IL TORERO CHE SAPEVA AMARE di Nico Orengo
IL TORERO CHE SAPEVA AMARE L ADDIO A DQMINGUIN IL TORERO CHE SAPEVA AMARE ERA il '53- Sugli ultimi metri della Riviera di Ponente passavano, quotidianamente, Humphrey Bogare, Ava Gardner, Valentina Cortese. Rossano Brazzi, Laureo Bacali, Mankiewicz. Andavano a cercare in Francia, forse a Saint-Paul-deVence, un oliveto per far ballare la gita indemoniata, la VargasGardner. Poi a sera rientravano, Bogart e la Bacali a Sanremo, a chiudersi in albergo. Lei, Ava Gardner, si fermava in un ristorante, a La Mortola. Ad aspettarla, nella penombra profumata di rose e buganvillea, c'era Luis Miguel Dominguin. Lei, allora, andava dietro il banco a preparare il «suo» Martini: sciacquava il bicchiere di vermut e poi lo riempiva di gin. Serate a occhi negli occhi, risate larghe di lei, sonore, strette, accennate le sue. Essenziali. Com'era la sua tauromachia, esaltata dal suo amico Hemingway, da Cocteau, da Picasso: un'arte essenziale, per nulla spettacolare. Un ballare stretto, geometrico, anche un po' sprezzante, come quella volta che uccise un toro vero adoperando la mano sinistra. Molto snob, elegante, sempre attorniato dall'aristocrazia e da belle donne, inseguito dalle riviste popolari, nell'arena era rispettato ma non amato: fra lui e la morte del toro cercava la retta breve, la curva stretta. Non recitava. E non recitando ha ucciso cinquemila tori e visto entrargli nella carne le corna di dodici tori. Era amico di Franco e aiutava intellettuali comunisti come Jorge Semprun. Era un dandy a cui la politica non interessava perché doveva concentrarsi al massimo sulla morte che, ad ogni pomeriggio, lo aspettava nell'arena. Il resto del tempo erano attrici come la Gardner o la Bosé, altri toreri come Bergamin e Ordónez. Aveva cominciato a toreare a Lisbona. A tredici anni. Gli anni della sua prima incornata. Era un autodidatta. Diventò un grande osservatore di tori. Si concentrò per anni a studiarne l'equilibrio dei passi, il baricentro, il pendolio del collo e della testa. Fu, senza saperlo, senza sapere la definizione, un torero zen. Arrivava a colpirli prima con gli occhi che con la punta dell'espada. E senza mai compiacersene. Sentiva quel gioco tragico certo come un'arte ma sicuramente anche come un'oscura missione, una messa in scena della morte e della vita, l'alba di forze del caos e dell'ordine. Una volta vide le proprie viscere avviluppate alle corna del toro e scivolare sulla terra. Ricordò che il grande Joselito, nella medesima situazione, era morto per la paura di morire. Quel ricordo lo tenne in piedi e lo salvò. Nico Orengo AMARE
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