l'imputato sorride a due ragazze che lo visitano in carcere, il suo avvocato: è vittima di una omonimia «Dichiaro aperta la nuova Norimberga»

l'imputato sorride a due ragazze che lo visitano in carcere, il suo avvocato: è vittima di una omonimia l'imputato sorride a due ragazze che lo visitano in carcere, il suo avvocato: è vittima di una omonimia «Dichiaro aperta la nuova Norimberga» Prima udienza all'Aia per «Dusko», boia serbo L'AJA DAL NOSTRO INVIATO Potrebbe sembrare un commesso viaggiatore, o un impiegato di banca, se non fosse per quelle occhiate gettate di sbieco. Da lupo. Vestito blu scuro, cravatta rosso sangue, Dusan Tadic è accusato di aver ucciso tredici musulmani bosniaci, e di averne torturati altri diciotto. Quante donne ha stuprato non si sa, e comunque l'accusa di violenza carnale è stata fatta cadere su richiesta del procuratore, l'australiano Grant Niemann, perché l'unica vittima dei suoi appetiti che gli inquirenti hanno trovato, la signora «F», ha rifiutato di deporre malgrado le eccezionali misure di sicurezza e le garanzie di anonimato: «Paura di rappresaglie». I suoi amici lo chiamano Dusko, diminutivo che in slavo sta più o meno per «animella», ma grazie alle sue gesta, nel mondo è meglio noto come «boia di Omarska», dal nome del più famoso campo di prigionia della regione di Prijedor, nella Bosnia del Nord-Est. Qui, come ha detto il procuratore Niemann nel suo atto d'accusa, avvennero «fatti di indicibile orrore» contro la popolazione croata e musulmana, allo scopo di rendere etnicamente «pura» una regione che si voleva render parte della «grande Serbia». «Su di me sono state dette menzogne assolute», ha detto Tadic in un'intervista telefonica trasmessa dalla Tv olandese alla vigilia del processo. «Il procuratore le ha ciecamente accettate, senza prendere il tempo di verificarne neanche una». Alto, scuro di capelli, Tadic mostra più dei suoi 40 anni, forse per le «particolari» esperienze di vita. Sposato, due figlie, Dusko aveva un bar di proprietà, ma dietro questa apparente normalità, dice l'accusa, c'era tutt'altro. Tadic faceva anche l'insegnante di karaté, per hobby, ed era «politicamente impegnato», come si diceva un tempo. In quanto riservista della polizia partecipava alle operazioni di «pulizia etnica», e quando gli veniva voglia visitava Omarska e gli altri due campi di prigionia della zona, Keraterm e Trnopolje, per stuprare, torturare, uccidere. Quando alle dieci del mattino di ieri il presidente della Corte, l'americana Gabrielle Kirk McDonald, ha aperto l'udienza, Dusko è apparso nervoso. Poi aldilà del vetro blindato, nella tribuna del pubblico, ha riconosciuto due donne serbe che regolarmente lo visitano in carcere: ha fatto ciao con la mano, ha sorriso, poi si è chiuso nella più assoluta indifferenza. Niemann, pingue e anziano come i giudici buoni dei vecchi film americani, iniziava intanto a martellare. «Le prove d'accusa dimostreranno al di là di ogni ragionevole dubbio che l'imputato, Dusan Tadic, ha commesso i crimini di cui è accusato», ha detto. «Ciò che l'uomo ha fatto all'uomo per la causa del nazionalismo o dell'egemonia etnica nell'ex Jugoslavia supera la più fervida immaginazione». Il difensore concesso d'ufficio a Tadic, l'avvocato olandese Michail Wladimiroff, non ha certo contestato la realtà delle atrocità commesse dai serbi, ma «la tesi della difesa è che, semplicemente, Dusko Tadic non era in alcun modo coinvolto con quanto accadeva nei campi». Si tratta di un caso di omonimia, sostiene l'avvocato, e secondo Tadic stesso, tutto sarà chiarito se i 28 testi della difesa potranno testimoniare davanti ad una telecamera, restando nella parte serba della Bosnia, al sicuro dai cani da caccia del Tribunale internazionale dell'Aia per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia. Anche l'accusa chiamerà i suoi testimoni. Sono cento, e pure loro hanno paura: dei serbi però, non dei giudici. Il processo durerà a lungo, «almeno due mesi». Non restituirà la vita ai morti, ma è il primo processo internazionale contro crimini di guerra dopo quelli di Norimberga e di Tokyo, che chiusero la seconda guerra mondiale. E come dice il portavoce del Tribunale, Christian Chretien, «si tratta di affermare la superiorità della legge sul fucile, al tramonto di un secolo di guerre». Fabio Squillante La versione serba è: nel campo i morti sono stati soltanto due Nelle gallerie di una miniera gettati centinaia di cadaveri ce Rossa circa niva poggiato sulla testa un PRESIDENTE PROCURATORE DEL TRIBUNALE Antonio fì|lÌ|f : CASSESE GENERALE Richard GOLDSTONE PRIMA E SECONDA CAMERA OGNUNA COMPOSTA DA 3 GIUDICI 0 f^l Q Q ìÉI CAMERA D'APPELLO COMPOSTA DA 5 GIUDICI p/J^i^s tt^-^Nfl b/iiSM ù^tSM ft^->M n n n n n IL TRIBUNALE GIUDICA DELLE RESPONSABILITÀ1 INDIVIDUALI PER GENOCIDIO, CRIMINI DI GUERRA E CRIMINI CONTRO L'UMANITÀ' NEL TERRITORIO DELLA EX JUGOSLAVIA DAL 10 GENNAIO 1991. PUÒ' SOLO INCRIMINARE MA NON CONDANNARE, INFINE NON PUÒ' IMPORRE LA PENA CAPITALE. IL MASSIMO DELLA PENA COMMINABILE E' L'ERGASTOLO BE88g33B88Wn8WI9i8HWIWWIWK Due immagini di detenuti nei campi di concentramento allestiti dai serbo-bosniaci per i musulmani, e il manifesto della corte dell'Aia con le foto segnaletiche dei criminali di guerra ricercati Dusko Tadic, il presunto boia del campo di detenzione di Omarska, primo imputato a essere processato dal Tribunale dell'Aia

Luoghi citati: Jugoslavia, L'aja, Norimberga, Serbia, Tokyo