dello Stato, è punito con l'ergastolo. Alla stessa pena soggiace chiunque commette un fatto diretto sciogliere l'unità dello Stato». Nerio Nesi, Torino Ma la Resistenza incominciò a Torino Giovedì 25 aprile 1996 nei vari tg e in Temporeale la Rai-Tv ha trasmesso una commemorazione della Liberazione del 1945 caratterizzata da una vergognosa falsificazione storica: sembrava che la lotta per la Libertà in Italia fosse un fatto puramente milanese, quando è pur noto che proprio Milano fu l'epicentro del fascismo repubblichino e delle brigate nere! In dette trasmissioni non si è citato una sola volta Torino, città che fu veramente il nucleo duro della lotta di popolo contro il nazifascismo: lotta che iniziò con i grandi scioperi torinesi alla Fiat (5 marzo 1943; 17 novembre 1943) che costò la deportazione di 300 operai nei campi di sterminio nazisti, e vide il 10 settembre 1943 i popolani insorti chiedere le armi ai comandi militari capeggiati dal gen. Adami Rossi; comincia così la Resistenza ai tedeschi invasori, i primi partigiani seguono in montagna Duccio Galimberti, eroico combattente fucilato poi a Cuneo il 30 novembre 1944 dai nazi. In seguto a tali fatti insurrezionali, Hitler inviò in Piemonte un suo scherano, il gen. SS Zimmermann, che trasformò l'occupazione in feroce regime di polizia; in risposta, seguì un nuovo sciopero di una settimana, dal 1° marzo 1944. Il 31 marzo 1944 furono catturati i membri del Comitato di Liberazione del Piemonte diretti dal gen. Perotti e fucilati, per ordine personale di Hitler, al Martinetto il 3 aprile 1944. Nei 20 mesi di impari lotta (10 settembre 1943-25 aprile 1945) in Torino e in Piemonte caddero migliaia di partigiani, come attestano le lapidi e i cippi posti sui luoghi del sacrificio. Tale sanguinosa epopea è passata sotto completo silenzio nella maleodorante (di ottuso razzismo) rievocazione «storica» trasmessa dalla Rai-Tv. C'è da essere indignati per tanta sfacciataggine anche miserabilmente campanilistica, lontana dalla verità, che oltre a tutto rappresenta una ignobile offesa al sempre bistrattato Piemonte tutto. Scrivo questo per un minimo di verità e nel ricordo di migliaia di caduti per la libertà in Piemonte. Francesco Elgin Torino Mantenersi un diritto-dovere La lettera pubblica su La Stampa del 30 aprile del signor A. P. di Bologna, costretto dalla legge a mantenere una figlia ventiduenne il cui stile di vita è incompatibile con quello del padre, propone un problema serio. La soluzione non sta negli sculaccioni (che anche secondo i pedagoghi più all'antica possono funzionare fin verso i dieci anni, non certo a ventidue) e neppure nel chiudere la figlia a chiave in casa (sarebbe un sequestro di persona: su questo non ci piove). Mi domando però fino a che punto un individuo maggiorenne abbia il diritto di essere mantenuto dai genitori (o dal marito, o dalla moglie, o dai figli o da altri parenti) quando potrebbe mantenersi da solo; in altri termini, se mio figlio non lavora io lo devo mantenere «per sempre»? Direi che la legge andrebbe riveduta, alleggerendo il peso imposto alle famiglie e facendo intervenire la collettività. Un individuo maggiorenne dovrebbe essere reso comunque autosufficiente: o con il lavoro, o con l'assegno di studio, o con l'indennità di disoccupazione, o (nel caso più triste di inabilità) con una pensione. Ciò gioverebbe alla libertà e alla dignità della persona, alla serenità delle famiglie, alla trasparenza e lealtà dei rapporti. Ma temo che neanche un governo di sinistra riuscirà a fare questo, che pure mi parrebbe molto ragionevole e sensato in un Paese moderno e civile. Carlo Molinaro Torino Meno parlamentari un bel risparmio! Hanno innegabilmente ragione tanto la signora Sciutto di Acqui (27 aprile) che desidererebbe ridotti gli ingiustificati emolumenti e le conseguenti connesse prebende che percepiscono i nostri rappresentanti nazionali, quanto il signor Del Ponte di Asti (tre maggio) il quale vorrebbe sopprimere l'immotivata e indebita immunità parlamentare. Io però vorrei aggiungere un'altra analoga osservazione. Ma è proprio indispensabile un migliaio di persone per poter rappresentare l'opinione degli italiani? Non sarebbe possibile ridurre il numero dei deputati e dei senatori, con derivante, certo e copioso beneficio del bilancio nazionale? Penso di sì! Inoltre sono anch'io convinto che un referendum posto in questi termini otterrebbe un indubbio favorevole risultato da parte della popolazione, esclusi ovviamente coloro che per innata avidità o sfrenata ambizione concentrano, come dice il Leopardi, «ogni affetto e inclinazione verso sé stessi». Ma come