SUA MAESTÀ' MORFEO di Stefano Bartezzaghi

SUA MAESTÀ' MORFEO SUA MAESTÀ' MORFEO Little Nenia debutta alla corte del Sogno nel 1905: cinque anni dopo il fondamentale saggio di Freud Sotto: Little Nemo il personaggio creato da McCay m y * |f m :\ g La psicoanalisi ci ha insegnato a riconoscere e interpretare, dietro le immagini, i simboli dei nostri desideri. Così il fumetto di flinsor McCav... L 24 luglio 1895 a Bellevue, dove si trovava in vacanza, il dottor Sigmund Freud riuscì, finalmente, a interpretare al completo un sogno. Era tanto che ci pensava, ma per vari motivi le cose gli venivano solo a metà. Questa volta fu più bravo o più fortunato, si sa che fortuna e bravura vanno d'accordo. Il sogno è passato alla storia della psicoanalisi come «Iniezione di Irma». Questa Irma era un'amica di famiglia, per la precisione apparteneva a una famiglia amica della famiglia di Freud. Lui l'aveva avuta in cura per una malattia isterica. E l'amicizia tra le famiglie aveva complicato la cura. In tali casi, infatti, l'interesse del terapeuta è grande, ma l'autorità è irrimediabilmente minore. Così Freud aveva proposto una certa soluzione e Irma non l'aveva accettata non prendendola abbastanza sul serio. Le vacanze avevano interrotto la disputa, e ognuno se n'era andato per conto proprio lontano da Vienna. Ma Freud a Bellevue aveva ricevuto la visita di un comune conoscente, Otto, pure lui dottore, che era stato nella stessa località di villeggiatura della paziente, così gli era venuto spontaneo chiedere: «Come sta Irma?». «Meglio», gli aveva risposto l'altro, «ma non completamente bene...». cenza come le donne con la dentiera, pensai che non c'era veramente bisogno di farlo. Poi lei aprì la bocca e sulla destra trovai una grande macchia bianca, in un altro punto vidi estese croste grigiastre su forme notevolmente incurvate che irritavano palesemente i turbinati del naso. Chiamai subito il dottor M., e lui ripetè l'esa Freud si era irritato, e per il significato delle parole e per il tono con cui gli erano state dette. Vi aveva sentito un rimprovero e, sospettoso e diffidente, maniaco com'era, aveva intravisto una vera e propria congiura. Di sicuro Otto era stato messo su dalla famiglia della paziente delusa dal fatto che, dopo tante promesse di guarigione, la guarigione non fosse arrivata. Qualche peso sulla coscienza Freud doveva averlo, perché quella stessa sera, ripartitosene il comune conoscente, aveva scritto la cartella clinica di Irma per consegnarla al dottor M. considerato allora il principale esponente del suo gruppo di studi, e in quel mode giustificarsi e parare eventuali accuse. Solo quando aveva finito di scrivere si era deciso ad andare a letto. E, verso la mattina, aveva fatto lo storico sogno, o almeno il sogno che rese storico, annotandolo subito, e interpretandolo poi. Annotazioni di Freud: «Un grande salone - stavamo ricevendo numerosi ospiti -. Tra di loro c'era Irma. Io la presi subito in disparte, come per rispondere alla sua lettera e rimproverarla di non avere ancora accettato la mia soluzione. Le dissi: "Se hai ancora dei dolori è solo colpa tua". Mi rispose: "Se solo tu sapessi che dolori ho ora in gola, nello stomaco, nel ventre; mi soffocano". Io mi spaventai e la guardai. Era pallida e gonfia. Pensai che, dopotutto, dovevo aver trascurato qualche disturbo, organico. La portai vicino alla finestra, e le osservai la gola, e lei mostrò una certa reti cenza come le donne con la dentiera, pensai che non c'era veramente bisogno di farlo. Poi lei aprì la bocca e sulla destra trovai una grande macchia bianca, in un altro punto vidi estese croste grigiastre su forme notevolmente incurvate che irritavano palesemente i turbinati del naso. Chiamai subito il dottor M., e lui ripetè l'esame e lo confermò... Il dottor M. pareva molto diverso dal solito, era pallido, zoppicava e non aveva la barba... Anche il mio amico Otto era ora vicino a lei, e il mio amico Leopoldo stava percotendole il petto, e diceva: "Ha un'area ottusa in basso a sinistra". Indicò anche che una parte della pelle sulla spalla sinistra era infiltrata (lo sentii come lui nonostante il vestito)... M. disse: "Non c'è dubbio, si tratta di un'infezione ma non importa, interverrà la dissenteria e le tossine saranno eliminate"... Noi conoscevamo anche l'origine dell'infezione. Non molto tempo prima quando lei si sentiva poco