Atroce vendetta per un debito

Pavia: il costruttore e la figlia sono morti sul colpo, ferita gravemente la moglie. Preso l'assassino Pavia: il costruttore e la figlia sono morti sul colpo, ferita gravemente la moglie. Preso l'assassino Atroce vendetta per un debito Sterminata la famiglia di un imprenditore SANT'ANGELO LOMELLINA DAL NOSTRO INVIATO Le case di via Garibaldi sono color rosa antico. Hanno due piani e le verande con le tende a righe. Attorno ci sono i campi; più in là le risaie. Un paese da niente Sant'Angelo Loraellina. Un paese con 400 abitanti e un assassino che ieri - ore 12 e 45 - ha ammazzato a colpi di pistola un uomo, sua figlia, e ha ferito in modo molto grave la madre. Una storia di debiti, di affari finiti male, di raggiri e minacce. Una storia che Antonio Novello, 38 anni, compaesano degli uccisi, scrive con sette colpi di pistola. Meno di un minuto, il massacro. Poi la fuga, la calibro nove con la matricola cancellata che vola nei prati. E il crollo, con il pianto e quella frase - «Ho fatto una strage, ho ammazzato tre persone» detta a un amico, quello che lo porta a costituirsi, ripetuta ai carabinieri, messa nero su bianco in un verbale. Il primo proiettile, al cuore, è per Luciano Mattioli, costruttore edile di 57 anni, piccoli precedenti penali per affari balordi, un passato di imbonitore in una tv locale, un presente di ricatti e minacce con Antonio Novello, ufficialmente dipendente, in realtà socio occulto. Il primo colpo è per Mattioli. Gli altri sono per la moglie e per la figlia di 23 anni. E lui adesso ai carabinieri ripete solo, come un automa: «Ho perso la testa. Ho sparato ad ogni cosa che si muoveva». Antonio Novello ci mette meno di un minmuto a fare la strage. Una vita, a pensarla. In paese lo conoscono tutti. Dicono sia buono, forse ingenuo. «Non avrebbe fatto male a una mosca», dice una vecchietta davanti all'unico tabaccaio del paese prima di voltare la testa quando arrivano le telecamere. Il «cattivo» è il morto, dicono tutti, a mezza voce perché non si parla così dei morti. Era lui che maneggiava i quattrini. Sempre lui, malgrado quel fallimento che gli aveva tagliato le gambe, faceva girare i soldi. In mezzo aveva messo Antonio, dipendente fidato, comperato con un pugno di soldi e con quell'appartamento che adesso voleva indietro. Antonio aveva detto «sì». In un amen - lui che non aveva mai avuto niente - era diventato il titolare della «Novello & C». Che poi tutta la storia sta in quel «C.» che vuol dire solo che i soldi li aveva messi Mattioli. Che dava gli ordini. Che Antonio firmava dopo aver detto «sì». Firmava carte compromettenti. Anche per quel buco di tre miliardi con lo Stato, pare per ritenute d'acconto mai versate. «Non ti preoccupare, andrà tutto bene», gli diceva Mattioli. Lui inghiottiva, anche la paura di andare in carcere. E invece è andato tutto male, e in carcere andrà lo stesso. Tutta colpa di quella lettera, poche righe appena, che Antonio Novello deve aver vissuto come un tradimento, come l'inizio di tutti i guai. Quella lettera che Luciano Mattioli aveva scritto più o meno così: «Mi servono soldi. Mi serve la casa che ti ho dato. O te la comperi per 180 milioni o te ne vai». Dove trovare 180 milioni? Dove trovare il coraggio di dire basta e uscire dall'incubo, dalla paura della galera, da quel giro di truffe e ricatti? Difficile, la risposta. Facile, molto più facile trovare una calibro 9 semiautomatica, con la matricola abrasa, comperata chissà dove e da chissà chi. Pistola in tasca, fiato in gola, Antonio Novello si mette per strada. Arriva in centro al paese, gira per via Garibaldi poco prima del bar - è l'ora dell'aperitivo - e prende la stradina sterrata. Dopo l'angolo c'è il cortiletto con le case rosa una attaccata all'altra, con i cancelli di ferro e i box. Dietro la porta con i vetri fumé Mattioli vede che c'è il suo «socio». Forse capisce, forse non apre subito, nemmeno i carabinieri sanno ancora cosa sia successo in quella manciata di secondi. Antonio Novello riesce ad entrare. E inizia il suo lavoro da Terminator. Con un colpo al petto uccido Luciano Mattioli, che si accascia in anticamera. Poi gli spara ancora. Sua moglie, Piera Luigia Taioli di 50 anni sente i colpi. Arriva di corsa, grida, cerca di fermarlo. Si prende la prima pallottola in un fianco, l'altra nella spalla, forse mentre cercava di fuggire. Adesso è ricoverata al San Matteo di Pavia, fuori pericolo. Antonio Novello non si ferma. Sale le scale. Sotto la doccia c'è Eliana, 23 anni, la figlia più grande della coppia. Non ha sentito gli spari ma come in un film dell'orrore, dietro la tenda, vede apparire un'ombra. Capisce solo che deve scappare. Corre in terrazzo, dove lui la raggiunge. E le spara. Almeno un colpo, attraverso la porta a vetri. Un proiettile mortale, che entra nel collo od esce all'inguine, segno che la ragazza era a terra, per ripararsi, per chiedere pietà. (Abbiamo solo sentito i colpi, abbiamo capito che stava succedendo qualcosa, ma non siamo usciti a vedere, abbiamo una bambina piccola», dice un vicino, nel pomeriggio, dopo che sono arrivato le ambulanze e tutto è finito. Dal massacro si salva solo Luca, l'altro figlio, che ha venti anni e che fa il militare lontano. La sua casa rosa con le tende a righe la rivede al tg. E l'orse non capisce che quei giornali spiegazzati sul pavimento, in anticamera, nascondono macchie di sangue. Fabio Potetti L'ucciso gli aveva chiesto di restituirgli la casa o di dargli 180 milioni L'omicida era dipendente e socio in affari della vittima «Ho perso la testa, sparavo a tutto» tJH A sinistra: la casa teatro della strage. A destra: soccorritori portano via i corpi delle due vittime. Sotto: l'assassino

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