Addio nell'ombra a Dominguìn

Addio nell'ombra a Dominguin Pochissime persone alla cerimonia di Cadice: il figlio Miguel, in lacrime, al fianco della seconda moglie Addio nell'ombra a Dominguin La Spagna diserta i funerali del torero MADRID DAL NOSTRO INVIATO C'era caldo, ieri a San Roque, terra di Cadice, Spagna andalusa, il vento caldo che sempre taglia l'orizzonte perduto del Sud, là dove l'Europa va scivolando pigra nell'abbraccio dell'Africa. Luis Miguel Dominguin, il torero numero uno delle arene di Spagna, lo hanno sepolto dentro quel caldo forte; erano le due del pomeriggio, e il vento si portava via ogni lacrima. Restavano solo gli occhi rossi di Miguel Bosè, delle sue due sorelle, la vedova, i pochi amici che si erano stretti alla bara di legno chiaro. Da dentro, Dominguin celebrava intanto la sua ultima sfrontatezza: di essere morto vecchio, di un colpo al cuore, lui, il più grande, il migliore di tutti, e non nella sabbia di un'arena inondata di sangue, come l'etica della leggenda gli avrebbe imposto. C'era anche un bel sole, che tagliava nette le ombre. «El sol es el mejor torero», dicono gli spagnoli, il torero migliore; intendono dire che senza il sole non c'è vera corrida. Hemingway, che questo l'aveva capito, spiegava di suo che una corrida senza sole è come un uomo senza ombra. Ieri il sole e l'ombra hanno fatto la più bella corrida di Dominguin, l'ultima della sua vita. Ma oltre al sole, e all'ombra, e al caldo andaluso, dov'era la Spagna? Guadiano è un paesino bianco nel territorio di San Roque, sta sulla punta piana di un pezzo di montagna, e di fronte si allargano le ultime onde dell'Atlantico, che già stanno per trasformarsi nel Mediterraneo disteso dall'altra parte di Gibilterra. Anche il suo piccolo cimitero è fatto di mura bianche, candide nella luce forte, con una palma che si alza in fondo al viale. Alle due di ieri pomeriggio ha visto tanta gente quanta mai prima: dicono che fossero duecento persone, e i vialetti di ghiaia erano affollati come il tendido de Las Ventas nei giorni di San Isidro. Ma tolti i gior nalisti e le televisioni, tolti i poliziotti e i guardia civiles, tolti i familiari e la decina di toreri venuti in lutto, alla fine restava ben poco. E' sempre vero che l'ultimo viaggio si consuma nella solitudine. Gli spagnoli non amano af fatto la morte, solo ci convivono. La corrida celebra questa convivenza. Ieri però nel pie colo cimitero bianco che sta a due passi dal mare è parso soprattutto che si celebrasse un triste rituale dell'oblio, che l'assalto debordante degli uomini della televisione non ba stava a recuperare. C'era il grande Antonio Ordónez a ricordare i toreri, c'era Juan Rùiz «Espartaco» col vestito nuovo, c'era Palomo Li nares ormai con i capelli bian chi, Miguel «Miguelin» Ma teos, Francisco Ordónez, anche il nuovo idolo delle donne Jesulin de Urbique. E c'erano i ganaderos che danno i tori alle corride più famose: Alvaro Do mecq, Natalia Fernàndez, Ga briel Aguirre. Ma per un uomo ch'è stato al centro del mondo, divorato dagli occhi degli appassionati e dal cuore delle attrici più belle, che fu amico stretto di Picasso, di Dali, di Rafael Alberti, di Jorge Semprun, anche di Fran- co, certamente, anche del dittatore, con il quale andava a caccia e che ammirava sopra ogni altro («Lui è il migliore», diceva), un uomo così, che finisce sepolto nell'assenza di tutti, o quasi tutti, qualche amarezza nell'altra parte del cielo deve sicuramente essersela portata. Questi giorni di maggio in Spagna sono le settimane della gran festa, come San Gennaro a Napoli. Qui la Feria di San Isidro è un appuntamento che va avanti per