E adesso, per favore, abbassiamo il volume di Filippo Ceccarelli

E adesso, per favore, abbassiamo il volume IL PALAZZO E adesso, per favore, abbassiamo il volume adesso anche un po' di silenzio, per favore. Un minimo di raccoglimento: chiudere i taccuini, spegnere i riflettori, riporre i microfoni e affidarsi tutti, vincitori e vinti, alle risorse dimenticate della quiete, alla potenza rasserenante del pensiero che resta pensiero... Un tempo accadeva: e non era poi così male. E se pure oggi non è più possibile, nemmeno per qualche ora, questa mite o gratuita sospensione di passioni e proclami; se pure ci si dovrà aspettare, anzi, un sovrappiù di tripudi e amarezze gridate ai quattro venti, beh, dopo due anni e più di campagna elettorale che non ha risparmiato né Natali, né Pasque, né Ferragosti, la sensazione è che prima o poi il ceto politico e giornalistico un qualche spazio di silenzio organizzato se lo dovrà pure inventare. Un'interruzione, certo, che non abbia nulla a che fare con il silenzio ascetico dei monasteri, e ancora meno con quello disperato delle cliniche psichiatriche o delle dittature («In questo luogo non si parla di politica»). Ma in tutta onestà, a urne chiuse e proiezioni imperfette, forse vale la pena di riconoscere che in termini di quantità stavolta il frastuono ha su-"' perato ogni limite. E che al dunque il bombardamento tecnologico, persuasivo e seduttivo può risultare dannoso per tutti. Ecco che allora pare di cogliere, in forme ancora indistinte e persino contraddittorie, i primi segni di questa voglia di silenzio responsabile. Come «tentazione» individuale e in parte come reazione collettiva ai tanti, ai troppi «eroi dell'urlo e della discesa negli Inferi» secondo Giuseppe De Rita. Come naturale risposta all'eccesso di ansiogeni vaniloqui. Perché qui, come si sente sempre più spesso, parlano troppo i giudici, parla troppo il Capo dello Stato, parlano troppo tutti. «La riforma più utile in Italia - è scappato alla Pivetti, che pure l'altro giorno ha voluto dire la sua sui contenitori del latte - sarebbe I quella di obbligare a star zitI to chi non ha nulla da dire». La rumorosa afonia preelettorale, d'altra parte, è così evidente che ci si sorprende a rivalutare o a guardare con un'ombra di gratitudine a quei personaggi Cossiga, Di Pietro, Andreotti, Amato - che sembrano improvvisamente divenuti taciturni. Gli altri, i protagonisti, paiono aver del tutto esaurito la loro scorta di parole. Bastava guardarli in faccia nelle ultime apparizioni in tv, ormai del tutto prigionieri del loro stesso ripetitivo bla-bla, ridotti a maschere. Berlusconi cereo, due borse così sotto gli occhi; Prodi con le gote ballanti, sull'isterico trattenuto; Dini in lacrime o strepitante; D'Alema che reagisce con riflessi pàvloviani; Fini jukebox attonito, condotto sotto le telecamere come un pacco postale. L'unico rimasto apparentemente integro sembra Bossi: ma ogni tanto gliene sfugge una davvero di troppo, con terribile effetto Celentano. Ebbene: stressati e autocaricaturizzati come sono viene senz'altro da chiedersi se per caso, dopo i vari taxday e labour-day, anche dal loro personalissimo punto di vista, una qualche forma di silenzio-day non sia l'unica urgente misura d'igiene mentale. Da che mondo è mondo, oltretutto, il silenzio è anche un'efficace dotazione del potere. Se lo ricordino, ogni tanto, i campioni del decibel elettorale via media. In genere chi tace è nelle migliori condizioni per ascoltare, e con l'aria che tira comincia perfino a fare più notizia. Sono i paradossi di una società moderna, e quindi anche terribilmente complicata. Filippo Ceccarelli emj

Persone citate: Andreotti, Berlusconi, Celentano, Cossiga, D'alema, Di Pietro, Dini, Giuseppe De Rita, Natali, Pivetti

Luoghi citati: Italia