KEYNES Lo stato dei miracoli

A mezzo secolo dalla morte A mezzo secolo dalla morte la sua ricetta economica continua a far discutere: oggi può ancora essere utile? KEYNES . lo Stato, dei miracoli Y IN questa difficile prima. I vera europea lo Stato soI ciale è posto duramente I in discussione e i governi = I fanno a gara a chi taglia maggiormente la spesa pubblica. Ed ecco il fantasma di Keynes discendere dalla soffitta della storia in cui era stato frettolosamente riposto. Curioso destino postumo, il suo. Osannato negli Anni 60 come il salvatore intellettuale del capitalismo, è ora portato sugli altari dalla sinistra anticapitalista; feroce critico dell'Unione Sovietica, viene oggi considerato da una certa destra come un pericoloso bolscevico; oggetto di un vero e proprio culto intellettuale fino alla fine degli Anni 70, viene ostentatamente ignorato o passato sotto silenzio dalle nuove scuole economiche del mercato. Quale rilevanza può avere oggi il pensiero di John Maynard Keynes, morto mezzo secolo fa, il 21 aprile 1946? Keynes fu un uomo dall'intelligenza eccezionale, nato al momento giusto nel posto giusto: nel bel mezzo dell'aristocrazia intellettuale dell'Impero Britannico, figlio di un professore influente dell'influentissima Università di Cambridge. Alcuni tra i più noti ingegni dell'epoca venivano regolarmente a cena a casa sua, e la bandiera britannica sventolava su quasi metà delle terre emerse. Il giovane Keynes fece buonissimo uso di tutti questi vantaggi e sembrava avviato a diventare un membro brillantemente tradizionale dell'establishment.'' E invece no. Con una rottura che prefigura e prepara la rivoluzione del suo pensiero, si unì a quella parte della giovane élite inglese che, in nome dello spontaneismo, dell'estetica, dell'«attimo fuggente» rifiutava la moralità e la religione tradizionale, il senso vittoriano del dovere; come molti suoi coetanei, anche Keynes visse intensamente una lunga stagione omosessuale. Quasi una profezia Oltre che da simili sviluppi pri vati, la sua giovinezza fu segna ta dal crollo, con la prima guerra mondiale, dell'ordine politicoeconomico del pianeta. Fu così che Keynes, a 36 anni brillante funzionario del Tesoro (a lui si deve buona parte della difesa del valore della sterlina durante la guerra), si trovò a capo della de legazione finanziaria britannica alla Conferenza di Versailles. Qui combatté una dura battaglia perdente contro la stupidità dei vincitori assetati di riparazioni da esigere dai tedeschi sconfitti. Diede le dimissioni sbattendo la porta e scrisse un libro-accu sa, Le conseguenze economiche della pace, quasi profetico degli squilibri economici che si andavano creando e che avrebbero portato alla seconda guerra mondiale. Quest'opera, di gran de successo (centomila copie vendute in pochi mesi sulle due rive dell'Atlantico) segna lo spostamento radicale del pensiero di Keynes dal presupposto otto- centesco di un progresso economico «automatico», derivante da un mercato con poche regole, a una visione del futuro in cui la crescita economica deve essere guidata e conquistata palmo a palmo. La crisi economica del dopoguerra, con le sue decine di milioni di disoccupati, lo rafforzò in queste convinzioni. Messo in disparte dopo le dimissioni, svolse un'attività poliedrica: scrisse un importante trattato sulla teoria della probabilità, divenne un personaggio di spicco nella City e un esponente di primo piano del partito liberale, impegnato a trovare un'intesa con i laboristi. E mentre la disoccupazione, in maniera almeno superficialmente simile a oggi, erodeva in Europa il consenso per le democrazie liberali, Keynes combatté sul piano politico e su quello intellettuale la ricetta tradizionale del risanamento finanziario a base di tagli alle spese. Sul piano intellettuale, tale battaglia sfociò nella pubblicazione, nel dicembre del 1936, della Teorìa generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta. E' impossibile condensare in poche righe il contenuto di quella che fu per un trentennio la Bibbia degli economisti occidentali. Basti dire che rappresenta i sistemi economici unicamente con grandezze macroeconomiche; non utilizza più, tanto per fare un esempio, i singoli prezzi e le singole imprese, bensì il livello dei prezzi e il prodotto nazionale. Fu una sorta di rivoluzione co- pernicana, contestatissima anche perché Keynes dimostrava che i sistemi economici possono essere in equilibrio anche senza la piena occupazione, e sosteneva la necessità di uno stimolo aggiuntivo (maggiori spese pubbliche o minori imposte) al fine di raggiungere l'obiettivo del lavoro per tutti. Spostava l'attenzione dall'offerta alla domanda; e una virtù privata come il risparmio poteva diventare un vizio pubblico perché sottraeva risorse alla domanda complessiva. In questo modo, Keynes fornì alle democrazie occidentali un programma economico (la piena occupazione, il benessere per tutti, un mercato «guidato») da opporre con enorme successo al corporativismo fascista e alla rigida programmazione del socialismo