«Sarò il presidente di tutti» di Fabio Martini

Interno Mancino: «Il maggioritario non significa per forza il muro contro muro» «Sarò il presidente di tutti» Lo «sconfitto» La Loggia: merita stima ROMA. E' l'alba e su Roma pioviggina. Sono le cinque e tre quarti del mattino, Nicola Mancino è già sveglio e apre la finestra della sua casa di corso Rinascimento. Scruta il cielo e Palazzo Madama, che è proprio lì, a un tiro di schioppo: «Chissà come va a finire...» pensa tra sé e sé. La finestra si richiude, Mancino si beve un caffè senza zucchero e inizia il suo supplizio quotidiano. Venti minuti di piegamenti ed esercizi con gli anelli, per tenere sciolta la schiena. E' iniziata come sempre - all'alba e con i piegamenti - ed è finita nel modo migliore la giornata di Nicola Mancino, un ex democristiano che a 64 anni poteva sentirsi già appagato e si ritrova presidente del Senato: è finita con la telefonata di De Mita, con la salita al Quirinale dall'amico Scalfaro. E con la festa che gli hanno preparato i suoi amici del cuore, arrivati di gran carriera da Avellino, quattro personaggi tipici della provincia meridionale, quattro «Amici miei» irpini: il «professor avvocato» Tommaso Sarno («io sono scapolo e stasera festeggiamo a champagne e cubane!»), il dottor Mimmo Delgaizo («mi raccomando il cognome tutto attaccato...»), il professor Ilario Spinello, l'avvocato Beppe Storti che quando vede avvicinarsi la giornalista Stella Pende dà di gomito al suo amico Sarno: «Uhè, non mi andare in tachicardia...». Certo, champagne. Certo, Mancino «ha coronato quello che era un suo sogno, soprattutto dopo il veto di Craxi, 4 anni fa», come racconta il suo ex capo ufficio stampa Paolo Palma. Ma Mancino, di testa e di cuore, è un democristiano integrale, è un personaggio che anche nei momenti di euforia, non si abbandona. E il suo primo discorso è una fotografia del personaggio: pochi artifici per strappare applausi e tanti passaggi venati di preoccupazione per il futuro e un po' anche per il proprie ruolo di arbitro. Con quel suo vocione irpino, Mancino scandisce parole importanti: «Sa¬ rebbe errore esiziale - dice all'assemblea - pensare che una maggioranza, qualunque essa sia, possa scrivere in splendida solitudine le regole del gioco e imporle per una manciata di voti». E ancora: «Il sistema maggioritario non deve essere la causa obbligata di un rapporto muscolare tra maggioranza ed opposizione, il muro contro muro come viatico dell'alternanza». E quando torna dal Quirinale: «Sarò il presidente di tutti e di Violante alla Camera non so nulla: ho già perso i contatti con i partiti». E in questo primo giorno di legislatura al Senato, così diverso da quello scoppiettante e naif di due anni fa con leghisti e «polisti» al primo giorno di scuola, resta impresso il rapporto speciale tra Mancino e un'aula nella quale lavora da 20 anni, dopo una giovinezza da avvocato e un cursus honorum tutto nella sinistra de. Applausi a Mancino quando si capisce che ha superato il quorum e fin qui nulla di speciale, ma poi applausi caldi in ogni occasione possibile. E poi, nell'emiciclo dell'aula, tantissime strette di mano da amici e nemici, il riconoscimento di Enrico La Loggia («Lui sarà im ottimo presidente del Senato»). E Ciri? Dov'è l'amico De Mita in questo giorno di tripudio? I due si sono parlati per telefono ma guai ad avvicinarsi a Nicola Mancino e dirgli, <dei, che è un demitiano...». Guai. Certo i due si conoscono «da 42 anni», come raccontava ieri mattina Mancino nel suo studio, ma di quella tutela non ne può più. Una volta, per far capire la differenza, confidò in famiglia: «Alle elezioni americane io voterei Clinton e De Mita non lo so, forse Bush...». E anche se quelle ombre, poi fugate, sul suo periodo al Viminale lo hanno fatto dormire male, è durante la gestione-Mancino che lo Stato arrestò il capo della mafia Totò Riina. Ieri sera è finita bene, ma la giornata era cominciata malissimo per Nicola Mancino. Anche perché se non fosse stato eletto presidente del Senato, Mancino sapeva già che le porte del governo sarebbero rimaste chiuse per via di quel veto sui «vecchi» che «è partito più che da Prodi, dall'interno del partito, da certi giovani che si sentono già arrivati», come sussurra un grande amico di Mancino come il forlivese Romano Baccarmi. Era iniziata male la giornata in quello studio al primo piano dove per 45 anni ha avuto sede il gruppo della de e dove è riuscito a restare, con tantissimi senatori in meno, il gruppo popolare, n Polo sembra voler trattare e Mancino scaramantico allontanava i cronisti: «Non voglio dichiarare...». Poi il Polo rompe e a Mancino torna il sorriso. Con un televisore a circuito chiuso, la figlia adottiva Chiara, 25 anni, studentessa di Giurisprudenza, segue lo scrutinio assieme agli amici irpini. Alle 18,52 è fatta, il regista fa una panoramica sugli scranni del Polo e Chiara infila un dito nel televisore («guarda quello!»). Indica un senatore che non applaude: è Carlo Scognamiglio. Fabio Martini L'incontro fra il nuovo presidente del Senato, Nicola Mancino, e Oscar Luigi Scalfaro. Nell'altra foto, l'ex capo dello Stato e senatore a vita Francesco Cossiga che, dopo la frattura al braccio, fa terapia di riabilitazione con la pallina da tennis

Luoghi citati: Avellino, Roma