mai nessuno ci ha provato? Se avessi qualche «decina di anni» di meno sarei forse tentato di approfondire il problema. Continuerò, probabilmente, a sperare. Giulio Vaudano Torino La gratitudine dei friulani Vorrei ringraziarvi in modo tutto speciale per il bell'inserto «Friuli 20 anni dopo». Io sono nata a Torino nel 1918 per il semplice fatto che la famiglia di mia madre da Gemona, sull'onda della ritirata del 1917, è giunta qui. E qui mia nonna, che era una friulana molto saggia, ha pensato di mettere radici per garantire lavoro ai numerosi figli. Erano diventati tutti bravi operai e artigiani (ora sono tutti passati a miglior vita), ma alcuni fecero in tempo a sapere del sisma e a provvedere aiuti per i cugini tuttora residenti a Gemona. Due dei miei zii si recarono colà, anche per portare la nostra solidarietà e la nostra partecipazione ai due gravi lutti familiari, un cugino (60 anni) Carlo Pasini, e una giovane cugina (20 anni) Maria Della Marina, morti durante la prima disastrosa serie di scosse. Nell'estate i miei cugini avevano sommariamente riparato la casa, che crollò poi a settembre al secondo sisma. Io ho visitato i miei parenti a ricostruzione avvenuta, in quella occasione ho provato un grande orgoglio per la mia ascendenza friulana! Le mie vecchie cugine mi raccontarono che, non essendo capaci a far lavori di muratore, si erano «limitate» a sgomberare le macerie, portandole sul greto del fiume. Se pensate che Gemona è situata in alto e il Tagliamento scorre sul piano, e, aggiungo io, le mie cugine erano ampiamente sopra i 60... Leggendo il vostro bell'inserto ho riprovato l'orgoglio di quel «fasin di bessoi» che Voi avete citato tanto a proposito. Grazie ancora! Antonietta Seravalli Torino Niente intrighi al Ministero Come segratario generale dell'Associazione nazionale dei funzionari dell'Associazione civile dell'Interno (A.N.F.A.C.I.), ritengo di dover formulare alcune considerazioni circa quanto asserito nell'articolo «La trincea anti-Di Pietro» pubblicato, il 30 aprile scorso, su codesto autorevole quotidiano. Mi appare assai ingenerosa, e persino offensiva, la definizione del ministero dell'Interno quale «Palazzo degli intrighi, dei dossier e dei servizi segreti», soprattutto nei confronti di tutti coloro, prima di tutto cittadini, che operano in tale struttura e nelle sue articolazioni periferiche e che, con il loro lavoro quotidiano, hanno, da sempre contribuito a garantire lo sviluppo della democrazia nel nostro Paese. Non condivido l'affermazione sui prefetti: «sono loro, infatti, i grandi sconfitti degli ultimi tempi. Loro, orecchie ed occhi di un potere democristiano che non c'è più. Sembrava un binomio indissolubile. E invece ora si parla di Lànder, che dei prefetti non sanno che farsene». Vorrei ricordare che i prefetti e tutto il personale del ministero dell'Interno giurano fedeltà alla Repubblica Italiana e sono, quindi, al servizio esclusivo del Paese e delle sue istituzioni. I prefetti, inoltre, non sono «orecchie ed occhi» ma, come è loro preciso dovere, informano il governo - peraltro non sempre ascoltati - dei problemi del territorio, proponendo e facendosi carico delle possibili soluzioni, proprio per consentire al governo dì poter meglio «mirare» le iniziative da adottare. Sull'A.N.F.A.C.l. che «esce spaccata dal suo congresso per la prima volta», desidero evidenziare che l'Associazione, come ogni organismo autenticamente democratico, vive in un forte ed articolato dibattito interno. Infine, l'A.N.F.A.C.I. non ha preferenze per l'appartenenza politica a questo o a quel partito del prossimo ministro dell'interno. Chiede soltanto che il prossimo ministro - che non dovrà occuparsi solamente, questo sì, di ordine e sicurezza pubblica - venga al Viminale con la chiara intenzione di operare dinamicamente per rendere il ministero dell'Interno ancora maggiormente adeguato alle esigenze del Paese e, a tal fine, l'Associazione offrirà ogni possibile contributo. Antonio Corona, Roma Segretario generale dell'Associazione nazionale dei funzionari del'amministrazione civile dell'Interno Risponde Francesco Grignetti: Il segretario generale dell'Anfaci lamenta come «ingenerosa e persino offensiva» una mia definizione del ministero dell'Interno. Mi dispiace dire che ingenerosa e persino offensiva, per l'intelligenza del lettore, è l'estrapolazione di mezza frase da un contesto che suonava così: «Il ministero dell'Interno, nell'immaginazione degli italiani, resta il Palazzo degli intrighi, dei dossier e dei servizi segreti. Ma lo stereotipo ha più d'un pizzico di verità...». Quanto al resto, non smentisce quanto ho scritto.