Chiamami birra sarò il tuo mito Così la Peroni inventò le bionde di Bruno Ventavoli

Il celebre marchio compie centocinquant'anni e un libro Electa Il celebre marchio compie centocinquant'anni e un libro Electa ne racconta l'avventura Chiamami birra, sarò il tuo mito Così la Peroni inventò le bionde ]L Piemonte sabaudo cullava il sogno di un grande Stato. Francesco Peroni inventò una grande birra. E a lungo i due sogni corsero paralleli. L'imprenditore, nato a Galliate, in terra di cotoni e fustagni, nel 1845 decise di trasferirsi a Vigevano per costruirvi una fabbrica di birra, moderna e efficiente. Sgorgò così la «Peroni», che celebra la sua effervescente avventura nel bel volume Birra Peroni. Centocinquant'anni di birra nella vita italiana, pubblicato da Electa e curato da Daniela Brignone. Una storia affascinante che miscela cultura imprenditoriale e costume, abitudini alimentari e storia nazionale (con un prelibato corredo di immagini e fotografie). Francesco Peroni, bottigliaio, assetato d'utopia, crea nella prospera Vigevano una fabbrica modello. Impiega otto operai. Tre «garzoni di negozio» vivono con lui, nella casa-azienda. Come tutti gli altri mastri birrai del tempo, produce e vende direttamente. Ma il commercio è arduo. Gli italiani preferiscono placare la propria sete con altre bevande più economiche. I balzelli sono alti, i costi industriali altrettanto. Il risultato è che la birra è alquanto cara. Un litro vale quanto un chilo di pane, e quasi il doppio d'un litro di vino. Peroni è uomo d'affari e di genio. Non si lascia scoraggiare dalle difficoltà, dai dazi, dai balzelli, dalla concorrenza enologica. Sogna per la birra un futuro spumeggiante. E gioca d'anticipo sulla Storia. Nel 1864 prende contatti per costruire una fabbrica a Roma, ancora saldamente capitale dello Stato Pontificio. Tre anni dopo, si trasferisce al Sud anche lui per accudire meglio l'azienda, perché intuisce che da lì, dal centro della futura Italia, può intensificare gli affari nella frammentata e esile industria bir¬ raria centro-meridionale (nel 1896 taglia definitivamente le radici, vendendo la sede di Vigevano). Nel fervore di Roma, il signor Peroni capisce che conviene separare la produzione dal commercio. E investire in immagine. Pone il suo nome sul prestigioso Caffè del Corso, affianca un elegante chalet in stile liberty alla nuova sede, in via del Cardello, dove si può degustare la famosa birra «tipo Monaco» e giocare a dama, scacchi, domino. Innova le tecniche per la fabbricazione, trae profitto dalle scoperte di Pasteur, dai miracoli nell'industria del freddo e del ghiaccio artificiale. Cura la rete degli «spacciatori», autentica fonte di ricchezza e proselitismo. Roma, come previsto, è il trampolino di lancio per il birraio di Vigevano. Con una politica di oculata gestione finanziaria e patrimoniale (una costante della Peroni nei suoi 150 anni di vita), con accordi commerciali strategici, la sua azienda diventa nel nuovo secolo leader in Italia. Supera brillantemente crisi economiche, guerre, altalene dei gusti alimentari. Acquisisce altri marchi e apre succursali. Attraversa il fascismo, disseta il boom economico, affronta sfide multinazionali. E oggi, dopo un secolo e mezzo di idee e battaglie, dopo dolorose ristrutturazioni e fusioni finanziarie, continua a essere leader nel mercato italiano (con mia quota del 36,49%) conservando nella dirigenza i cromosomi del fondatore. La birra in Italia nasce come bevanda elitaria. Costa cara e viene considerata un genere voluttuario come il caffè o lo zucchero. E' solo con i primi vent'anni del Novecento che comincia a conquistare fasce più ampie di fedeli. In parallelo all'estendersi della moda del cinematografo, dei caffè, della