La vendetta degli «elitisti» di Maurizio AssaltoGiulio Ferroni
Ferroni: certi liberali amici di Tersite piegano leggermente verso il populismo polemica. Da Abruzzese a Zincone: «Reset» contro i politologi che accusavano la cultura progressista La vendetta degli «elitisti» «Ma la sinistra non era troppo snob per vincere?» R"~IIGOROSAMENTE in ordine alfabetico: Alberto Abruzzese, Ferdinando Adornato, Pierluigi Battista, I Giovanni Belardelli, Rodolfo Brancoli, Ernesto Galli della Loggia, Angelo Panebianco, Alfredo Fioroni, Marco Revelli, Giovanni Russo, Giuliano Zincone. Fosse la famigerata «lista» del laureato prima maniera, a ogni nome seguirebbe la spernacchiante ilarità del folletto Paolo Rossi. Invece è il florilegio, compilato da Mario Ajello su Reset, di tutti i preoccupanti epitaffi che da due aimi a questa parte autorevoli politologi e opinionisti hanno pronunciato sulle sorti della sinistra battuta da Berlusconi, tradita dal popolo perché irrimediabilmente antipopolare. Loro, gli «elitisti», facevano gli scongiuri e nascostamente covavano la rivincita. Adesso il momento è venuto. Reset non resiste alla tentazione e fin dal primo numero post-elettorale si toglie qualche sassolino dalla scarpa. «Ma come, la sinistra non era condannata per vent'anni a perdere ancora? Il suo elitismo salottiero, la sua puzza sotto il naso, il suo snobismo antropologico non dovevano liquidarla per sempre?», finge di soiprendersi Ajello, in apertura di un'ampia sezione che comprende anche un intervento di Gianmatteo del Brica alias Giulio Ferroni. L'articolo di Ajello si intitola «La tragica smentita dei "populars"»: ossia di tutti coloro che «vedevano la sinistra come un club di allucinati, sordi alle reali pulsioni del Paese (...). Poi si va in cabina e, guarda un po', esce fuori la sorpresa. Chi è davvero staccato dal Paese? Chi non riesce a capirlo?». E giù la lista, con tanto di citazioni virgolettate, e senza risparmiare quei «fustigatori progressisti che si scagliano contro lo snobismo della loro parte», come Marco Revelli e «lo sventato» Alberto Abruzzese. C'è pure un accenno di ricostruzione storiografica, con l'individuazione del «vero pioniere» del genere: Ernesto Galli della Loggia, che «sul Corriere della Sera del 29 maggio 1994 ha dettato la linea destinata a trionfare nei mass media d'Italia fino al 21 aprile scorso. Titolo: "La si- nistra aristocratica". Occhiello: "Incapace di capire la gente, antiitaliana"». Segue lo svolgimento, ben noto a chiunque ne abbia seguito le propaggini nella polemica politico-culturale di questi anni. Ultimo episodio, che porta l'intera questione alla sua chiarezza teorica, la recente (e perdurante) disputa sul «tersitismo culturale» innescata da un intervento di Bobbio sulla Stampa e dalla lettera aperta che al filosofo ha indirizzato in risposta Adornato dalle pagi- ne della sua rivista Liberal. E proprio in questa discussione interviene Ferroni, rivelando di aver passato la palpitante attesa del 21 aprile rileggendo quei passi del II libro deWIliade in cui fa la sua fra¬ gorosa comparsa il deforme antieroe. «Trovandomi a essere stato sempre dalla parte di Tersite», sostiene lo storico della letteratura, «sono in realtà rimasto piuttosto sconcerta¬ to dal modo in cui Adornato sostiene le sue ragioni». Il direttore di Liberal ne fa «l'emblema del "popolo" comune, della maggioranza degli individui» in quanto contrapposti ai potenti. «Ma non si accorge che, nell'uso fattone da Bobbio e dalla tradizione che ha interpretato in chiave "morale" la figura di Tersite, questi non indica tanto l'uomo comune, ma piuttosto il maldicente (...). Questo Tersite non riscatta ciò che è "basso" e conculcato, ma mira soltanto a deprimere ogni dimen- sione "eroica", ogni ambizioso modello e progetto». Fin qui la (doverosa) messa a punto. Poi l'affondo. «Forse il "tersitismo culturale" consiste proprio nel riferirsi a un universo senza valori e senza progetti, nella riduzione della democrazia a una dialettica cieca in cui il vero e il giusto vengono identificati con l'orizzonte presente, con punti di vista ristretti, condivisi da una maggioranza priva di ogni coscienza di sé». «Dalla parte di Tersite», semmai, Ferroni-del Brica sviluppa un altro ragionamento: posto che lo zoppo oppositore di Ulisse rappresenta una esigua minoranza, c'è da rilevare che «democrazia non significa certo delegare la verità e la ragione al responso della maggioranza: e che non è detto in nessun modo che questo suggerisca sempre le soluzioni migliori e più razionali». Ossia (fuori del mito): «Democrazia non è credere che gli elettori abbiano sempre ragione, riconoscere a priori la razionalità e la giustizia delle loro decisioni». Che è quanto i politologi della famigerata «lista» sono accusati di aver sostenuto. Per colpa, anche, in alcuni casi, di un «certo liberalismo di questa fine secolo», che modella l'equilibrio della vita civile sulle dinamiche del libero mercato. «Si tratta di un modello ideologico "classico", che non confronta in alcun modo con la complessità dei processi sociali in corso e con gli orizzonti della comunicazione globale». Così accade che «chi pensa che le maggioranze possano sbagliare, chi diffida degli effetti delle "piazze televisive"» venga accusato di atteggiamento elitario. Questo (quello di Bobbio) non è elitismo, conclude Ferroni. E' Adornato che «comincia leggermente a piegare verso il populismo». Maurizio Assalto Ferroni: certi liberali amici di Tersite piegano leggermente verso il populismo A lato Ernesto Galli della Loggia, sopra Giulio Ferroni, sotto Alberto Abruzzese
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