Al processo sulle atrocità uno storico accusa: Milosevic primo responsabile «Cella italiana per il boia serbo»

Al processo sulle atrocità uno storico accusa: Milosevic primo responsabile Al processo sulle atrocità uno storico accusa: Milosevic primo responsabile «Cella italiana per il boia serbo» Voci all'Aia, per Cassese «sarebbe infierire» L'AIA DAL NOSTRO INVIATO Se fosse condannato il «boia di Omarska», Dusan Tadic, potrebbe davvero scontare l'ergastolo in una prigione italiana? La voce ha iniziato a girare perché l'Italia, assieme a Pakistan, Iran, Francia, Croazia e Bosnia, figura nella lista degli undici Paesi disposti a «ospitare» gli eventuali condannati dal Tribunale internazionale dell'Aia istituito dall'Onu per giudicare i criminali della guerra nell'ex Jugoslavia. Ma in realtà è lo stesso presidente del Tribunale, l'italiano Antonio Cassese, a gettare acqua sul fuoco. «Noi faremo il possibile per far scontare la pena ai condannati nel loro Paesi di origine - ha detto ! il giudice a Lo Stampa - perché trovarsi in detenzione in un Paese straniero, di cui non si capisce nemmeno la lingua, sarebbe una inutile vessazione, una sorta di doppia pena. E lo scopo del Tribunale non è di infierire». La cosa più probabile, dunque, è che gli eventuali condannati, se croati, sconteranno l'ergastolo in Croazia, se musulmani a Sarajevo, e se serbo-bosniaci a Pale, nella roccaforte di Karadzic, che ancora ieri ha avuto la premura di sbraitare contro questa «Corte di manipolazioni politiche». In ogni caso bisognerà aspettare ancora a lungo, prima di arrivare alla conclusione anche di questo primo, simbolico processo: «almeno due mesi», dice il portavoce del Tribunale. I primi testimoni oculari dei fatti attribuiti a Tadic, soprannominato Dusko, «animella», parleranno infatti solo la settimana prossima. La seduta di ieri, la seconda, e stata intanto interamente occupata dalia deposizione di James (iow, storico militare, esperto di ex Jugoslavia e professore all'Università di Londra. Armato di filmati, proiettore, mappe e penna ottica, Gow ha risposto alle domande del procuratore Grant Niemann, trasformando di fatto la sua deposizione in un atto d'accusa contro i progetti di «grande Serbia» coltivati dal leader jugoslavo Slobodan Milosevic, ancora saldamente al potere a Belgrado, e dunque firmatario degli accordi di pace di Dayton. E' stata un'istruttiva lezione di storia balcanica, perché Gow ha iniziato la sua lunga esposizione (otto orci dalla dissoluzione degli imperi austro-ungarico e ottomano, passando poi per le guerre balcaniche, la Seconda guerra mondiale, il regime comunista instaurato da Tito e, infine, il crollo della Jugoslavia e la guerra etnica. «Nel maggio del 1980, quando Tito mori, la Federazione venne investita da difficoltà sociali, politiche e costituzionali - ha detto Gow -. Le repubbliche (ex jugoslave, ndr) avevano idee contrapposte su quel che il futuro avrebbe dovuto riservare», e fu questo, assieme agli «stretti controlli del comunismo», che alla fine «diede alle repubbliche la forza di seguire la propria strada». Rigidità e intransigenza, in parole povere, condussero alla trage¬ dia. Diversi filmati della Bbc, in cui i principali capi delle milizie serbe vantavano l'appoggio finanziario e militare ottenuto da Belgrado, sono serviti a Gow per sostenere la sua tesi: lo stratega della guerra serba è stato Milosevic, il cui disegno era creare uno stato serbo etnicamente «puro», a spese dei territori di Bosnia e Croazia. Sullo schermo sono passati così i capi delle milizie serbe Zeliko Raznatovic (Arkan), Dragoslav Bokan, Mirko Jovic e Vojislav Seselj, che ha dichiarato di essere stato armato «dalla polizia di Milosevic». La sfilata di volti noti non ha eccitato Tadic, che sprofondato nella sua indifferenza aveva tutta l'aria di annoiarsi. Certo, dopo due anni passati in carcere in attesa del processo, la lezione del professor Gow non deve essere stata il massimo del divertimento per lui. Forse si accenderà quando, finalmente, inizieranno a sfilare i testimoni «veri»: quelli cui il Tribunale ha garantito deposizioni in video e deformazione dell'immagine del volto, per evitare eventuali rappresaglie. Intendiamoci: nell'ex Jugoslavia i cattivi non erano certo solo serbi. Proprio ieri, proveniente dalla Germania, è arrivato all'Aia Zejnil Deladic, anche lui accusato di atrocità, ma con una differenza: è musulmano. E sempre ieri Elizabeth Rehn, relatrice della Nazioni Unite per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia, ha detto che le fosse comuni scoperte un mese fa a Mrkonjic Grad «costituiscono la testimonianza di un terribile crimine commesso in quella città contro i civili serbi». Fabio Squillante