E' stanco il Re del mondo dopo il tour di 24 fusi orari di Vittorio Zucconi

E' stanco il Re del mondo dopo il tour di 24 fusi orari E' stanco il Re del mondo dopo il tour di 24 fusi orari B agli sguatteri, ai portavoce e e buonanotte MOSCA UONA notte ai facchini e agli ambasciatori. Buonanotte ai piloti, ai giornalisti, ai militari, ai telefonisti, ai musicanti, ai portaborse, naturalmente anche a lei, mister President. All'alba di questa mattina, che ere. ancora la notte di ieri a Washington, ma sarebbe già domani a Tokyo, l'Air Force One ha posato le sue ruote delicatamente, per non svegliare Bill Clinton, sulla pista della base di Andrews, da dove era partito otto giorni or sono. Dietro di esso si sono posati gli aerei militari, gli aerei scorta, gli aerei dei tirapiedi, tutta la troupe della «Flying White House», della Casa Bianca Volante, e infine, con meno delicatezza del velivolo presidenziale, anche il nostro esausto, sporco e maleodorante carrozzone di giornalisti, affettuosamente ribattezzato dai suoi ospiti «the zoo piane», lo zoo aereo. La fisarmonica dei fusi orari si è finalmente richiusa, il mondo ci ha restituito tutte le 24 ore che ci aveva rubato mentre lo giravamo e il diario del nostro viaggio intorno al mondo con William Jefferson Clinton si chiude qui. Questo è dunque il temuto momento dei bilanci, temuto per la noia che questi pur necessari consuntivi suscitano in chi li legge e li scrive, e per la tentazione di esagerarne la portata, sotto l'effetto dei comunicati ufficiali e delle dichiarazioni dei leader che devono giustificare agli occhi degli elettori la spesa sostenuta come contribuenti. Un viaggio come questo di Clinton, che ha portato 450 persone attraverso 40 mila chilometri per 8 giorni costa al contribuente americano, fra spese vive e costi aggiuntivi di mobilitazione sul posto, almeno 30 miliardi di lire. Ma che cosa ha «comperato» Bill Clinton con i 30 miliardi di danaro pubblico sparsi per il mondo? Non ha certo comperato i pezzi di carta prodotti e firmati nella varie capitali dove ha fatto tappa, e invano presentati dai suoi cortigiani come «svolte storiche». Non c'è stata nessuna svolta storica in questo giro del mondo, non in Asia e non certo nella Mosca dove il Presidente ha dovuto camminare in punta di piedi a fianco del rischioso Elstin per non inciampare in una delle tante mine che disseminano le elezioni russe. Non ha, in fondo, neppure esaltato in modo nuovo o speciale la sua statura di unico leader di statura veramente globale, di «Ultimo Imperatore», perché il mondo non aveva bisogno di vedere i colori bianco e azzurro dell'Air Force One in orbita attorno al pianeta per sapere che l'America è la potenza dominante - seppur non certo egemone - della fine millennio. Quel che il Presidente ha comperato con quei miliardi e quelle ore di immensa fati¬ ca sua, e nostra, è qualcosa di assai più impalpabile e insieme assai più importante che un pezzo di carta. Ha acquisito per la prima volta la coscienza di quel che un Presidente americano è, e insieme non è. Ha visto, toccato, constatato il colossale prestigio della nazione che egli rappresenta e i tremendi limiti della sua influenza se chi dovrebbe ascoltarla fa il sordo, come arabi e israeliani. Dal primo istante dopo il nostro decollo da Andrews, a Washington, otto giorni or sono, le katiushe di Hezbollah e le artiglierie campali di Israele si sono sparate addosso, massacrando civili, soldati dell'Onu, innocenti, del tutto indifferenti ad appelli e invocazioni al cessate-il-fuoco. Dunque, mentre potenze antiche e nuove, coreani, giapponesi, russi, si inchinavano, strisciavano al passag¬ gio dell'Ultimo Imperatore e della sua celeste carovana volante, altri lo ignoravano, anzi, lo gettavano in un ovvio, crudele imbarazzo. Era quella lezione duplice di forza e di debolezza, quel paradosso della «superpotenza impotente» che tutti i predecessori di Clinton avevano dovuto confrontare e apprendere. Con questa viaggio da Phileas Fogg moderno, attorno al mondo in 8 giorni, Clinton è diventato davvero e fino in fondo un Presidente americano, perché ha scoperto le debolezze suo ruolo. E i limiti di una forza immensa, ineguagliata, ma non onnipotente. Se, come sembra oggi scontato, Clinton sarà Presidente degli Stati Uniti per altri 4 anni, fino all'anno Duemila, questo suo periplo gli sarà stato prezioso e avrà restituito all'America e al mondo un capo dello Stato americano migliore. Migliore perché gli è servito a capire che 40 mila chilometri e 24 fusi orari in 8 giorni sono troppi, anche per la stupenda organizzazione della Casa Volante, per chi deve seguirlo e per lui, che era visibilmente cotto dalla stanchezza ieri sera a Mosca. Ma soprattutto perché egli ha sentito che anche l'Ultimo e il più potente degli Imperatori può scoprisi nudo, davanti ai bambini morti nella valle di Cana che gridano al mondo il suo nome invano. Vittorio Zucconi IN VIAGGIO COL PRESIDENTE