La rivincita della Fuci Nuccio e Romano,i goliardi cattolici di Filippo Ceccarelli

la rivincita della luci la rivincita della luci Nuccio e Romano, i goliardi cattolici I «VISI PALUDI» CROMA OINCIDENZE e ricorrenze d'attualità. Con l'ex fucino Romano Prodi che sta per andare al govèrno, e l'ex fucino Nuccio Fava appena insediato al Tgl, la Fuci, Federazione universitaria cattolica italiana, celebra oggi, a Firenze, il proprio centenario. Copertura giornalistica e televisiva assicurata. Non succedeva da tempo. Per anni e anni la gloriosa organizzazione fondata da Romolo Murri è stata messa in ombra dai meeting e dalle suggestioni di CI, storica concorrente e anche avversaria. Il risveglio di oggi, oltre che con il centenario, coincide infatti con quell'ormai evidentissima rottura dell'unità politica dei cattolici che - paradossi della storia - riporta un cattolico del giro del milanese «Augustinianum» a Palazzo Chigi e un ex dirigente alla guida del più seguito telegiornale. Ma altri ardenti ex fucini, intanto, si segnalano nel nuovo Parlamento, in significativa varietà generazionale. Un po' meno politica, perché sono quasi tutti dell'Ulivo: da Adriano Ossicini, che già nel 1938 stupì il giovanissimo Andreotti per il suo acceso antifascismo, a Peppe Lumia, cresciuto nella recente stagione del volontariato, passando per Leopoldo Elia, Gerardo Bianco, Raffaele Cananzi, Alberto Monticone, Rosy Bindi e diversi altri. Così, al Polo e dintorni, di ragguardevole ex fucino resta in pratica solo Francesco Cossiga, che si dimise «quando fui eletto deputato perché non amavo, come non amo ha spiegato una volta - mischiare l'apostolato alle dipendenze delle gerarchie ec¬ clesiastiche e la militanza politica». Mentre per quel che riguarda la Lega può essere utile sapere che pure Irene Pivetti, sia pure per poco, frequentò (presentando all'ateneo milanese la lista «Dialogo e Rinnovamento») la storica organizzazione degli universitari di Azione Cattolica. E tuttavia, senza riandare all'antica stagione dell'Opera dei Congressi, e del beato torinese Piergiorgio Frassati, la stagione d'oro della Fuci resta quella bellica degli Anni Quaranta, quando nel palazzone di via della Conciliazione, sotto l'occhio vigile dell'assistente centrale, monsignor Giovanni Battista Montini, si ritrovarono Aldo Moro, come presidente, e Giulio Andreotti, allora direttore di Azione fucina. Poi il primo partì soldato, e il secondo lo sostituì al vertice, serbando per sempre «un dolce ricordo di quell'epoca beata». E fu in effetti una vera fucina di classe dirigente democristiana, quel distaccamento di futuri politici che con prudente gradualità, quasi sempre contrastando l'occhiuta sorveglianza di Luigi Gedda, andarono scoprendo le laceranti contraddizioni dell'autonomia politica. Da «falangi - anticomuniste - di Cristo Redentore», i goliardi cattolici per certi versi anticiparono gli sviluppi conciliari e inusitate aperture al dialogo: «Avevamo in tasca - ricorda oggi Nuccio Fava - l'Unità e l'Osservatore romano». «Visi pallidi» li chiamavano gli universitari laici, a cui i fucini sembravano irrimediabilmente troppo mesti e seriosi. Eppure talvolta, specie nelle settimane teologiche all'abbazia di Camaldoli, riuscivano pure a divertirsi con tipici scherzetti da prete (al povero monsignor Costa, grandissimo assistente, sostituirono il numero della stanza, lasciandolo a vagare davanti al bagno delle donne). Il Sessantotto - inutile dirlo - fu l'inizio di quella che parve a lungo la fine della Fuci, che perse al tempo stesso iscritti e cervelli. Più tardi, in coincidenza con il pontificato di Giovanni Paolo II, CI si pose come realtà molto più vigorosa e attraente perii mon- do giovanile. I primi segni di rinascita negli Anni Novanta, quando, ormai dichiaratamente nell'orbita cattolico-democratica, i dirigenti nazionali, soprattutto Stefano Ceccanti e Giorgio Tonini, prima stimolarono e poi assecondarono anche dal punto di vista organizzativo l'ondata dei referendum istituzionali di Segni. Oggi i fucini lavorano anche con la Legambiente. Filippo Ceccarelli

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