La carica dei nipoti d'arte di Massimo Gramellini

Il primo giorno dei neo-eletti: da Dell'Utri a Cito, dalla «bella» De Luca al prefetto Serra Il primo giorno dei neo-eletti: da Dell'Utri a Cito, dalla «bella» De Luca al prefetto Serra La carica dei nipoti d'arte Ma c'è anche il deputato-operaio ONOREVOLI MATRICOLE ROMA I più vecchi sono i nuovi. Le ■ matricole del più ammosciato Parlamento della storia si dividono in due categorie: il Depresso e l'Usato Sicuro. Quest'ultimo è la conferma che le restaurazioni non marciano sulle gambe dei nonni, ma su quelle dei nipoti. Annunciati da un clima propizio (pioggia senza speranze e buio pesto a mezzogiorno), i nipotini della Prima Repubblica irrompono sul palcoscenico del potere con il passo molle ma esperto di chi lo calca da sempre e ha soltanto cambiato ruolo. Più delle facce, tutte ricomposte in un espressione pensosa, parlano i pedigree. Nulla di personale s'intende. Però. Marco Follini, già moroteodemitiano e consigliere della Rai di Pasquarelli: eletto col decidi, ole. Paolo Palma, nipote di Misasi e portavoce di Mancino; Massimo Ostilio, capello rosso da born in Usa cresciuto fra le truppe mastellate dell'ufficio-stampa di De Mita: eletti entrambi col ppi, doppio ole. E infine il Nipote per antonomasia: Luca Danese. Mentre al Senato zio Andreotti vota con l'Ulivo, Luca marcia compatto e riconoscente dietro a Querci, il segretario personale di Berlusconi che gli ha lasciato il seggio in cambio di una probabile vicedirezione Mediaset. Requisito fondamentale dell'Usato Sicuro è una solida frequentazione passata e presente di democristiani, l'unica classe dirigente che questo paese abbia mai avuto e che forse si merita. I migliori hanno diritto a sfilare aggrappati all'ascella di De Mita, il più sicuro degli Usati, che ha subito reintrodotto la vecchia usanza dello «struscio». «Mi sento un professore che torna a scuola», dice. Ma non ha perso il vizio di dare i voti. L'Usato Sicuro è emblematico del problema. Ma dove sono finite quelle facce piene di umori e di energie nuove, anche se non sempre sane, che affollavano il Parlamento appena due anni fa? I nuovi comunisti sfilano composti come amministratori delegati, mentre olive e olivi indossano la faccia sbagliata, quella di chi ha perso. Fanno eccezione Furio Colombo e Tana De Zulueta (ridono sempre) e il verde Leccese che gira con l'adesivo «Oui, je suis tenui». Claudio Burlando, per riconoscimento generale il più in gamba, stringe mani come a un fumSrasmSsompp1bddstn funerale: «Grazie per i complimenti», e pare lì li per piangere. Salvatore Buglio, deputato-operaio (l'unico) si guarda intorno smarrito: «L'inizio non mi piace. Speriamo bene». «Per forza che son tristi: gli tocca governare», mormora Saverio Vertone, che però non pare allegrissimo neppure lui. Già, i berluscones. Nel 1994 invasero Montecitorio con baldanza ed efficientismo aziendalista: Miccichè si lamentava del tempo perduto, Zeffirelli spostava i quadri dai muri. Adesso i nuovi di Forza Italia si distinguo¬ no dai ripetenti perchè non portano nemmeno più la spilletta sulla giacca. In compenso sono migliorate le cravatte. La più omaggiata è al collo della matricola più potente, Marcello Dell'Utri. «Sono qui in incognito» sussurra sotto le lenti, ma dovunque si sposti ha una folla di dipendenti intorno. La galleria dei Depressi risucchia anche le poche donne superstiti. Il giochino maschilista su «miss Montecitorio» si infrange fra gli sbuffi seriosi delle pretendenti: la miss magra e uscente Stefania Prestigiacomo e quella prosperosa ed entrante, Annamaria De Luca, con due orecchini a grappolo che le precipitano sulle spalle. E allora tanto vale dirlo: le donne più belle del Parlamento Spento non sono le deputate, ma le giornaliste. Anche le più eleganti, fatta eccezione per Pialuisa Bianco che gira in completo tartarugato e scarpe color cobra. Una macchia d'allegria, prima di risprofondare nel buio. Con il prefetto Serra che sembra un calciatore («Non chiamatemi onorevole, sono solo Achille Serra») e calciatori impettiti che paiono prefetti, come il ju-veltroniano Massimo Mauro con cravattone commovente (e molto più buono dell'originale) o il lazial-finiano Gigi Martini, in posa con Rivera per una foto da album Panini. Mentre i leghisti se ne fregano («Siamo qui di passaggio, andiamo a Mantova»), gli ex missini sono quasi più depressi dei vincitori. Due anni fa salutavano i progressisti premendo per terra la punta della scarpa: «Vi schiacceremo come cicche». Adesso sembra in catalessi persino il tele-sindaco Cito, il loro «esterno» più esuberante: si aggira solitario, con gli occhi a palla. Gianni Pilo sogghigna: «Avete gettato meduse in faccia a Berlusconi? Adesso beccatevi 'sto mortorio. Con noi ci si divertiva di più». Insomma, dipende. Certo se comincia a sbadigliare pure un compagnone come l'avvocato D'Urso la faccenda diventa grave: «Mi sto annoiando. Era meglio se andavo a Ravello..», borbotta al Senato mentre fa la fila per votare, vicino a un Gawronski educatamente perplesso: «Sono confuso...». La fila, altra fotografia della depressione. Parenti degli onorevoli in coda per un posto in tribuna, con la bottiglia d'acqua e il bicchierino di carta capovolto a mo'di tappo. Onorevoli in coda per il tesserino magnetico come in Russia per il pane. Il cattocomunista Beppe Giulietti ha lodato la «valenza livellatrice» della scelta. Massimo Gramellini A lato Marcello Dell'Utri, già amministratore di Publitalia A destra, l'ex sindaco di Taranto, Giancarlo Cito Sotto, da sinistra altre matricole: lo scrittore Furio Colombo, la giornalista Tana De Zulueta e l'ex calciatore Massimo Mauro

Luoghi citati: Mantova, Ravello, Roma, Russia, Taranto, Usa