FOUCAULT l'Occidente ritrovato

La parabola del filosofo francese, fra impegno e trasgressione: perché rileggerlo, mentre in Italia esce il suo «Archivio» La parabola del filosofo francese, fra impegno e trasgressione: perché rileggerlo, mentre in Italia esce il suo «Archivio» FOUCAULT / V(cuiente ritrovato rv IUALCHE settimana prima I I di morire, nel maggio I I dell'84, Michel Foucault 1 I precisò ancora una volta —Y I quel che pensava degli inV tellettuali, del loro agire civile. Tutta una vita aveva dedicato il suo tempo a questa meditazione, nelle ore della militanza come in quelle della scrittura, e di una cosa adesso era sicuro: il modo migliore di essere un intellettuale era di armarsi di un'etica dell'autoeducazione, di apprendere a vigilare su se stesso, di non impartire lezioni. Prima ancora di modificare il pensiero altrui, occorreva sapere modificare il proprio. Prima ancora di modellare le volontà politiche degli altri, bisognava sottoporre a continua interrogazione i propri postulati, le proprie familiari abitudini, le proprie evidenze: «Cos'è l'etica dell'intellettuale - così disse in un'intervista a Magatine Littéraire - se non precisamente questo: rendersi capaci, in permanenza, di staccarsi da sé, di mettersi in questione». L'intellettuale come lo vedeva Foucault non si erge sovrano, per spiegare agli altri quel che tocca assolutamente pensare, fare. Non domanda la soluzione immediata dei problemi, dei mah, ma chiede che questi siano immessi nel campo della politica. Non va alla ricerca di un'intuizione fondamentale e compatta, alla maniera dei marxisti o dell'intellettuale impegnato stile Jean-Paul Sartre. Non è neppure un illuminato, un folgorato da idee grandi, totalizzanti. Quel che si propone è di dire il vero, ma evitando che il vero divenga una legge generale e normativa, come avviene quando sono i politici a enunciare una verità. L'intellettuale apprende a cercare il vero attraverso una trasformazione studiosa di sé, attraverso quella che gli antichi greci e romani chiamavano «cura di sé», cura sui. Fare attenzione a se stessi - a come si pensa, si agisce verso gli altri, ci si governa - non è molto diverso dal socratico Conosci te stesso: qui s'inizia la filosofia occidentale, e qui è la ragion d'essere dell'intellettuale. Prima di arrivare a questa conclusione - e di ritrovare l'Atene di Socrate, la Roma di Seneca, i Lumi di Kant - Foucault aveva avuto un'altra idea, di quella che chiama va l'Età Classica della storia europea: un'idea più notturna, dispe rante, come appare nei suoi primi libri sulla follia o nella raccolta di testi e interviste che Feltrinelli ha cominciato a pubblicare con il tito lo Archivio Foucault (è appena uscito 0 primo volume, relativo agli anni 1961-1970). Aveva un'i dea prossima al nichilismo di Nie tzsche, alla poetica ebbra di Hólderlin o Bataille, di Artaud, Beckett o Roussel. I Lumi avevano attribuì to uno spazio centrale all'individuo - anzi avevano fondato il concetto stesso di Uomo centro dell'universo - ma questa emancipazione ave va avuto un suo prezzo, un suo cu po contrappunto: l'uomo si era liberato, ma nello stesso momento in cui era divenuto libero, in cui ave va esteso il proprio sapere e potere sulla natura umana, aveva anche accettato la logica dell'asservimen to, dell'esclusione di tutto quel che non rientrava nell'ordine, di tutto quel che era non-Ragione. «Il XVIII secolo ha inventato senza dubbio le libertà, ma ha dato loro un sottosuolo profondo e solido: la società disciplinare in cui tuttora viviamo» [Sorvegliare e punire, 1975). Dio era stato ucciso, ma assieme a Dio periva anche l'assassino, periva "'uomo che in tanto è divenuto centrale in quanto ha messo dei limiti attorno a sé, e si è rivelato creatura finita, circoscritta, decisa ad allontanare quel che pure gli è intimamente vicino, complementare: il folle innanzitutto, e l'inarticolato, l'impensato, il tragico dionisiaco, su cui la Ragione non sa che monologare, avendo disappreso il dialogo con l'irrazionale. Tra la fine del 700 e l'800 