« Per trent'anni una vita di trincea in un bar »
Clara Moiso: non c'è più dialogo, il mondo è dominato dall'arroganza COME CAMBIA LA CITTA' Una donna denuncia le difficoltà di gestire un locale pubblico nella zona «calda» di Porta Palazzo « Per trentanni una vita di trincea in un bar » Clara Moiso: non c'è più dialogo, il mondo è dominato dall'arroganza ICE che sì, è vero, tempo fa s'è rifiutata di servire due clienti entrati nel suo locale, la torrefazione «Moiso» di corso Regina Margherita angolo corso XI Febbraio, per un caffè. Ma aggiunge anche che lo rifarebbe, eccome se lo rifarebbe: «Tengo a precisare che nel mio locale non è mai stato praticato alcun tipo di discriminazione in ragione di razza e della condizione fisica degli avventori. La verità è che ho semplicemente reagito a sei mesi di maleducazione e scortesia. Ho difeso la dignità del mio negozio, trent'anni di lavoro, prima con mio marito, ora da sola. L'ho difesa con la fermezza e la legalità che la clientela mi riconosce da sempre. Perché dovrei arrendermi alla maleducazione? Non lo farò mai». Sono passate tre settimane da quel giorno. Clara Moiso stava dietro il banco, sono entrate due persone: un disabile frequenta- tore abituale da circa 6 mesi della torrefazione e un marocchino. La signora Moiso racconta di aver avuto più volte occasione per lamentarsi della condotta «maleducata» del cliente disabile («In passato aveva rovesciato di proposito sul bancone alcune consumazioni») e di averlo invitato ad allontanarsi. I due hanno ribattuto che un locale pubblico non può selezionare i suoi clienti, deve accettare chiunque si presenti. Sono discriminazioni? Clara Moiso dice di no: «Il fatto è che mi rifiuto di rassegnarmi a subire nel mio locale ricorrenti manifestazioni di maleducazione, lesive della mia dignità e dell'immagine del mio locale. Lo stesso avventore protagonista dell'episodio è stato normalmente servito per oltre 6 mesi. E' stata presentata come segno di intolleranza una reazione determinata unicamente dall'esigenza di autotutelarmi». Per capire bisognerebbe rovesciare la situazione, mettersi dall'altra parte del banco, pensare a 30 anni di storia di Torino, immaginarsi le tensioni che l'hanno attraversata, e che finiscono puntualmente per abbattersi sulle persone più esposte. I titolari di esercizi pubblici sono i primi a cogliere i segnali dei cambiamenti. «E in 30 anni di lavoro in torrefazione - racconta la signora Moiso - molte cose sono cambiate. Non parlo solo della mia zona, perché ho ottimi clienti e so di colleghi che hanno problemi in quartieri come la Crocetta, o Crimea. Il fatto è che è avvenuta una metamorfosi nella nostra società, e io la vivo quotidianamente, sulla mia pelle. Non c'è più dialogo, il mondo è dominato dall' arroganza, dalla maleducazione. Me ne rendo conto, ma dico: spiacente, non lo accetto». E i doveri di chi conduce un esercizio pubblico? In fondo, mia torrefazione non è casa propria, ci sono delle regole da rispettare, anche nei confronti di clienti che possono risultare meno graditi di altri. Clara Moiso lo sa. Ma dice: «Anche i clienti sono tenuti a rispettare le normali consuetudini di civile convivenza, e io non ho nessuna intenzione di lasciare che la maleducazione di qualche raro cliente danneggi l'immagine del mio negozio e lo degradi. Io ricordo sempre le parole di un parrucchiere di via Roma, Cappellini, quando veni/a a prendere il caffè. Mi diceva: complimenti, signora, per come riesce a tenere alto il nome del suo locale in un ambiente così diflicile». Le vetrine del locale di corso Regina Margherita angolo corso XI Febbraio
Persone citate: Clara Moiso, Moiso
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