Evaso 10 mesi fa dal repartino dell'ospedale di Genova, era nel grande giro della droga Un temuto boss della'ndrangheta di Angelo Conti
Evaso 10 mesi fa dal repartino dell'ospedale di Genova, era nel grande giro della droga Evaso 10 mesi fa dal repartino dell'ospedale di Genova, era nel grande giro della droga Un temuto boss della 'ndrangheta Ha un nome l'uomo ucciso a Chianocco E' morto un boss. Francesco Marando, 37 anni, calabrese di Piatì, è l'uomo trovato ucciso venerdì sera nei boschi di Chionocco. Era una delle figure più potenti e rispettate della 'ndrangheta calabrese nel Nord Italia. Con solidi legami in Aspromonte, potenti contatti a Roma, robusti interessi in Liguria e basi operative a Varazze e a Volpiano. Marando era uno dei più temuti ricercati italiani. Aveva riacciuffato la libertà il 5 luglio dello scorso anno, evadendo attraverso una finestra lasciata aperta, dal «repartino» dell'ospedale genovese Galliera (dove era riuscito a farsi ricoverare simulando crisi nervose) e lasciandosi alle spalle una condanna a 18 anni per associazione a delinquere, traffico di stupefacenti ed estorsione. Una fuga durata dieci mesi, sino all'«esecuzione» della settimana scorsa. L'uccisione di Francesco Marando può essere letta come un'intimidazione rivolta al cugino Pasquale detto «Ciccio», il super-boss catturato nel luglio del '93 a Rozzano, proprietario a Volpiano di una autentica villa-bunker, controllata da decine di telecamere a circuito chiuso. E' il segnale che qualcosa sta cambiando nella 'ndrangheta del Settentrione, che sembrava bloccata su pochi, temutissimi personaggi? Al nome di Marando sono giunti i carabinieri al termine di attenti accertamenti sulle date di matrimonio dei pregiudicati: sul cadavere era stata infatti ritrovata una fede nuziale, con un nome, Maria, ed una data, 9-6-90. Gli investigatori hanno scoperto che il pregiudicato calabrese si era sposato proprio quel giorno e con una donna di nome Maria. Il successivo riconoscimento ufficiale è stato una semplice formalità. Francesco Marando era entrato nel «grande giro» intorno al 1900, a vent'anni appena compiuti, quando si trovò coinvolto nell'inchiesta sul seque¬ stro e l'uccisione di Lorenzo Crosetto, l'imprenditore edile rapito mentre giocava a tressette al ristorante Ponte Barra di corso Casale e poi trovato cadavere nei boschi dell'Astigiano. Per sfuggire all'indagine del pm Tamponi era riparato in Liguria, nella zona di Alassio, dove non aveva perso tempo a attrezzare un traffico di stupefacenti. Arrestato una prima volta nell'84, Marando aveva continuato a dirigerlo anche nel corso della detenzione nel carcere di Roma. Spesso approfittava anche di permessi così da partecipare a riunioni operative con i complici che si svolgevano quasi sempre nei sobbor¬ ghi di Genova. Sino al secondo arresto, nel '91. Nella cintura torinese il suo «terminale» operativo era rimasto Francesco Sergi, cugino del Marando, residente a Volpiano. I due erano «alleati» con Domenico Trimboli, 36 anni, di Ardore Marina, Francesco e Gregorio Costantino, 32 e 30 anni, di Catanzaro e con Lorenzo Fiarò, 51 anni, di Reggio Calabria. Negli ultimi anni il gruppo si appoggiava, per la vendita al dettaglio della droga sulla piazza torinese, costantemente su spacciatori stranieri, prima egiziani, poi tunisini, infine senegalesi. Molta dell'eroina venduta ai Murazzi proveni- va dai traffici di questa cosca. Recentemente questo «braccio operativo extracomunitario» era stato smascherato dalla Squadra Mobile di Torino che aveva arrestato alcuni nordafricani nelle cui abitazioni era stata sequestrata eroina per oltre 100 milioni. Ora c'è il rischio di nuovo sangue. Quando cade un boss appartenente ad una famiglia potente le ripercussioni possono essere violente, soprattutto quando viene intaccata una gerarchia mafiosa capace di amministrare decine di miliardi ogni anno. Angelo Conti I killer hanno voluto lanciare «un segnale» II boss Francesco Marando
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