Inflazione da banconote

Inflazione da banconote Inflazione da banconote Leggo su un giornale (che non è « La Stampa», ne compro parecchi, soprattutto di questi tempi perennemente elettorali, la politica mi interessa molto), che, perseguire i suggerimenti di un certo esponente di un certo schieramento politico (si dice il peccato, non il peccatore), bisognerebbe ricorrere al torchio e stampare banconote, ma, così facendo, si rilancerebbe l'inflazione. Non discuto la relazione causa-effetto, rna dubito che oggi, con tutti i mezzi di pagamento che ci sono, questa relazione sia cosi stretta. Che cosa ne dice? E. Bassi - Bergamo CTI ERTO che un legame causa-effetto c'è, tra la stampa dei biglietti di banca e l'andamento dei prezzi; ma dipende, la relazione, sia dalla quantità dei primi, sia dal livello dei secondi. Rimane proverbiale l'episodio che racconta John Galbraith nel suo «Il gran LI de crollo», quando, nei primi Anni Venti, dopo lo sconquasso tedesco per l'esito della guerra 1914-18 e prima del «grande crollo» del 1929, un americano si sedette al tavolo d'un ristorante di Berlino, tirò fuori dei dollari e domandò di essere servito in base al loro valore in marchi. Quando ebbe finito di mangiare, si vide portare un altro secondo perché, nel frattempo, il marco era ancora sceso sul mercato dei cambi. In Italia siamo ben lontani da quei livelli, sia di banconote in circolazione, sia di aumento dei prezzi, prima considerazione. Seconda differenza: il «circolante» (biglietti della Banca d'Italia, biglietti del Tesoro) è poca cosa rispetto ai mezzi di pagamento consueti. Il valore dei biglietti della Banca d'Italia in circolazione all'inizio del 1996 superava di poco un.totale di 100 mila miliardi di lire. Il rapporto percentuale tra circolante vero e proprio e «strumenti di pagamento diversi dal contante» (assegni, bonifici, carte di credito) in Italia era il 5,8 a fine '94, quasi esattamente pari alla percentuale media degli altri Paesi industrializzati: 2,8 della Gran Bretagna, 3,6 della Francia, 5,2 degli Usa, 6,7 della Germania, 9,5 del Giappone. E la Banca d'Italia, come si legge dal suo ultimo Bollettino statistico, per i suoi interventi sul mercato monetario, «orientati a un fermo indirizzo antinflazionistico», usa ben diversi strumenti del «torchio sì, torchio no»: usa anticipazioni a scadenza fissa alle banche in misura maggiore o minore, operazioni di vendita o di acquisto di titoli di Stato, e via dicendo. Dopo vent'anni ai Bpf tasso semplice: 11,5% La sua risposta riguardante gl'interessi dei Buoni Postali fruttiferi ordinari dopo il 20" anno - su «Tuttosoldi» dell'1/4/96 - è in contrasto con quanto indicato sul retro dei Buoni stessi che, è vero, prevedono l'interesse semplice, anziché composto, dal 20" al 30" anno, ma al massimo livello raggiunto (11,5%), e non al 6%, come indica lei. Le spiacerebbe chiarirmi come stanno le cose? G, V. Teso - Serravalle S. (Ve) Rispondo al lettore con un "chiarimento» ufficiale, del direttore per il Piemonte e la Valle d'Aosta dell'Ente Poste, area Servizi finanziari: 'Gentilissimo signor Salvatorelli, in relazione alla sua risposta su "Tuttosoldi", preme a questo Ente evidenziare che l'interesse dei Buoni Postali fruttiferi, dopo il 20° anno successivo a quello di emissione, diventando semplice, è pan all'I 1,50% lordo, il 10,0625% al netto delle ritenute fiscali. Come lei ben sapra, l'Ente Poste e interessato a una radicale ristrutturazione, volta a modificare vecchie metodologie e offrire nuovi e migliori servizi alla clientela. Onde evitare inutili allarmismi sul servizio dei Buoni Postali Fruttiferi, che

Persone citate: Bassi - Bergamo, John Galbraith, Salvatorelli