quattro settimane e vale una vita; e nella Feria, Dominguin aveva avuto trionfi che ancora se ne parla (una volta, era il '49, ebbe l'ardire di alzare il dito in aria per dire io sono il numero uno, dopo che aveva steso il toro nella sabbia, e non glielo perdonarono mai. Poi, certo, Mennea e Cari Lewis con il loro ditino so¬ no stati soltanto dei ripetenti). La Feria di San Isidro consacra le leggende, dà ricchezze e una gloria che è eterna per definizione. Ma Dominguin l'hanno sepolto il giorno che la Feria comincia, e quella gloria è come se l'avessero un po' dimenticata. La tomba dove l'hanno sepolto è una nicchia bassa sul terreno, un loculo senza orpelli, che sta dentro il sole dal mattino al tramonto. Gli sarebbe piaciuta, lui che il sole l'amava come solo i toreri sanno fare. Ora è coperta dalle corone degli amici, che sono tante nello stretto viale ghiaioso che quasi non ci si passa. Qualcuno tra la gente ha sussurrato che su, poi, ci scriveranno una frase semplice, di questo tipo: «Aquì yace un hombre que nunca quiso morir». Cioè: qui giace un uomo che non volle mai morire. E' proprio così, è proprio vero, dicevano quelli che stavano lì a sentire. Ma poi è morto che la Spagna se ne stava come distratta. Certo, Aznar ha mandato un telegramma di condoglianze, e il parroco di San Roque ha fatto una bella omelia nella piccola cappella affollata di parenti e giornalisti; però il telegiornale «ufficiale» gli ha dedicato un minuto scarso, come se dovesse soltanto celebrare un dovere. Una notizia tra le tante, e non delle più grosse. E anche la stampa nazionale, non è poi che si sia sprecata. L'impressione del viaggiatore - che era arrivato qui portandosi l'eco dell'attenzione che l'Europa e il mondo avevano dato l'altroieri alla morte di Dominguin - è che questo funerale silenzioso, mesto assai più della morte che consacrava, segni drammaticamente la profondità dello stacco che c'è ormai tra la Spagna del mito e quella del quotidiano. La Spagna eterna, immutabile, inchiodata negli archetipi della sua cultura, Cervantes e Unamuno, e però anche Carmen e Dominguin, si è lentamente consumata in questi anni di transizione dal postfranchismo, perdendo lungo il corso del tempo le forme più appariscenti della sua leggenda nera; e ha lasciato in eredità alla Spagna di oggi un consumo culturale più critico, laico nel suo scetticismo di fondo, anche nella sua apatia e nel distacco dalle passioni collettive. Dominguin ha avuto il torto di morirsene in casa sua, e malato. La Spagna di oggi mostra di non avere più tempo, né voglia, di piegarsi alla pietà della memoria. Anche Lucia Bosè, la prima moglie di Dominguin, ha mostrato di non avere più questa pietà: qualcuno dice che l'ha vista al funerale di San Roque, mezza nascosta tra le facce anonime dei curiosi; ma nessune ne è certo. Anzi, tutti dicono che era tanto forte il risentimento, che mai potrebbe esserci venuta. Lei e Dominguin ormai si odiavano disperatamente. E Miguel, nascosto dietro grandi occhiali scuri, ieri teneva forte sottobraccio la seconda moglie di suo padre, non la Lucia Bosè. Una storia che fu grande si chiude su un tempo finito forse per sempre, ora resta solo lo spazio per le curiosità pettegole. Sono i miti, che nell'epoca televisiva finiscono spazzatura. Mimmo Candito E' come se il suo Paese avesse dimenticato l'uomo che per anni l'aveva fatto sognare Il telegramma di Aznar ma solo pochi secondi nel telegiornale Il telegramma di Aznar ma solo pochi secondi nel telegiornale A sinistra, Miguel Bosè con la seconda moglie di Dominguin. A fianco, l'ex numero uno dell'arena, morto mercoledì. Sotto, Lucia Bosè