La «prima linea» dei medici italiani e il qualunquismo psicoterapico

Per l'Ulivo le grandi prove vengono ora LETTERE AL GIORNALE La «prima linea» dei medici italiani e il qualunquismo psicoterapico La vera differenza sono ospedali e stipendi In concomitanza dell'ultima puntata televisiva di «E. R. medici in prima linea», è stato pubblicato sulla prima pagina de La Stampa di giovedì 18 aprile 1996, l'ultimo dei numerosi articoli con cui, molto giustamente, si è voluto sottolineare la qualità della produzione in questione. Ma anche questa volta, con inesorabile puntualità, le considerazioni terminavano con uno sconsolato confronto tra i medici protagonisti del serial e quelli dei nostri ospedali identificati senza distinzioni con la famigerata «malasanità» Sono un medico che da alcuni anni ha scelto di lavorare in un pronto soccorso a costo di sacrifici e fatiche che chi non svolge questo lavoro difficilmente riesce ad immaginare. Sono stato molto colpito dalla similitudine impressionante tra le situazioni proposte dal telefilm in questione e la nostra realtà. Vi assicuro che la vera differenza tra noi e loro non sta, come recita l'articolo, nella «dedizione altruistica dei medici protagonisti» ma sicuramente nelle strutture ospedaliere, nella riconoscenza manifestata nei nostri confronti, e negli stipendi percepiti. dr. Filippo Ramella Aiuto di Medicina interna all'Ospedale di Biella Il «testo sacro» dei lavoratori Tanti parlano di problemi del lavoro e di disoccupazione giovanile ipotizzando scenari e rimedi che convergono sul «rischio necessario» di riduzione dei livelli di garanzie e di sicurezza in atto, ma nessuno trova il coraggio di proporre la revisione del sacro testo dello Statuto dei lavoratori, che dovrebbe essere riformato alme- no per il 50% se veramente si pensa di sostituirne l'intransigente rigidità accogliendo quei principi e criteri di flessibilità da tempo affermati ed acquisiti nel resto del mondo. E' altrettanto evidente che solo in Italia esiste un potere sindacale in grado di condizionare qualsiasi governo e qualsiasi scelta non gradita per cui il rischio necessario resta soltanto una ipotesi ancora molto lontana dall'eventuale realizzazione. Salvatore Giraci Napoli Non andare dove ti porta l'analista Va' dove ti porta il cuore - caso editoriale dell'anno pag. 66: «Prima di decidere della tua partenza - ricorda la nonna alla nipote - mi avevi posto un'alternativa: o vado un anno all'estero oppure incomincio ad andare da uno psicanalista (...). Puoi andare via anche tre anni ma da uno psicanalista non ci andrai neanche una volta». Io sono una psicoterapeuta di mestiere: un tempo avrei dissentito, oggi, invece, concordo. Perché? Perché come sostiene il grande psicanalista junghiano J. Hillman nel testo dal titolo Cento anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, «non è che non si abbia bisogno di andare all'interno, ma dobbiamo vedere cosa si fa quando si va all'interno dello psichismo di una persona». Purtroppo, in questo ambito, è molto facile commettere «errori» (che spaziano dal qualunquismo psicoterapico alle diverse forme di manipolazione psicologica del paziente) e la verifica, nella maggior parte dei casi, è talmente differita nel tempo da rendere ancor più faticosa l'individuazione dei medesimi. Ci si domanderà: «Ma come è possibile il verificarsi di si- tuazioni di tal fatta?». La legge 56/89 recita che il futuro psicoterapeuta deve possedere una specifica laurea, effettuare un rigoroso training formativo personale, sostenere un periodo di tirocinio teorico-clinico, sottoporsi periodicamente a supervisioni e controlli. Il fatto è, direi, che in teoria i conti tornano sempre mentre in pratica un po' meno. Ne sono un esempio le ben note «sanatorie all'italiana» tra le