Una ferita aperta Scrittori e eversione il linguaggio che scotta di M. S.

Una ferita aperta Una ferita aperta Scrittori e eversione il linguaggio che scotta iyu| ERRORISMO: in letteratura è rimasto un ar'II gomento che scotta. Sono passati vent'anni dagli anni roventi, dominati da conflitti a : fuoco, scontri, rapimenti ad opera di Br e * I gruppi rivoluzionari, eppure il romanzo italiano solo raramente ha cercato di raccontare quel periodo e i suoi protagonisti. Come mai quest'assenza nella letteratura italiana su un tema così sconvolgente, che ha ispirato tanti scrittori dell'Ottocento e del Novecento e che potrebbe anche riservare tante possibilità di racconto e di scoperta romanzesca? «Difficile dirlo - osserva lo scrittore Raffaele La Capria - probabilmente il linguaggio dei terroristi ha tenuto lontani i narratori mostrando un doppio e contraddittorio aspetto. Da una parte è stato un linguaggio altamente simbolico, ermetico, così impregnato di ideologia tanto da procedere solo per assiomi, frasi fatte, stereotipi. Un linguaggio che mi è sempre parso sostanzialmente immobile. Dall'altra i brigatisti hanno cercato di essere comunicativi, di farsi propaganda, di conquistare adepti alla causa. Questa incongruenza nell'atteggiamento dei terroristi l'ha col- ta bene Dostoevskij. Ne J demoni, nella figura del principe Nicolaj Stavrogin ha raffigurato l'essenza dell'estremismo: un volto bello, accattivante, dotato però della fissità di una maschera mortuaria». Giampaolo Rugarli è uno dei pochi scrittori, insieme a Erri De Luca, Ferdinando Camon, Nanni Balestrini, Giorgio Calcagno, Andrea De Carlo, e alcuni altri, che ha messo al centro delle proprie opere i ragazzi con il mitra e le molotov. «Il terrorismo ha segnato la vita italiana - dice Rugarli - io l'ho vissuto sulla mia pelle. Quando ho cominciato a scrivere La troga dirigevo i servizi esattoriali della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. Mi sono ritrovato in una delle liste compilate dai brigatisti di possibili vittime. Il fatto di venire a conoscenza di essere sotto tiro mi ha choccato e mi ha spinto a cercare di analizzare il fenomeno». Per il romanziere e giornalista Giorgio Calcagno l'ispirazione per il Gioco del prigioniero - la storia di un sequestro che ricorda il rapimento di Aldo Moro - è nata dal desiderio di tratteggiare gli ideali forti e falliti di una generazione. «Al centro del mio libro c'è un terrorista che non sa cambiare - afferma Calcagno la società si trasforma e lui, che è stato carceriere e custode, finisce per rimanere prigioniero della sua ideologia deviata. Inventare questo racconto è stato un modo per affrontare la sconfitta dell'utopia». Di recente molte discussioni hanno suscitato gli interventi dello scrittore Erri De Luca e del politolo go e filosofo Angelo Bolaffi di bilancio del Sessantotto e della sua eredità politica e culturale, apparsi sulla rivista Micromega. Mentre De Luca ha sostenuto (anche in un pubblico dibattito avvenuto a Napoli qualche giorno fa) che gli anni di piombo hanno aiu tato a far crescere la coscienza politica e civile degli italiani, Bolaffi è stato invece assolutamente polemi co contro gli anni bui. «E' un decennio di orrori commenta - che non ci ha lasciato altro che gli orfani delle vittime. L'uso che è stato fatto della violenza è stato una delle forme più criminali di violazione della legge, un modo di praticarla senza assumersene la responsabilità. Non mi stupisce che dal punto di vista letterario il terrorismo abbia dato scarsi frutti Forse c'è una volontà collettiva di rimozione», [m. s.]

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