Raccogni nelle scuderie di carlo Alberto il meglio del collezionismo privato Morandi entra in casa Savoia

Racconigi, nelle scuderie di Carlo Alberto il meglio del collezionismo privato Racconigi, nelle scuderie di Carlo Alberto il meglio del collezionismo privato Morandi entra in casa Savoia Quelle bottiglie simbolo di antiretorica ERACCONIGI A nuova stagione in crescendo di Torino città di cultura europea continua ad estendersi felicemente nella sua incomparabile corona territoriale delle dimore sabaude. Dopo Rivoli, dopo Stupinigi si apre ora alle mostre la scuderia della Margaria nel parco del castello, gioiello neogotico eretto dal 1834 da Pelagio Palagi per Carlo Alberto. Morandi e Gonin, il silenzio magico delle bottiglie e delle tazze sussurranti una vita «lenta» nello studio di via Fondazza a Bologna e la «dròlerie» neomedievale delle vetrate romantiche di Pietro Bagatti Valsecchi nel Reposoir della moglie di Carlo Alberto, Maria Teresa di Lorena, incredibile fantasia regale adiacente alle stalle ospitanti le prime vacche svizzere importate in Piemonte. Come a Rivoli, è un privilegio unico di queste sedi espositive sabaude l'offrire l'occasione di una fusione al limite del surreale fra secoli e aure culturali disparate. Per questo, inviterei il visitatore, prima di «pulirsi» l'occhio e lo spirito immergendosi nella sublimazione lirica del quotidiano borghese delle nature morte minimali e dei paesaggi poveri di Morandi, a giocar di fantastico con il gotico melodrammatico della Restaurazione neofeudale, di cui l'enigmatico Carlo Alberto fu campione nei primi anni di regno, fra i pinnacoli coronati dai nidi delle cicogne, gli affreschi e le vetrate dedicati al Beato Alberto di Savoia e il fondale della serra del Prada, perfetta scenografia per una Lucia di Lammermo or. I nudi ritmi della scuderia sono a loro volta del tutto consoni alla scansione limpidissima dei 25 olii e acquerelli e delle 23 carte disegnate e incise di Morandi seguite dai dipinti dei «morandiani», grazie an che all'ottimo allestimento aereo e «soft» di Luca Bottelli e Stefano Vel lano, a tavoloni sfalsati sospesi a cavi per nulla lesivi della struttura storica ambientale. La mostra a cura di Marisa Ve scovo è aperta fino al 30 giugno con catalogo Bianca & Volta e sviluppa Ù discorso della maturità fra le due guerre e dell'astrazione incorporea dell'ultima fase negli Anni Cinquanta, a ,cui corrisponde la mira bile serie di disegni provenienti dal Morat Institut fur Kunst und Kunstwissenschaft di Friburgo. Le scelte sono preziose, distillate, dal meglio del collezionismo privato al di fuori del nucleo inamovibile del Museo Morandi di Bologna: dai curricula delle opere riportati nelle schede (in verità non correlate con la Bibliografia essenziale a cura del Museo Morandi di Bologna) emerge un vero Gotha di mezzo secolo di collezionismo, Mario Broglio, Vallecchi, Piceni, poi Mazzotta, Valdameri, Giovanardi, e di gallerie, Barbaroux, il Milione, il Naviglio, la Bussola, l'Obelisco e lo Zodiaco di Roma, Bergamini, Falsetti. Ancora una volta abbaglia la coerenza di un pittore angelico che lungo tutta la vita non ha né sbagliato né azzardato un solo tocco di pennello; ma che, sotto questa nudità infallibile ed «olimpica» del materiale visivo («Non c'è niente di più astratto del mondo visibile», diceva l'artista), fa emergere di tempo in tempo un flusso vitale, sotterraneo e inquieto, che modifica impercettibilmente ma costantemente un rapporto fra sensi e forma che il pittore volle sempre dinamico. Perché Morandi seppe essere, come e più di ogni altro maggiore nel secolo, sensuale e mentale in pari grado, rinnovando due secoli dopo la magia di Chardin. Quel rapporto fra sensi e intelletto è in continua variazione, nell'essenzialità costante di immutabili preferenze (amori) per una gamma ristretta ed eletta di valori cromatici. Fra la calda, sensuosa modellazione in biacca e bruni con un tocco blu della Natura morta del 1922, già appartenuta al Broglio di «Valori Plastici», e la pura idea fra Platone e la gestalt delle due Nature morte del 1959 (i due estremi della parabola), è stretto il legame di fedeltà a quel colore di sublime ambiguità che trasforma in spirito la terra, il fango, la sabbia. Omaggio gemale anche a quel tipo di colore, al di là di quello letterale alle «bottiglie» come simbolo alto di antiretorica, appare un'ammirevole dichiarazione, polemica, d'intenti la Natura morta di guerra del giovane Morlotti con cui si apre ottimamente la sezione dei «morandiani». Il termine ha un valore oggettivo nel caso del giovane Mandelli degli Anni Quaranta e ancor più nel sottovalutato Ilario Rossi, più sfumato nel caso di Romiti e di Sadun - e qui ritorna soprattutto l'aura cromatica -, diventa simbolico nel caso dell'astrazione lirica di Scialoia negli Anni Sessanta. Quello di Ferroni è un «omaggio», fra storico e concettuale. Marco Rosei A «Natura morta di vasi su un tavolo», acquaforte su rame, 1931: una delle opere di Morandi, alla mostra di Racconigi, curata da Marisa Vescovo, aperta fino al 30 giugno

Luoghi citati: Bologna, Piemonte, Racconigi, Rivoli, Roma, Torino