quali citerei (La Stampa del 10 gennaio 1996) l'emendamento del 24 dicembre 1993 che regolarizzava qualsiasi assunzione o scatto di carriera il¬ legittimo dei pubblici dipendenti che si fosse registrato fino a sei mesi prima (L. 537/93 comma 6 art. 3). Tale emendamento ha permesso a molti di accedere al ruolo dopo periodi più o meno brevi di consulenza e di precariato anche in mancanza della specifica laurea in Psicologia (sostituita da laurea in Lettere o in Pedagogia). Abbiamo poi il presidente del consiglio regionale piemontese dell'ordine che sul Notiziario dell'ordine Torino, dicembre '95 scrive testualmente «che poi le scuole di formazione presenti sul mercato e non parliamo qui di quelle che hanno avuto l'imprimatur ministeriale - siano troppe e molte prive di qualsiasi dignità scientifica e didattica è incontestabile». Alla luce delle suddette considerazioni mi sembra che la situazione della psicoterapia in Italia negli Anni Novanta si commenti da sé. Marina Dacomo, Torino Corsi abilitanti uno spreco di denaro Con grande indignazione ho accolto la notizia dell'istituzione dei corsi abilitanti all'insegnamento: ancora una volta si perpetra lo spreco dei soldi di tutti tramite iniziative di nessuna utilità. Sono un insegnante abilitato all'insegnamento ed ancora precario come moltissimi miei colleghi in tutta Italia, ed è con grande angoscia che ho appreso che nella Finanziaria è stato inserito un comma con il quale si stabilisce l'istituzione dei corsi abilitanti per il passaggio di ruolo senza concorso. Pensavo che tale iniziativa sarebbe subito apparsa assurda e quindi bloccata, ma ciò non sembra che avvenga, ed allora mi chiedo che fine faranno i migliaia di precari abilitati e vincitori di concorso, che stanno aspettando l'assunzione dal 1992. Già, perché non c'era nessuna necessità di avere ulteriore personale, come appare chiaro dagli elenchi dei soprannumerati e dei cosiddetti D.O.A. Quindi questi corsi abilitanti sono assolutamente inutili in quanto qualsiasi cattedra può essere assegnata a perso¬ nale precario in possesso dell'abilitazione, senza spendere soldi inutilmente. Sarebbe invece utile modificare le attuali disposizioni di legge che non permettono l'assunzione di personale che abbia conseguito l'abilitazione in provincia diversa da quella in cui vi è la cattedra vacante ed in cui l'insegnante si sia iscritto per il conferimento delle supplenze. Abolire tale norma eviterebbe spreco di risorse umane e finanziarie, permettendo la mobilità di personale già in possesso di tutti i requisiti per l'assunzione. Vorrei inoltre sollecitare una maggiore apertura del doppio canale eliminando l'iniqua disposizione riguardante il triennio in cui devono essere stati effettuati i 360 giorni di servizio: a molti è accaduto di averne molti di più, ma a cavallo tra un triennio e l'altro, per cui sono stati esclusi. Federico Boido Mussolini, OdB e la precisione storica La notizia di agenzia riportata il 23 aprile su La Stampa (Pubblicata l'autopsia, Mussolini un solo colpo fu mortale) mi lascia un po' perplesso per la mancata puntualizzazione. Larghi stralci della perizia dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Milano erano già stati pubblicati da Oreste del Buono nel suo La debolezza di scrivere edito da Marsilio. Posso accettare la distrazione della AdnKronos, ma avreste dovuto citare uno dei collaboratori più validi de La Stampa, caratterizzato da meticolosa precisione negli studi storici. Non ho mai avuto la ventura di conoscerlo, ma lo ammiro moltissimo, proprio per la sua serietà. Antonella Zucchino Alassio

Persone citate: Antonella Zucchino, Dacomo, Federico Boido Mussolini, Filippo Ramella, Hillman, Mussolini, Oreste Del Buono, Salvatore Giraci

Luoghi citati: Italia, Milano, Napoli, Torino