la civiltà europea inventa l'asilo psichiatrico, l'ingegneria dei corpi e della condotta, la società dell'internamento. Più s'intensifica la morale istituzionalizzata - con i suoi divieti, il suo sistema di dominazione immobile - più l'individuo è incapace di darsi una sua etica personale, di organizzare una sua arte dell'esistenza, di dedicarsi alla cura di sé: di divenire, in altre parole, filosofo. Foucault aveva denunciato queste strutture rigidificate di potere, che irreggimentano l'uomo moderno, ma verso la fine aveva anche intuito la società senza più divieti né tabù in cui adesso viviamo, la società orfana di Stato, di inferriate. Per questo forse aveva spostato la sua attenzione dal governo della follia al governo di sé; per questo forse aveva detto: «Dopo la morte dell'uomo potrebbe rinascere la filosofia». In una società senza più divieti né morale codificata, in una società dove le leggi universali cri stiane perdono intensità, non resta infatti all'uomo che riescogitare un proprio ethos, studiosamente e pri vatamente, e imparare a governare e conoscere se stesso. Ecco perché il ritorno alla Gre- eia, dopo Nietzsche e la poetica del grido folle. Ecco perché la scoperta dell'Ascesi, negli ultimi libri sulla Storia della sessualità: ascesi come etica dell'austerità e cura di sé, che i moralisti dell'antichità osservano non già perché una morale repressiva lo imponga ma perché la massima aspirazione è appunto questa: governare se stessi, proprio nelle condotte dove i divieti vengon meno, le libertà sono più garantite. Non a caso i classici greci applicano i concetti di temperanza, di astinenza, di rinuncia, all'amore che nella loro epoca è più libero: l'omosessualità. Nella morale antica, ricorda Foucault, «l'etica è concepita per l'individuo che vuol essere padrone di sé e degli altri, non per l'individuo obbediente a regole generali». Nella morale antica, «l'anima diventa acropoli, e l'uomo adotta un atteggiamento polemico verso se stesso», un atteggiamento di «avversario vigilante della propria persona» (Storia della sessualità II L'uso dei piaceri, 1984). Non diversamente da Sartre, Foucault fu sempre intellettuale dell'impegno, in particolare dopo il '68. Ma in Polonia, dove aveva studiato da giovano e dove non casualmente elaborò le sue idee su internamento e foiba, aveva incontrato il totalitarismo comunista, contro il quale si batté fin dai primi Anni 70. La sua strategia dell'impegno peraltro aveva propri speciali meccanismi, non paragonabili a quelli di Sartre. Foucault non propagava un'idea generale sul capitalismo o la società borghese. Partiva non da un'idea del bene, ma da una rivolta contro il manifestarsi del male, dell'intollerabile. Lo interessavano le ribellioni o i moti rivoluzionari più che la rivoluzione organizzata, sistematizzata. Lo interessava il momento in cui i rapporti innumerevoli di potere tra gli uomini sono ancora mobili, reversibili, ed essendo ancora tali possono mettere in scacco il potere che normalizza, si trasforma in dominio, si struttura stabilmente, irreversibilmente. Lo interessava l'attimo in cui l'imprigionato o il perseguitato alza la testa e dice: «E' intollerabile». Lo interessavano non le radici lontane del male ma il male come si palesa, come assurge a evento, com'è patito o problematizzato. Fin da quando aveva scritto Le parole e le cose, nel '66, era stata questa la sua scelta: «Pensare l'impensabile», ridar voce al disordine, muoversi - come la psicoanalisi, l'etnologia - «nelle regioni dove si aggira randagia la morte, dove il pensiero si spegne, dove la promessa dell'origine indefinitamente indietreggia». Qui il pensiero secerneva l'azione: «Non dico che tutto è male ma che tutto è pericoloso, il che è una cosa differente. Se tutto è pericoloso, allora abbiamo sempre qualcosa da fare». Questa strategia dell'attenzione nei confronti delle singole rivolte non sempre gli riuscì. Quando si recò in Iran per descrivere la rivoluzione contro lo Scià per esempio, inviato dal Corriere della Sera, Foucault subì come