15 di Franco Pantarelli

15 «Pronto q incontrare Buscetta» Il vecchio capoclan interrogato ieri a New York dai giudici italiani per il caso «Pizza connection» Badalamenti: ma so che non mi crederete NEW YORK NOSTRO SERVIZIO «Un confronto con Tommaso Buscetta? Se volete farlo io sono pronto. Ma so che tanto non mi crederete». Gaetano Badalamenti, il terribile don Tano considerato depositario di segreti che, se rivelati, potrebbero dipanare molte matasse mafiose, è arrivato di fronte ai giudici di Palermo, da alcuni giorni in trasferta a New York. La sua deposizione in un'aula del tribunale di Manhattan è cominciata, molto in ritardo sul previsto, quando in Italia era già sera tardi. Quelle che si possono riferire sono quindi solo le prime risposte, ma il loro tenore sembra confermare in pieno ciò che nei giorni scorsi aveva detto l'avvocato americano del boss, Larry Schoenbach, e cioè che don Tano non è un pentito, non ha nessuna voglia di diventarlo e che non intende dire nulla che non sia strettamente legato al suo interesse: quello di scagionare i figli Vito e Leonardo, imputati assieme ad altre 63 persone al maxi-processo di Palermo. Fra i pentiti che li accusano, come si sa, c'è Tommaso Buscetta, ed è proprio parlando di lui che Badalamenti ha abbandonato per un momento il solito atteggiamento reticente, fatto di «sì» e «no» appena mormorati, per lasciarsi andare a ragionamenti articolati. Ma non c'era acrimonia, nella sua voce. Anzi, ogni tanto gli è capitato perfino di sottoporre i suoi muscoli facciali a una pratica insolita come quella del sorriso. Al tempo della «Pizza Connection», ha detto a un certo punto don Tano prendendo in mano i verbali di quel lontano processo e agitando i fogli nell'aria, Buscetta disse che nessuno della famiglia Badalamenti era coinvolto con Cosa Nostra. «Perché ora ha cambiato opinione? Evidentemente qualcuno gliel'ha fatta cambiare». E' stato a quel punto che il giudi- ce di Palermo Silvana Saguto, che lo interrogava per rogatoria assieme ai due giudici a latere Roberto Binenti e Fabio Licata e al pm Ignazio De Francisci, gli ha proposto il confronto non solo con Buscetta ma anche con gli altri pentiti che accusano i suoi figli, e cioè Gaspare Mutolo, Antonino Calderone e soprattutto Salvatore Palazzalo, che prima di pentirsi operava proprio a Cinisi, per anni il regno incontrastato di don Tano. Lui ha accettato, ma per ora non è chiaro come quel confronto potrà essere organizzato. Badalamenti, formalmente, sta scontando i 45 anni di prigione cui è stato condannato per traffico di droga, proprio al processo passato sotto il termine di «Pizza Conne¬ ction». L'altro punto per cui questo interrogatorio era molto atteso è il delitto Pecorelli, in cui è imputato assieme a Giulio Andreotti. Lui su questo non ha detto nulla, almeno fino al momento in cui questa cronaca si ferma, ma il suo avvocato Schoenbach ha parlato con i giornalisti per dire che Buscetta, quando dice che fu Badalamenti a parlargli dell'assassinio di Pecorelli come di un'azione compiuta per conto di Andreotti, semplicemente dice il falso. Ovvia l'osservazione dei presenti: se Buscetta non è attendibile, perché proprio Schoenbach lo indica come testimone chiave nella richiesta di revisione del processo «Pizza Connection»? Com'è possibi¬ le che in un caso non sia attendibile e nell'altro sia fondamentale? Senza scomporsi, l'avvocato ha spiegato che sì, è possibilissimo perché «non tutti dicono sempre il vero, o almeno non necessariamente dicono il vero al cento per cento». Per lui, insomma, Buscetta rimane l'elemento più importante per tentare di tirare fuori Gaetano Badalamenti dalla galera, ma rimane un elemento trascurabile sul delitto Pecorelli. Ogni tentativo di far parlare l'avvocato del tentativo di «scambio» fra le due cose di cui si è vociferato nei giorni scorsi è caduto nel nulla. Per il resto, don Tano ha sostenuto che la «fuga» da lui compiuta in America all'inizio degli Anni 80 non fu dovuta al timore di restare vitti¬ ma della guerra di mafia che si stava svolgendo ma al fatto che era stanco delle «persecuzioni» cui la giustizia lo sottoponeva. «Avevo un mandato di cattura, ma era stato annullato. Eppure i carabinieri continuavano a tormentarmi, senza che il mio avvocato riuscisse a capire il perché. Di fronte a queste cose uno a un certo punto si stufa. Così ho preso la famiglia e me ne sono andato». La prova che non c'era altro? «Quando i miei figli sono andati in Italia per la morte di mio fratello Vito, nessuno li ha toccati. E mio fratello stesso, rimasto a Cinisi, è morto nel suo letto, di cancro». Franco Pantarelli

Luoghi citati: America, Cinisi, Italia, Manhattan, New York, Palermo