Medioevo l'età dei contestatori

Un'antologia di anticonformisti Un'antologia di anticonformisti Medioevo, l'età dei contestatori il ELL'IDEA corrente che ci si fa del Medioevo, uno dei tratti più difficili da sradicare è che si trattaseli una società resa se conformista dalla paura, dove la sottomissione al potere era totale e ogni protesta rischiava di portare sul rogo. Questa leggenda nera si ritrova già nel volterriano Essai sur les moeurs, dove peraltro il Medioevo è soltanto uno spauracchio agitato per attaccare la Chiesa: a quel tempo, scrive Voltaire, i monaci diventavano signori e principi, riducendo i laici alla stregua di schiavi, e questi schiavi non osavano nemmeno lamentarsi! E' chiaro che in realtà, col pretesto di denunciare le superstizioni medievali, gli illuministi prendevano di mira gli aspetti più spiacevoli del loro tempo: l'immagine d'un mondo in cui un controllo poliziesco sulle coscienze impedisce la circolazione di opinioni sgradite alla Chiesa si attaglia, in effetti, alla società uscita dalla Controriforma assai più che non a quella del Medioevo. Chi voglia sincerarsene può sfogliare il volume di René Nelli, Scrittori anticonformisti del Medioevo provenzale. Eretici e politici, appena pubblicato dalla Luni Editrice. Sfogliare, dico, perché non è un libro che si possa leggere dalla prima all'ultima pagina, ma piuttosto un accumulo alluvionale, una congerie di materiali eterogenei. Le poe sie dei trovatori, ferocemente critiche verso la Chiesa di Roma, si mescolano a preghiere e ser moni impregnati di credenze ca tare e valdesi, ma anche a testimonianze della mentalità magi ca diffusa fra il popolo, come hi nari e incantesimi; il tutto ac compagnato dai commenti entusiastici del curatore, che non bisogna sempre prendere per oro colato. Georges Duby ha messo in guardia in un'occasione contro «i fanatici dell'Occita nia, tra i quali René Nelli fu il più ragionevole»; e il punto più debole dell'opera è proprio presupposto implicito che una tendenza anticonformista fosse propria, nel Medioevo, della sola cultura occitana, e che sotto ogni contestatore si nascondesse per forza un eretico. Certo, in Provenza il conflitto fra catarismo e Inquisizione diede occasione di esprimersi a un ampio ventaglio di voci di protesta; sfogliare questa raccolta è come assistere a un'assemblea rabbiosa e ribollente, dove qualcuno si alza gonfio d'odio ad accusare il Papa e tutti i preti d'essere soltanto degli assassini, mentre qualcun altro deride i frati predicatori venuti dal Nord, che bevono birra e non amano la cucina all'olio, avvertendo i mariti di non lasciar sedere vicino alle loro mogli quegli uomini che non portano brache. Ma questa vocazione alla critica acerba e dissacrante non era certo esclusiva del mondo provenzale. Basta pensare a Dante per accorgersi che nel Medioevo, benché tutti siano credenti e pronti a inchinarsi al volere di Dio, non c'è nulla di umano che sia al di sopra della critica; né papi né imperatori possono pensare di sfuggire al giudizio, e se necessario alla condanna, appellandosi alla loro posizione eminente. Questa libertà di tono, così diversa dalla divinizzazione dell'autocrate che aveva caratterizzato la tarda antichità e che si ritrova in Oriente, è una cifra immediatamente riconoscibile della civiltà occidentale così come si sviluppa nel corso del Medioevo, e neppure il Concilio di Trento e l'assolutismo monarchico riusciranno a sopprimerla. Nel millennio medievale, il potere era stato troppe volte suddiviso, privatizzato, comprato e venduto, e poi ancora reinventato in forme nuove di zecca e prive di qualsiasi legittimazione teorica, dalla signoria al comune, perché fosse ancora possibile circondarlo di un alone sacrale: come scriveva oltre vent'anni fa Giovanni Tabacco, concludendo il suo contributo alla Storia d'Italia Einaudi, «il Medioevo aveva demitizzato il potere». Alessandro Barbero

Persone citate: Alessandro Barbero, Georges Duby, Giovanni Tabacco, Italia Einaudi, René Nelli

Luoghi citati: Provenza, Trento