bene, il mio amico Otto le aveva fatto un'iniezione di propile... propili... acido propionico... trimetilammina (e vidi davanti a me la formula stampata in grassetto)... Iniezioni di quel genere non si dovrebbero fare così sconsideratamente... E probabilmente la siringa non era pulita...». Freud aveva annotato subito il sogno perché era convinto che l'osservazione dei sogni presenta difficoltà particolari. Il solo mezzo di evitare l'errore in proposito, pensava, è quello di trascrivere senza il minimo ritardo tutto quanto aveva appena sognato, prima dell'oblio totale o parziale. L'oblio parziale è infido. Infatti, se ci si mette a raccontare, presenta qualcosa di lacunoso, si è portati a completare con la fanta¬ sia i frammenti inconcludenti e disuniti forniti dalla memoria. Si diventa artisti a propria insaputa, e il racconto ripeuto periodicamente s'impone alla credulità del suo autore, che, in buona fede, finisce per presentarlo come un fatto autentico, debitamente stabilito. Freud, invece, si mise per prima cosa al riparo dal rischio di diventare artista a propria insaputa. Trascritto il suo sogno, riprese a considerarlo. Intuiva che quella era una grossa occasione. Aveva un vantaggio su molti altri sogni, il punto di partenza era indubbio: gli eventi del giorno precedente. Le informazioni fomite da Otto sulle condizioni di Irma, la cartel¬ la clinica la cui stesura era durata sino a tarda notte. Ma il punto d'arrivo? Freud non ci capiva nulla, allora iniziò un'analisi dettagliata del sogno trascritto sul foglio che aveva sotto gli occhi. Pezzo per pezzo, lo smontò e glossò: «Il grande salone - stavamo ricevendo numerosi ospiti...». Quell'estate, la passava con la famiglia a Bellevue, una casa isolata su una collina, progettata al tempo della costruzione come luogo di trattenimento, quindi con stanze ampie e alti soffitti. Mancavano pochi giorni al compleanno della moglie, e la moglie gli aveva appunto detto di avere invitato per il compleanno alcuni amici, tra cui proprio Inna. Il sogno, dunque, aveva anticipato una circostanza possibile. E così, pezzo per pezzo, Freud si spinse avanti. Lui faceva le supposizioni, lui le accettava o le rifiutava. Completando l'interpretazione del sogno, cominciò a essere convinto di averne afferrato il significato. Il sogno soddisfaceva certi desideri sorti in lui in seguito agli eventi del giorno precedente. Il sogno finiva per decretare che non era lui il responsabile del persistere dei dolori di Irma, ma caso mai era Otto a risultare colpevole di leggerezza nelle cure mediche, a esempio, nel fare un'iniezione. Lui, insomma, nel persistere dei dolori di Irma non c'entrava minimamente. Non solo aveva dato consigli che non erano stati accettati, ma la malattia non lo riguardava essendo di natura organica. Il sogno, decise Freud alla conclusione del suo accanito solitario, rappresentava un particolare stato di cose che avrebbe desiderato si verificassero nella realtà. Il contenuto del sogno costituiva la realizzazione di un desiderio e il motivo del sogno era un desiderio. E da là ebbe inizio L'interpretazione dei sogni, un libro fondamentale per lo sciocco secolo a venire, che uscì presso l'editore Franz Deuticke, Leipzig-Wien il 4 novembre 1900. Il 15 ottobre 1905, a New York nel supplemento domenicale dell'Herald apparve una singolare tavola a firma Winsor McCay. Complessivamente quindici disegni, tre dei quali componenti un trittico per il titolo della serie: Little Nemo a sinistra, In Slumberland a destra, con, al centro, il faccione di un vecchio barbuto intento a dire regalmente a un piccolo, agile e deferente pagliaccio inchinato: «Sua Maestà chiede la presenza di Little Nemo». Nel quarto disegno Little Nemo era messo in mostra: un bambino in camicia da notte e con i capelli arruffati, seduto in mezzo al letto per ascoltare il pagliaccio, che, inchinandosi anche davanti a lui forse per forza d'abitudine, gli comunicava la volontà di Re Morfeo di averlo a Slumberland... Oreste del Buono S S E SERRA SCIVOLO' SUL NOMEN OMEN Scrivete a: Stefano Bartezzaghi «La posta in gioco» La Stampa - Tuttolibri via Marenco 32 10126 Torino SE c'è una cosa su cui si può proprio riposare tranquilli, senza paura di dover cambiare idea, è che scripta volant (molto più che i verba). So che questa mia convinzione viola un proverbio, addirittura un detto latino dei più venerati. Ma