Maretta intorno a Fini Rissa Gasparri-Mussolini «Devi tutto al cognome» di Antonella Rampino
Maretta intorno a Fini Maretta intorno a Fini Rissa Gasparri-Mussolini «Devi tutto al cognome» ROMA. Gasparri versus Mussolini. Alemanno sulla stessa linea della nipotina del Duce, ma per conto proprio. Buontempo, «la base», contro tutti. E, soprattutto, nessuno che abbia il coraggio di attaccare personalmente Gianfranco Fini. Sono bastate due righe di comunicato, giusto per precisare ora e luogo dell'esecutivo nazionale, e si è scatenato un putiferio. E per forza: An ha sfiorato e sfondato quota 30 per cento in diverse città italiane, ma il risultato complessivo, quello dei voti che si contano, alle Camere, è meno quattordici deputati, e meno cinque senatori. E dunque è chiaro che gli eventi spingono la riflessione in direzione dei marescialli, dei colonnelli, degli intellettuali organici alla linea Fini espressa a Fiuggi. In discussione, c'è la linea del partito unico, ovvero se convenga o no continuare l'alleanza matrimoniale con gli altri del Polo. «Via gli oligarchi dal partito» dice Alessandra Mussolini. «Sono loro che hanno staccato il partito dalla base». E' un'autocandidatura? «Per carità. Considero, e lo dirò in esecutivo, salutare questa battuta di arresto. Fini può scegliersi i fedelissimi che vuole, ma deve tener conto della base». Maurizio Gasparri, che per sedere in Parlamento è dovuto ricorrere ai voti del proporzionale, nonostante sia considerato il delfino dell'onorevole Fini, la prende come un attacco personale: «Io ho cominciato vent'anni fa col volantinaggio. La Mussolini è stata eletta solo per il suo cognome. E, per giunta, è a lei che dobbiamo "l'effetto Bassolino" a Napoli». Serissima, Mussolini ribatte: «E' tanto tempo che non mi interessa quel che dice l'onorevole Gasparri. A Napoli ho preso il 56 per cento dei voti. Siamo cresciuti solo di mezzo punto rispetto alle regionali, quando io non ero candidata, e il perché è chiarissimo. An deve rappresentare la destra sociale, e non fare una politica centrista». Mussolini sembrerebbe non essere da sola in questa critica: la pensano allo stesso modo anche Giovanni Alemanno, «responsabile del dipartimento sociale» e genero di Pino Rauti, il secessionista della Fiamma Tricolore, e il portavoce ufficiale Francesco Storace. Forse domattina si daranno manforte. Macché: «Lasci perdere Alemanno, è uno che ha troppa promiscuità con Rauti per essere affidabile» incalza la nipotina del Duce. Quanto a Storace, dice, farebbe bene a farsi vedere un po' più spesso in esecutivo: chiacchiera chiacchiera, ma non combina mai nulla. Passano i minuti, e ai giornali arrivano fiumi di dichiarazioni antimussoliniane dell'onorevole Gasparri: alla deputata di Napoli viene rimproverato, tra le altre cose, anche di non aver letto Karl Mara. Tra le polemiche, resta la parola d'ordine finiana - della vigilia: bisogna allargare il gruppo dirigente. Il timore, per un presidente di partito che si è detto «felice di aver archiviato con queste elezioni la stagione dei tecnici», è proprio quello di annettere ad An i professori ortodossi, l'ex presidente del Banco di Napoli Carlo Pace anzitutto. E invece, la base scalpita. Eccome. Teodoro Buontempo: «Lei pensi che io, che ho portato al partito quasi il 50 per cento dei voti di Ostia, non ho nessun incarico di partito. All'esecutivo non mi hanno nemmeno invitato. An oggi è in mano a una classe dirigente blindata nelle stanze del potere. La vera epurazione l'hanno fatta a Fiuggi: ma le elezioni hanno dimostrato a cosa porta tagliare i rapporti con la base». Incredibile ma vero, i richiami «alla democrazia dentro il partito, a una classe dirigente che non sia solo di yes-men» vengono proprio dalla destra oleografica, quella ancora affezionata a tutta la zagaglia del regime. Ma poi, se si chiede un giudizio sul lider màximo, sono solo elogi. Non sarà, evidentemente, un Termidoro. Antonella Rampino
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