CHE SVAGAVANO CALAMANDREI di Piero Calamandrei

CHE SVAGAVANO CALAMANDREI CHE SVAGAVANO CALAMANDREI COLLOQUI CON FRANCO Piero Calamandrei Vallecchi pp. IS7. L 22.000 COLLOQUI CON FRANCO Piero Calamandrei Vallecchi pp. IS7. L 22.000 ON l'approssimarsi dei quarant'anni dalla morte di Piero Calamandrei (27 settembre 1956) hanno già visto la luce rievocazioni dell'uomo e ristampe dei suoi scritti, e altre si annunciano. Una delle più felici è la vallecchiana riedizione dei Colloqui con Franco, del 1923, con una calzante introduzione di Ugo Volli, insegnante di Filosofia del linguaggio all'Università di Bologna. Il libro è principalmente intessuto dalle affascinanti conversazioni del padre con l'unico suo figlio Franco, allora fra i tre e i cinque anni. Calamandrei non era certo un esperto di linguistica o psicologia infantile. Gli scritti scientifici di Jean Piaget e specialmente lli d hk dll quelli di Noam Chomsky e della sua scuola erano ancora ben lontani dal nascere. Ma - come Volli riconosce - questo piccolo straordinario libro non ha l'eguale nella nostra letteratura, e forse neppure in quella europea. Qui parlerò di un altro aspetto, del tutto personale e qua e là anche autobiografico di quest'opera giovanile di Calamandrei, che quando vi si accinse aveva appena toccato i trent'anni. La sua vita scorreva piana e serena tra la cattedra di diritto processuale civile all'Università di Siena e una modesta casa a Firenze, con la moglie Ada e il bimbo Franco, e le lunghe vacanze estive a poca distanza da Montepulciano, in una «casa di campagna», legata per sempre al celebre Inventario che un giorno avrebbe scritto. In viaggio in treno fra Siena e Firenze era tutto preso dalla lettura, dalle meditazioni, dallo spiare l'avvicendarsi delle stagioni. Ma forse non è del tutto esatto dire che nel vagabondare dei suoi pensieri, e dei colloqui con Franco, e della sua calda intimità domestica fosse del tutto assente il pulsare, pur affievolito, della «vita civile» dell'Italia di allora, fra il 1920 e il 1922: un Paese di forti inquietudini sociali, di strascichi dell'economia di guerra come il razionamento e il costo crescente dei viveri, di scioperi a ripetizione (di «scioperati», come diceva Franco nel suo linguaggio infantile, invece di «scioperanti»; e il padre, con ironia, faceva sua l'improprietà del termine, per deplorare l'inquietante abuso); e lo stesso dispregio per la varia logomachia dei parlamentari e la rissosa e già allarmante vita politica. Il padre prendeva al volo qualche singolare errore o battuta del figlio per accentuare il proprio sprezzante distacco dal mondo circostante, convulso e turbolento. Era il riflesso di uno stato d'animo che aveva allora cominciato a diffondersi in tanta piccola e media borghesia, e che - come fin d'allora vide acutamente Luigi Salvatorelli - avrebbe concorso a favorire l'avvento del fascismo. Ma va subito detto che Calamandrei, quale ci appare dai Colloqui, non può certo confondersi con questa massa di «ben pensanti». Lo tratteneva una crescente avversione per i fascisti (i /assisti, come li chiamava Franco), di origine familiare, ambientale e sua personale, che ben presto, dopo i Colloqui, sarebbe stata rinfocolata dall'amicizia con uomini come Salvemini, i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi. Poco dopo, neh"accendersi di un aperto conflitto e delle persecuzioni del regime poliziesco, fino alle sue violenze estreme, all'assassinio, egli avrebbe scelto senza titubanze il suo posto di uomo li¬ bero. Nel corso dei suoi colloqui con Franco, un bimbo che lo incantava col suo linguaggio di «magica stranezza quotidiana», il momento di mettere in atto questa sua decisiva scelta di campo non era ancora nato. Altri suoi limiti ci appaiono nelle considerazioni che chiosano di continuo i colloqui con Franco: nei giudizi piuttosto «passatisti» e, diciamolo anche, un poco provinciali che, pur con arguto e toscano brio di scrittura, toccano l'arte contemporanea (il «mare rosso» come se lo immagina Franco! e così via) o sembrano ignorare l'ultima grande letteratura europea. Così come qua e là par di percepire una certa tradizionale angustia maschilista nella sua diffidenza per le prime donne che osano cimentarsi nell'avvocatura. (Ma quanti progressi avrebbe fatto più tardi, in tutti questi campi!). Tuttavia, la sorpresa più bella per chi leggerà per la prima volta i Colloqui con Franco sono le molte pagine di autentica poesia (non inferiori alle più belle dell'Inventario della casa di campagna e del Diario), spesso avvolte da un dolente senso della vita come di un suo continuo correre verso la morte. Un senso che il piccolo Franco non può certo far suo, ma che lo Piero Calamandrei afferrerà negli ultimi tempi della sua esistenza; quando, quasi presago della prossima fine, sentirà anche lui il «bisogno di aria, di tanta aria», e di rifugiarsi come faceva suo padre, nella casa di campagna, nei pressi di Montepulciano, ad «assaporare la sua gioia di fanciullo»; e gli torneranno a mente «il cielo stellato, il circolo di poltrone nel prato, il nonno al lavoro nei campi, col vestito color di tufo, il sigaro, il suo bacio che sa di tabacco, la festa dell'Epifania, quando il bimbo non prende sonno, mentre di notte la Befana passeggia sui tetti, e la mattina verranno i genitori per portarlo in braccio davanti al camino, e alla grossa calza colma di doni». Così scriverà Franco, pochi giorni prima di morire, con le stesse immagini e la stessa vena nostalgica dei Colloqui paterni con lui di sessantanni prima. Alessandro Galante Garrone

Luoghi citati: Firenze, Italia, Montepulciano, Siena