secondo la legge Bendazzi dei proverbi, per ogni proverbio ce n'è un altro altrettanto attendibile che lo contraddice. Così alla fola medievale che vorrebbe farci credere che scripta manent io oppongo subito il proverbio che recita: «non c'è nulla di più inedito della carta stampata» (che mi sembra assai più moderno e sensato). Fra gli scritti che mostrano una più decisa tendenza a volare e svolazzare ci sono senz'altro i ritagli dai giornali, ed è così che ora non so più dove siano finiti due articoli di Michele Serra che avevo sforbiciato dall'Unità negli ultimi giorni d'aprile. Nel primo articolo, Serra aveva tradot¬ to il detto latino «nomen omenti come «il nome è l'uomo», e nel secondo ha chiesto scusa per la topica: direi che possiamo perdonarlo senz'altro. Per Alberto Savinio ogni errore meriterebbe una psicanalisi. Magari quel grande scrittore aveva per la materia un entusiasmo eccessivo, ma io, nel mio piccolo, questo eccesso lo condivido hi pieno. In un altro giornale ho letto un articolo su Di Pietro, che riportava il parere di un amico dell'ex-magistrato. L'identità di questo amico non veniva rivelata poiché, diceva il giornale, la persona in questione «ha chiesto l'anoMiNato». L'argomento è di quelli che normalmente si tengono coperti, ma un'antologia di giochi verbali sul tema di «ano» occuperebbe volumi (io vorrei solo ricordare qui ima crittografia a frase di vent'anni fa, dall'esposto emorroide e soluzione «!a nostra zia». Si capisce aggiungendo un apostrofo, e spostando gli spazi fra le parole). Cosa ne direbbe un redivivo doktor Freud? Fortunatamente, con «Nomen omen» è tutta un'altra faccenda. Il detto si deve a Plauto, che però ha scritto «Nomen atque omen». Ormai è invalsa la forma abbreviata, e secondo me c'è anche una diversa interpretazione del significato ma lascerei perdere. Noi diciamo «Nomen omen» e «omen» vuol dire «presagio». Quindi, il nome come presagio di un destino: se uno si chiama Serra, per esempio, scriverà corsivi brevi e di ritmo incalzante. Ma allora, direte voi, perché l'exquestore Achille Serra non scrive altrettanto brillantemente? Perché, rispondo io, in lui il verbo serra riceve un'interpretazione di tipo più carcerario. E Renato Serra, critico e autore di testi non proprio serrati? Lì avrà influito il significato floreale e vivaistico della parola «serra»; parola che peraltro significa anche «costola montuosa», «sega» e, GIANNI ROCCA * IL PICCOLO CAPOKALF ALLORA/ENTRA QUFSTA TAFANI A N FURORA ^ MA «!'//, IL PIFFIC1LF F' FAR FNTRARF IL RFSTO ALL'ITALIA IN AFRICA N FURORA LA VIGNETTA DI MARAMOTTI Treccanino docet, «la parte superiore dei calzoni o delle mutande, che serve a stringerli in vita». Ce n'è per tutti. Il nome è dunque un presagio, per chi ci crede. Ne riparleremo, ma sul versante dei nomi di battesimo: vedo che Frutterò & Lucentini hanno sviluppato teorie e applicazioni astrologiche nella nuova edizione del loro libro sui nomi (Il nuovo libro dei nomi di battesimo, Mondadori). Per tornare a Michele Serra, autoanalizzando la sfortunata traduzione di «Nomen omen» il corsivista l'attribuisce a un «errore etimologico». Perché «etimologico»? Io credo che qui abbia giocato la sua brava influenza 3 dialetto milanese, in cui «uomo» si dice «òmm» (all'incirca come la sillaba mistica tibetana) e «uomini» si dice, appunto, «òmen». C'è anche un proverbio, che non basta a consolare della propria scarsa avvenenza il don Ciccio Ingravallo del Pasticciac¬ cio: «I omen e i tortej hin semper bej», «gli uomini e i tortelli sono sempre belli». Questo proverbio viene così commentato nel dizionario del Cherubini: «All'uomo, se tale, non manca bellezza; la squisitezza delle forme è ultimo pregio nell'uomo; e si suol dire in più casi, ma spec, come per avvisar le donzelle da marito che Chi vuol avere spaccio non deve guardar più che tanto in viso al compratore; che ogni viso gli ha da esser bello se di uomo di qualche ricapito» («uomo di ricapito»: abile nell'agire). Rinuncio al commento di questo brano mozzafiato, sottolineando solo due espressioni: «se tale», proprio all'inizio; e, verso la fine, «compratore». Sia nella versione latina che in quella milanese, omen è una parola foriera di esiti meravigliosi. Anche gli anagrammi non sono male: meno, mone, Nemo e, naturalmente, nome. Stefano Bartezzaghi

Luoghi citati: New York, Omen, Slumberland, Torino, Vienna