Se i soldati giocano ai poliziotti

LO SCRITTORE PACIFISTA Se i soldati giocano ai poliziotti Yehoshua: l'errore dietro la tragedia di Cana LO SCRITTORE PACIFISTA ■ cento civi1 li morti a H Kfar Cana riusciranno a convincere le due vere parti in causa del conflitto libanese, cioè Israele e la Siria, a pervenire a un accordo vero e definitivo? Mi sembra, e lo scrivo con immenso dispiacere, che la risposta sia negativa, almeno per ora. La pace in Libano sarà solo un aspetto particolare della pace israelo-siriana, che comprenderà necessariamente la restituzione delle alture del Golan da una parte e precise garanzie di sicurezza dall'altra, che potrebbero vedere il coinvolgimento di grandi potenze internazionali. Ma senza questo accordo, ci potranno essere tregue più o meno durature, compromessi instabili sui bersagU autorizzati e su quelli vietati. Perché i siriani non rinunceranno mai alla possibilità fornita loro dallo Hezbollah di colpire il Nord di Israele per esercitare una pressione che, nei loro piani, dovrebbe facihtare una sistemazione territoriale definitiva fondata sul ritiro israeliano dal Golan e dalla «fascia di sicurezza» in Libano.. Questa realtà di fatto elementare deve essere tenuta presente da chiunque cerchi di formulare una soluzione al dilemma libanese. Hezbollah è soltanto uno strumento nelle mani della Siria. L'Iran può finanziarlo e armarlo, ma il rubinetto dell'ossigeno è saldamente manovrato dalla Siria, che può decidere della vita e della morte dell'organizzazione. Per cui non ha nessun senso parlare di trattative con Hezbollah, perché la sua mancanza di autonomia decisionale è totale, come lo è la sua dipendenza dal vero padrone, il potente vicino siriano. Rimane quindi il problema di sapere che cosa può fare Israele prima che intervenga un tale accordo di fondo; il quale dovrà non solo essere ratificato dai cittadini israeliani per mezzo di un referendum, ma anche passare indenne per il misterioso labirinto decisionale della Siria, la quale, non dimentichiamolo, è una dittatura militare estremamente dura e complessa. Finora Israele si è comportata come aveva fatto con i palestinesi, cioè reagendo secondo una logica poliziesca: forze militari regolari contro gruppi locali di guerriglia dispersi in mezzo alla popolazione civile. Il carattere problematico di un simile intervento era, e rimane, evidente. Gli ultimi, tragici avvenimenti ne sono una conferma lampante. Secondo me, prima della pace finale che attendiamo tutti, Israele dovrebbe cambiare la sua strategia politica, allo scopo di obbligare Siria e Libano ad assumersi le proprie responsabilità. Sintetizzerei il cambiamento auspicabile in questi termini: Israele dovrebbe confrontarsi con il Libano in quanto Stato contro Stato, esercitare la propria pressione militare contro l'esercito di un altro Paese, e smetterla di comportarsi con una logica da polizia che cerca ladri e assassini, anche se lo fa con elicotteri da combattimento e carri armati. Negli Anni 70 e 80, quando il Libano si trovava nel caos totale della guerra civile e mancava di un qualsiasi riferimento politico centrale, un tale tipo di intervento - diretto in quell'occasione contro l'azione irriducibile dei palestinesi - poteva essere giustificato, anche da un punto di vista morale. Con la fine della guerra civile e l'uscita dei palestinesi da Beirut, è stata la volta di Hezbollah. E mentre l'Olp sta faticosamen¬ te raggiungendo una pace globale con Israele, il movimento filo-iraniano ne ha ereditato il programma anti-israeliano: con la stessa violenza (la distruzione dello Stato ebraico è enunciata nella sua bandiera) ma senza alcuna legittimazione fondata su rivendicazioni territoriali. Nel Libano è stato ristabilito un ordine relativo, esistono un'autorità centrale e un esercito, la guerra civile è cessata ed è iniziato un rapido processo di sviluppo economico. E anche se i libanesi continuano a lamentare la loro estrema debolezza, obiettivamente questo non è più così vero. Israele non può più avere una strategia poliziesca, alla ricerca dei criminali casa per casa, tentando di individuare il luogo preciso da cui sono partiti gli spari per evitare ritorsioni su innocenti. Tutti i governi israeliani, anche quelli di destra, hanno sempre dichiarato che, dal momento in cui fosse assicurata la pace in Galilea, il territorio libanese sarebbe stato restituito alla sua legittima sovranità fino all'ultimo centimetro. Gli israeliani hanno invitato decine di volte l'esercito libanese a prendere il controllo della situazione, in modo da evitare attività militari di gruppi non dipendenti dall'autorità centrale. Ma i libanesi, seguendo gli ordini rìtù loro padroni siriani, affermano di non poterlo fare. Se ci fosse la volontà politica, la cosa non sarebbe certamente difficile. Un esercito bene armato di diverse decine di mi- gliaia di unità non avrebbe molti problemi a bloccare le attività di un movimento che può contare su due o tremila uomini. E se non lo può fare, allora forse sarebbe opportuno che Israele «incoraggiasse» il popolo libanese a prendere in mano il proprio destino, invece di cercare con carri armati o elicotteri nei dedali di vicoli dei villaggi sud-libanesi, causando delle tragedie non cercate, ma inevitabili. Israele dovrebbe stringere il Libano in un assedio aereo e marittimo, bombardare le basi del suo esercito regolare e obbligare, in questo modo, i governi libanese e siriano a farsi carico della situazione: in altri termini, a eliminare il movùnento filo-iraniano che non combatte soltanto contro Israele ma contro l'intero processo di pace. E, come ha dichiarato di recente Yasser Arafat, anche contro gli interessi del popolo palestinese. Fino al 1967, Israele ha sempre reagito agli attentati terroristici colpendo i Paesi in cui erano organizzati e dai quali partivano, che fossero la Giordania, la Siria o l'Egitto, senza tentare di individuare i terroristi stessi. Con l'occupazione dei territori a Ovest del Giordano questa linea di condotta è stata abbandonata, e un esercito forte si è trasformato in polizia impotente. Con gli accordi di Oslo è iniziato il processo di formazione di uno Stato palestinese che assume responsabilità sempre maggiori nella lotta contro il terrorismo partito dalle proprie file. In Libano deve accadere altrettanto. Potrebbero esserci perdite ingenti negli eserciti libanese e siriano, e danni notevoli potrebbero essere inflitti all'economia libanese: ma, almeno, immagini insostenibili come quelle di Kfar Cana non si ripeterebbero. Avraham B. Yehoshua

Persone citate: Cana, Golan, Yasser Arafat, Yehoshua