BORGES «Gli ultimi giorni del profeta»

La fine del grande scrittore, 10 anni fa, nel ricordo di Bernés, amico e curatore delle opere La fine del grande scrittore, 10 anni fa, nel ricordo di Bernés, amico e curatore delle opere BORGES Gli ultimi giorni del profeta JROMA NA grande eccitazione, il senso di dover quasi lasciare un ultimo panorama della letteratura: scegliere, lasciare titoli e nomi. E poi le ultime parole: «E' finito». E' la cronaca, succinta, dell'ultimo giorno di vita di Jorge Luis Borges. La ricorda, testimone oculare, Jean-Pierre Bernés, professore alla Sorbona, specialista di ispanistica e letteratura latinoamericana. Bernés si trova a Roma, in questi giorni: all'Istituto Italo-Latino Americano commemora il decennale della morte di Borges con una serie di conferenze che vanno dalla scrittura e riscrittura di Borges al ruolo della milonga e del tango. Ma Bernés è molto di più di un esperto di Borges e, nonostante la sua età (è nato a Beirut nel 1940), sembra portare su di sé in certo senso i segni della grandezza, della gravità e della personalità di Borges. La cosa non stupisce poi tanto quando si pensi che Bernés è curatore dell'edizione delle Opere Complete di Borges per l'edizione della Plèiade (il primo volume che comprende le opere dal 1919 al 1952 è uscito nel 1993) e di molti altri inediti borgesiani. Pubblichiamo qui accanto uno di questi inediti, una propria presentazione di Borges per la Plèiade, mai pubblicata e mai tradotta dallo spagnolo. In procinto di scrivere la biografia definitiva di Borges per le edizioni Plon, Bernés ha vissuto in compagnia di Borges per lungo tempo. Questa straordinaria dimestichezza, che ha pochi altri antecedenti illustri nella storia della letteratura, ebbe inizio nel 1975 quando era addetto culturale presso l'ambasciata di Francia a Buenos Aires, durò moltissimi anni e trovò un culmine struggente negli ultimi sei mesi della vita di Borges a Ginevra. Vivendo nello stesso albergo di Borges, Bernés trascorreva ogni giorno da dieci a dodici ore di lavoro con lo scrittore anziano e malato, che a lui affidava, giorno per giorno, la ricchezza e la selezione della sua grande opera. Parlare con Bernés è un po' ripercorrere non soltanto la vita ma gli ultimi giorni di Borges. Dunque, Bernés, la sua prefazione al primo volume della Plèiade si intitola Ritratti e autoritratti. Il ritratto è una delle parole chiave dell'opera di Borges? «Assolutamente no. Tanto per cominciare l'introduzione vera e importante sarà quella del secondo volume che comprenderà le opere dal 1952 al 1986. Il ritratto è soltanto uno degli aspetti dell'arte di Borges e io volevo soltanto mostrare la visione che Borges aveva di se stesso: è noto, infatti, come, nonostante le apparenze, la quasi totalità delle sue opere sia di natura autobiografica. D'altronde è anche noto come, all'inizio, Borges sia stato considerato un elemento un po' stonato nel panorama letterario argentino. Io, al contrario, volevo restituirlo all'Argentina perché credo che la sua dimensione mondiale e universale si nutra di radici argentine estremamente profonde». Ed è per questo che lei ha dato larga parte alle forme della paraletteratura argentina popolare? «Certamente: proprio per trovare le tracco di Borges nel tango e nella milonga, e nei flores de truca, quelle quartine che improvvisavano i giocatori di carte degli arrabales, dei dintorni di Buenos Aires prima di buttare giù la carta. Borges conosceva tutto questo e, oltre alle coplas gauchas di cui era diventato lo storico amava molto le iscrizioni scritte sul retro dei carretti. Si trattava, in origine, di carretti siciliani, con frasi memorabili che Borges collezionava come "fiori di retorica popolare". Il tutto legato a un testo famoso». Quale? «Evaristo Caniego, che, all'origine, però aveva un titolo molto più bello: Seneca en las orillas, cioè Seneca della periferia». Come scriveva Borges? «Quando creava, immaginava un inizio, ma non sapeva ancora se sarebbe diventato una poesia o un saggio o un racconto, poi immaginava una fine e si metteva a scrivere. Ma poiché era cieco, le uniche brutte copie erano quelle che chiamava "brutte copie orali", e nel momento in cui iniziava a dettare, tutto era già immaginato. Queste sessioni di dettatura erano faticosissime perché era meticoloso e non tollerava sbagli». A chi dettava? «A chiunque fosse di passaggio. Anche a me o a Maria Kodama, sua moglie». Che cos'era l'amore per Borges? «Credo che sia stato sempre innamorato, ma soprattutto innamorato dell'amore perché più dell'amore è stato il sentimento dell'a- micizia a dominare la sua vita. E' un sentimento che aveva goduto per la prima volta in Spagna, negli Anni Venti, quando frequentava le tertulias di scrittori di Gomez de la Sema e di Cansinos Assens. A quell'epoca, quando i caffè chiudevano per l'ora tarda, gli scrittori si trasferivano nei casini. Tra gli inediti c'è una bella