tanti intellettuali di sinistra il fascino della rivoluzione islamista. Ma anche in quell'occasione si rivelò, piii di altri, profondamente onesto. Ammise l'errore, seppe far fronte con dignità ai critici. E' in quel periodo che Foucault riscopre al tempo stesso i Lumi di Kant, la Grecia, la filosofia attorno alla quale sinora aveva vagato, con i suoi studi su follia o letteratura. E' allora che riscopre - dopo averlo lungamente messo in questione sulla scia di Heidegger e Adorno - il valore della civilizzazione occidentale. Questa volta non si trattava più di problematizzare il governo della foiba, della criminalità. Si trattava di problematizzare mime il governo polemico di sé, che l'incontro con il fanatismo khomeinista aveva reso così pericolante. Si trattava di ritrovare un pensiero forte, per meglio sfuggire alla duplice tentazione della fuga nell'esotismo terzomondista, e dell'autoannullamento filosofico nel pensiero debole, o nel pensiero che vede solo simulacri nella realtà come in Baudrillard. Quest'idea forte era rintracciabile in Kant, che aveva saputo cercare dietro le apparenze rumorose della Rivoluzione francese quel che costituiva progresso. Ed era rintracciabile nell'Ascesi, nell'enkrateia : nella padronanza di sé insegnata dai classici d'Atene e dagli stoici di Roma. Per questo vale la pena leggere ancora una volta Foucault, a dodici armi dalla scomparsa, e ripercorrere le sue ricerche, il suo modo di essere intellettuale. Perché Foucault ha qualcosa da dire, sempre, con la sua concezione personalizzata dell'etica in epoca di perdita delle norme e con la sua idea del pensatore che cura se stesso, prima di curare gli altri. Diceva Kant, nell'Opus Po stumum, che la filosofia «non è un'arte che insegna quel che bisogna fare dell'uomo, ma quel che occorre fare di se stessi». E concludeva, citando Orazio: sapere aude, osa sapere! E' quel che ha fatto "oucault, quando osando sapere ha riscoperto la filosofia occidentale, e ha fatto tesoro dello sguardo, inorridito, che aveva gettato sulle carceri, le architetture disciplinari, gli asili psichiatrici fabbricati dal civile Occidente. Barbara Spinelli Dopo una vita dedicata alla riflessione sul compito dell'intellettuale, aveva capito che prima di modificare il pensiero altrui è necessario saper modificare il proprio Nessuna ricerca di intuizioni fondamentali e compatte, ma piuttosto un socratico «Conosci te stesso»: «La nostra etica è apprendere a metterci in questione» Così alla fine della sua esistenza aveva intuito la società senza più divieti né tabù in cui adesso viviamo forse aveva detto: «Dopo la morte dell'uomo potrebbe rinascere la filosofia». In una società senza più divieti né morale codificata, in una società dove le leggi universali cri stiane perdono intensità, non resta infatti all'uomo che riescogitare un proprio ethos, studiosamente e pri vatamente, e imparare a governare e conoscere se stesso. Ecco perché il ritorno alla Gre- Così alla fine della sua esistenza aveva intuito la società senza più divieti né tabù in cui adesso viviamo Michel Foucault nacque a Poitiers nel 1926 e morì nel giugno 1984: fra le sue opere fondamentali «Storia della follia», «Le parole e le cose», «Sorvegliare e punire» canismi, non paragonabili a quelli di Sartre. Foucault non propagava un'idea generale sul capitalismo o la società borghese. Partiva non da un'idea del bene, ma da una rivolta contro il manifestarsi del male, dell'intollerabile. Lo interessavano le ribellioni o i moti rivoluzionari più che la rivoluzione organizzata, sistematizzata. Lo interessava il momento in cui i rapporti innumerevoli di potere tra gli uomini sono ancora mobili, reversibili, ed essendo ancora tali possono mettere in scacco il potere che normalizza, si trasforma in dominio, si struttura stabilmente, irreversibilmente. Michel Foucault nacque a Poitiers nel 1926 e morì nel giugno 1984: fra le sue opere fondamentali «Storia della follia», «Le parole e le cose», «Sorvegliare e punire»

Luoghi citati: Atene, Grecia, Iran, Italia, Polonia, Roma