Il film migliora il romanzo Via dal libro per Las Vegas di Masolino D'amico

Il film migliora il romanzo Il film migliora il romanzo Via dal libro per Las Vegas EALLA carta alla celluloide: quello dei rapporti fra cinema e letteratura dev'essere uno dei più triti temi di convegni, seminari e simili, e gli slogan che ne derivano - tipo l'equazione brutto romanzo=bel film - sono ormai desolantemente banali. Tuttavia il gioco di controllare l'operazione si mantiene interessante, almeno qualche volta, e non solo quando c'è di mezzo un classico, come le Jane Austen e le Charlotte Bronté ora di moda. Fu istruttivo constatare, l'anno scorso, con quanta sagacia Hollywood aveva ricavato un eccellente prodotto commerciale di temperata estrosità da una storia in origine strampalata e beffardamente assurda come quella di Forrest Gump nell'omonimo romanzo. Oggi grazie a Feltrinelli, che pubblica puntualmente Via da Las Vegas, fonte di un film candidato a quattro Oscar - attore, attrice, regista, e, appunto, sceneggiatura non originale - si può istituire un altro confronto del genere, con la differenza rispetto a Forrest Gump che il film si è mantenuto più aderente a una materia meno bisognosa di modifiche. Tuttavia quando ha cambiato, il regista ha cambiato in meglio. Nella capitale del gioco d'azzardo due irregolari si incontrano casualmente. Lui è un alcolizzato, che dopo aver perso moglie, figlio e un buon lavoro, e dopo essersi disfatto di ogni cosa e avere radunato tutti i suoi soldi, ha deciso di trasferirsi nella città degli svaghi per continuare a bere, con calma e determinazione, fino a morirne. Lei è una prostituta, schiava di un crudele straniero che la sevizia ma che a un certo punto deve eclissarsi perché raggiunto dai propri nemici. Finiti insieme, lui e lei convivono castamente, non tentano di cambiarsi a vicenda, e l'atto d'amore della donna consiste in pratica nell'aiutare l'uomo a raggiungere la sua meta. Materia poco amena, al meno per chi come me al cinema detesta gli ubriachi quasi come la comicità sulle monache. Questo però non mi impedisce di notare come il regista e cosceneggiatore Mike Figgis ne abbia valorizzato la parte più genuina, quella relativa al protagonista, dove indubbia¬ mente l'autore ha messo non poco di se stesso. Di John O'Brien sappiamo che scrisse questo romanzo mentre lavorava presso uno studio legale e aveva grossi problemi con l'alcol; che riuscì a farlo pubblicare solo con difficoltà, e da un editore minore; e che due settimane dopo averne venduto i diritti cinematografici, quando non aveva ancora trentacinque anni, si uccise. Il libro comincia con la descrizione della puttana e di violenze più o meno ripugnanti che ella subisce con incrollabile rassegnazione: forti e vividamente evocate, ma non troppo nuove nella moderna e sanguinolenta letteratura del genere. Ben, l'alcolista, arriva solo a pagina 67, e c'è il salto di qualità. Il personaggio infatti è nuovo, nella caparbia, metodica e perfino dolce costanza con cui svolge il suo programma di ingurgitare più liquore che può. C'è anche la famosa astuzia dell'alcolista, che bada a guidare con prudenza, a portare in vista solo i soldi che pagheranno le consumazioni, a evitare di tornare dove ha dato scandalo; il che non esclude contrattempi, come il tremito alla mano che gli impedisce di controfirmare un assegno per l'incasso. Giustamente Figgis privilegia questo Ben, affidando a lui tutto l'inizio, e facendo sì che la donna arrivi solo quando abbiamo accettato lui. Al contempo però riesce a dare al personaggio femminile uno spessore qualitativamente maggiore che nel libro, e questo grazie a un'interprete (Elisabeth Shue) che comunica il necessario misto di du rezza e fragilità. Dello sbiadito ma gnaccia del libro Figgis fa un altrettanto poco incisivo e nevrotico malvivente, europeo dell'Est però e non più arabo. Questo non ha un grande peso. L'altra carta vincente del film è, di nuovo, una febee illustrazione di qualcosa che era già sulla pagma, vale a dire il contesto: una ^differente, volgare, concreta e perfino innocente Las Vegas, esasperata metafora della società americana col suo andar dritto al sodo (sesso, denaro) senza quelle sfumature che, non possiamo non pensarlo davanti a tanta sgargiante desolazione, sono il sale della vita. Masolino d'Amico

Persone citate: Elisabeth Shue, Figgis, Forrest Gump, Jane Austen, John O'brien, Mike Figgis

Luoghi citati: Hollywood, Las Vegas