reale. Con questo programma fornì anche su un piatto d'argento la pietra filosofale a una generazione di politici: nel «keynesismo» dei suoi seguaci, i deficit pubblici si tramutavano in spinta allo sviluppo, il debito pubblico in ricchezza nazionale. Il rovescio della medaglia Per un quarto di secolo il sole non tramontò mai sull'economia del ricco Occidente. Non fa meraviglia che gli economisti siano stati a lungo osannati come i salvatori e i portatori di ricette miracolose. Il rovescio della medaglia keyncsiana apparve dopo circa trent'anni. Stabilizzando la crescita dell'economia, le ricette che si rifacevano a Keynes avevano consentito il sorgere di un enorme debito pubblico e destabilizzato le basi finanziarie degli Stati, tutti oggi alla ricerca sempre più affannosa di un sempre più difficile pareggio del bilancio. L'impostazione keynesiana, in altre parole, ha impedito alla navicella del capitalismo democratico di affondare nel mare della crisi e le ha fornito le basi per un rilancio. Oggi, però, vi è il fondato sospetto che ne abbia indebolito le strutture di galleggiamento. I politici, scrisse Keynes, sono spesso prigionieri senza saperlo delle idee di qualche economista del passato. E molti politici attuali sono «prigionieri» di Keynes, specie quando mettono a punto programmi di governo. Ma se oggi il keynesismo ha ancora un senso, deve essere reinterpretato alla luce del mercato mondiale imposto dall'elettronica e dalle telecomunicazioni. In questo mercato mondiale non si possono più - come invece a sinistra qualcuno sembra illudersi salvare, con l'aumento della spesa pubblica, i posti di lavoro degli europei e degli americani, oggi in concorrenza con i lavoratori dei Paesi emergenti, che si accontentano di un terzo del loro salario. Keynes va rivisitato alla luce di Internet. E si tratta di un interrogativo tanto più urgente in quanto contro la disoccupazione diffusa non sembrano esserci alternative valide. Mario Deaglio Conteso fra capitalisti e anticapitalisti, osannato e stroncato, oggetto di un culto intellettuale Additò alle democrazìe la terza via fra corporativismo fascista e socialismo rea!: Salvò l'Occidente dalla crisi del '29, ma avviò la corsa del debito pubblico GLI EREDI IN ITALIA La stagione dei keyhesiani d'Italia è cominciata .subito, nel 1936, con la traduzione della sua opera principale, la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta. L'impatto stilla formazione degli economisti, da allora è stato fortissimo: nessuno, neanche l'anti-keynesiano per eccellenza, che in Italia è Sergio Kicossa, ha potuto trascurare eli confrontarsi con l'opera del Maestro. A «importare» da Cambridge il pensiero keynesiano furono anzitutto Federico Caffè e Paolo Sylos Labini. Il primo da keynesiano puro, il secondo da allievo di Schumpeter. Secondo Sergio Ricossa, liberista tutto d'un pezzo, la comunità degli economisti è storicamente tra le più litigiose. Abbiamo suddiviso i principali seguaci di Keynes nostrani per .sottoscuole di pensiero: perché di keyncsiani puri in Italia non ve ne sono. Con l'eccezione di Anna Caratelli, allieva di Giorgio Lunghini, docente a Padova. KEYNESIANI SPURI Franco Modigliani Paolo Savona Foto: Modigliani CATTO-KEYNESIANI Luigi Pasinetti Nino Andreatta Mario Baldassarri Antonio Fazio Foto: Andreatta NEOKEYNESIANI DI SINISTRA Luigi Spaventa Giorgio Ruffolo Michele Salvati Foto: Spaventa KEYNO-MARXIANI Augusto Graziani Giorgio Lunghini Filippo Cavazzuti Mariano D'Antonio Pierangelo Garegnoni Foto: Graziani LIBERAL-KEYNESIANI Guido Rey Antonio Pedone Foto: Pedone SCHUMPETERIAN-KEYNESIANI Paolo Sylos Labini Giorgio Fuà Foto: Sylos Labini a cura di Antonella Rampino te la sua ricetta economicSSL - KEdeist. l'Occidente dalla crisi 9, ma avviò la corsa del debito pubblico o di un progresso econoautomatico», derivante da rcato con poche regole, a sione del futuro in cui la a economica deve essere a e conquistata palmo a risi economica del dopo con le sue decine di mi disoccupati, lo rafforzò ste convinzioni. Messo in e dopo le dimissioni, un'attività poliedrica: un importante trattato oria della probabilità, diun personaggio di spicco ity e un esponente di prino del partito liberale, imo a trovare un'intesa con i ti. E mentre la disoccupain maniera almeno superente simile a oggi, erodeEuropa il consenso per le razie liberali, Keynes tté sul piano politico e su intellettuale la ricetta traale del risanamento finana base di tagli alle spese. piano intellettuale, tale ia sfociò nella pubblica nel dicembre del 1936, Teorìa generale dell'occue, dell'interesse e della a. E' impossibile conden poche righe il contenuto lla che fu per un trenten Bibbia degli economisti ntali. Basti dire che rapta i sistemi economici mente con grandezze manomiche; non utilizza più, per fare un esempio, i sinezzi e le singole imprese, l livello dei prezzi e il pronazionale. La stagione dei kedella sua opera pla moneta. L'impmo: nessuno, necossa, ha potuto da Cambridge il pLabini. 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