descrizione di un bordello in Spagna che si chiama La Casa Elena, con il sottotitolo Per un'estetica del lupanare in Spagna». E gli scrittori andavano dalle ragazze? «No, continuavano a chiacchierare». E le donne hanno contato per Borges? «Sì, ma in genere sono stati amori infelici. E' stato sposato due volte e quando ha divorziato dalla moglie, ha detto: "L'ho lasciata e sono andato a raggiungere la mia biblioteca". Prima di morire ha sposato Maria Kodama, che lo ha idolatrato e che è stato l'ultimo amo¬ re della sua vita». Abbiamo la tendenza a vedere Borges come saggio, come profeta. Lei concorda? «Sì, credo che resterà come tale. Lui stesso si è descritto come il guitairero del ocaso, il chitarrista del crepuscolo, del tramonto. E un'altra volta come: "Jorge Luis Borges, poliglotta", vale a dire l'equivalente della torre di Babele quando non c'era confusione e apparteneva a tutti. Ma l'autodefinizione più straordinaria è quella della grande opera che scrive all'inizio degli Anni 60, El Hacedor. Per Borges, per una specie di presunzione mostruosa, essere l'Ha cedor voleva dire essere quello che crea attraverso il Verbo e si identifica con Dio e si mette in competizione con Dio. E' lo scriba ispirato». Lei considera l'ultimo Borges, il Borges semplice e cieco, come il più grande? «Sì, diventa grande quando diventa veramente cieco, padrone di migliaia di libri alla Biblioteca Nazionale e dice: "Dio mi diede al tempo stesso la cecità e i libri". Ma per essere semplici bisogna essere stati complicati e avere dimenticato di esserlo». Com'era la vostra amicizia? «Assai curiosa perché all'inizio io ero molto impressionato ma lo sarei stato assai di più se una delle finzioni generose di Borges (che non mi aveva mai visto) non fosse stata di farmi credere che ero più vecchio di lui, stabilendo così una forma di fraternità. Non ci sono dunque state più difficoltà fino al momento in cui gli dissi di essere Sancito Panza vicino a don Chisciotte e quel giorno lo feci molto ridere, ma lo stesso giorno mi disse: "Vorrei farle un regalo, che cosa c'è su questo tavolo?". "Niente" risposi io. E allora lui disse: "La condanno a essere la memoria di Borges". Quando mi sono schermito dicendo che poiché lui aveva appena scritto La memoria di Shakespeare, avrei dovuto essere una doppia memoria e sapevo malissimo l'inglese, lui, mentre me ne stavo andando, mi disse semplicemente: "Se la caverà"». E l'ultimissimo periodo? «Borges mi chiamò da Ginevra ai primi di gennaio del 1986 per fargli un'intervista sulla latinità e, una volta fatta, disse: "Torni presto a mettere a punto l'edizione della Plèiade". E lavorammo dal 3 gennaio al 4 giugno 1986». All'edizione definitiva? «Sì, ma non si può dimenticare la famosa frase di Borges: "L'idea del testo definitivo deriva soltanto dalla fatica o dalla religione". Queste della Plèiade sono opere complete che aprono la porta a tutte le opere complete che si possono immaginare. Direi piuttosto che è l'Ultima Antologia Personale». E come è stato l'ultimo giorno? «Non sapevo che sarebbe stato l'ultimo giorno, ma con un'eccitazione febbrile di cui non mi rendevo conto Borges mi diede una sorta di ultimo panorama della letteratura, facendo scelte di nazioni e di nomi. Ebbi così una sorta di sunto, di Ultima Inquisizione da parte dell'Inquisitore che stava per uscire di scena. E l'ultima parola è stata: "E' finito"». Angela Bianchini «Nelle ore che precedettero la morte elencava testi e autori della biblioteca ideale» «I suoi amori? Letteratura popolare e folklore di periferia» «La più grande fatica? Trascrivere le sue "brutte copie orali"» AUTORITRATTO SEGRETO Ilo consacrato la mia l'ila alla letteratura e non sono sicuro di conoscer/a e non mi azzarderei a darne una definizione perché per me riinane sempre segreta e mutevole, in ogni riga che ricevo o che scrivo (...). Questo libro è fatto di libri. Non so fino a i/ual/unito gli si addica ima lettura di segnilo, forse sarebbe più piacevole entrarvi e uscirne a caso così come si sfoglia una enciclopedia oppure /'Anatomia della Melanconia di Burton. Forse sarebbe necessario spiegare che sono il meno storico degli uomini. Questo libro raccoglie quello che si è convenuto chiamare la mia opera. A me sembra si tratti di un'esagerazione. Non mi sono mai proposto di scrivere un'opera nel senso di Flaubert o di Wordsivorlh. Mi sono limitato a brevi ai >i 'enture segrete. Come Coleridge, ho sempre saputo fin dalla infanzia, che il mio destino sarebbe stalo letterario, 'ou sapevo allora - cosi come pensava Emily Dickinson - che la pubblicazione non è la parte essenziale del destino di uno scrittore. Jorge Luis Borges (traduzione dallo spagnolo di Angela Bianchini) mmmm La fine del grande scrittore, 1BOGlidelQui sopra, Jorge Luis Borges visto da Levine: in alto a destra, Jean Pierre Bernés Qui sopra, Jorge Luis Borges visto da Levine: in alto a destra, Jean Pierre Bernés