« Insegniamo a scuola l'antimafia » di R. Cri.
« Le proposte degli esperti al governo. Vigna sulla bombe del '93: non fu solo Cosa Nostra « Insegniamo a scuoia l'antimafia » E Caselli: sta ritornando un clima pericoloso ROMA. Dedicare un'ora a settimana alla «educazione alla legalità», un'ora durante la quale gli studenti possano acquisire conoscenze sulle origini della mafia, la sua storia. Un'ora per conoscere «l'attività svolta nel corso degli anni dalle varie commissioni parlamentari antimafia, i risultati conseguiti dallo Stato». Un'ora per essere informati «sulle idee e sulle proposte formulate per prevenire e combattere la criminalità organizzata». E' la proposta concreta avanzata ieri nella tavola rotonda che si è tenuta al Viminale per fare il punto sulla lotta alla mafia. Il vicepresidente della Camera Luciano Violante, il direttore della Criminalpol e vicecapo della polizia Gianni De Gennaro, il direttore della Dia Giovanni Verdicchio, l'ex giudice statunitense Richard Martin, don Luigi Ciotti, presidente dell'associazione Libera, hanno dibattuto sullo stato attuale della lotta alle cosche e si sono detti concordi che «una conoscenza pro¬ fonda del fenomeno mafioso è indispensabile per combatterlo e sconfiggerlo definitivamente». Il procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli, intervenuto ieri alla presentazione del libro «Mafie e antimafia - rapporto '96», a cura di Luciano Violante, ha parlato di un pericoloso déjà vu. «Si torna a parlare di "professionisti dell'antimafia", dei troppi poteri delle procure, che avrebbero un certo disegno, di tipo politico. Insomma, anche se oggi si è stellarmente lontani da quello che è successo nel passato, c'è un qualcosa di già visto ai tempi del pool di Falcone e Borsellino, i he, poi, venne sgretolato». Queste polemiche, ha spiegato Caselli, «hanno avuto i loro momenti più alti di recente, quando si è arrivati ad attribuire allo strapotere delle procure perfino alcune sentenze di condanna, in Calabria come in Sicilia». Sentenze, sottolinea Caselli, emesse alla fine di un «dibattimento estenuante» nel quale imputati e difensori hanno potuto spiegare, «nella maniera più completa, assoluta», le loro ragioni. Secondo Piero Luigi Vigna, procuratore capo di Firenze, intervenuto anche lui alla presentazione del volume, ci sono stati «imput esterni» per gli attentati del 1993 compiuti da Cosa nostra. Il magistrato ha parlato di un «potere criminale integrato» e ha spiegato che nell'inchiesta c'è un'ipotesi di lavoro che parte «da certe indicazioni» di tre pentiti: Cancemi, Avola e Cannella. Vigna ha affermato che «i pentiti, innanzitutto, fanno rilevare la disomogeneità di questi attentati, rispetto ai normali attentati di Cosa nostra, sia per il territorio dove vengono portati (l'unico esempio precedente, grosso, è quello dell'84, della strage al treno rapido), sia per gli obiettivi, cioè monumenti d'arte, chiese, e così via». Questi fatti, ha aggiunto Vigna, secondo Cancemi non rientravano nella mente di Cosa nostra. Ci vuole una mente più fina». [r. cri.]
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