villeggiatura. La Peroni è fin da subito molto attenta alla pubblicità, alla comunicazione di massa. All'inizio del secolo partecipa con i propri stand alle manifestazioni sportive, alle esposizioni universali. I carri dell'azienda per il trasporto delle bevande (trainati dai cavalli) attraversano le vie cittadine ostentando grandi scritte pubblicitarie. E soprattutto cerca di «italianizzare» il marchio. Dal 1910 lega il proprio nome all'immagine di un ciociaretto, un pastorello con le «ciocie» ai piedi e un boccale in mano. Una campagna co! duplice obiettivo di dimostrare che la birra può essere nostrana e gradita anche al popolo, al contado, al paese che lavora. Negli Anni Venti sposa una nuova immagine pubblicitaria: un indaffarato cameriere, con tre boccali per mano, disegnato dallo studio Arrigo Coen di Musocco (in provincia di Milano). Nel frattempo i birrai italiani si uniscono per campagne comuni. Attraverso giornali e radio, spiegano che «chi beve birra campa cent'anni». Lo sforzo è quello di allargare il consumo, portare la birra fuori da bar e mescite, farla entrare nelle case, nelle sporte delle massaie. Si raccomanda agli italiani di inserire la birra nella loro dieta, perché nutre quanto pasta e pane. La Peroni sottolinea che la sua è una bevanda sicura nella ridda di contraffazioni, sofisticazioni, annacquamenti. Che è la migliore birra per «romani de Roma, campagnuoli, uomini d'affari, sportivi, donne». Sponsorizza manifestazioni atletiche, organizza gare di corsa per camerieri con vassoio. Crea negli Anni Trenta il famoso «quintino», soprannominato «peroncino», mia bottiglietta che contiene l'esatta quantità di un bicchiere, da consumare al bar, garanzia di freschezza e purezza del prodotto. Nel 1958 i birrai italiani decidono ancora di comunicare insieme. Stipulano accordi commerciali, unificano il formato delle bottiglie, si mettono all'avanguardia in Europa. Stimolano la sete con un'altra campagna pubblicitaria comune (fino al 1965) che usa testimonial d'eccezione come Anita Ekberg, Buscaglione, Tognazzi, Mina. La Peroni regala ai dettaglianta una fortunata linea di oggetti, dai teli ai boccali, dai posacenere ai «tappi» giganti affissi davanti ai bar. Il vero capolavoro Peroni è del 1963. Quando, con Nastro Azzurro, conquista il cuore, l'immaginario, la Storia. La nuova birra, di 13 gradi, fortemente luppolata e quindi più amarognola, deve il nome al premio conferito alla nave più veloce nel traversare l'Atlanti- co. Sul barattolo, sulle etichette, usa molto bianco, come in America, innovando la grafica del momento ancora succube dei caratteri gotici e del nero-oro teutonici. Viene prodotta nei neonati stabilimenti di Napoli e s'affida a una geniale campagna pubblicitaria. Ini- zia con Caroselli (creati dallo studio Sigla) che dicono «Birra sì, però Peroni». Abbandonati quasi subito, perché sorge un conflitto con un altro marchio. Il testimone passa ad Armando Testa che conia imo degli slogan più fortunati: «Chiamami Peroni, sarò la tua birra». La fatidica frase è una rivoluzione copernicana del gusto e della suggestione. Suona facile e provocante, in bocca alla biondissima Solvi Stubing (il primo carosello è girato da Citto Maselli a Gaeta). L'attrice nordica diventa per antonomasia la «bionda Peroni» (in successive incarnazioni, fino alla Lagerback, «la bionda perla vita») per «uomini ad alta gradazione». Placa con la sua carica eroluppologica non solo la sete ma anche il desiderio. Per sempre. Bruno Ventavoli Dal «ciociaretto» del 1910 al «sogno» di Solvi Stubing ra a o ne racc ; ciociaretto che nel 1910 simboleggiava la birra; accanto, Solvi Stubing la «bionda Peroni» Sopra, il cameriere Peroni utilizzato nelle pubblicità degli Anni Venti