BENNI I guerrieri della fantasia

I guerrieri Dai libri all'arte di fischiettare: intervista sul fascino dell'immaginazione I guerrieri dellafantasia fl\ BOLOGNA I toglie le scarpe, accoccola % le gambe sul divano, poi il Stefano Benni comincia a -Sparlare. Intorno, le pareti foderate di ricordi e libri. Tracce eterogenee, indizi di percorsi che poi si ricompongono nel magma gioioso e ridondante dei suoi romanzi. Accanto all'Olivetti lettera 46 ci sono le poesie di Esenin e una fotografia di Majakovskij. Accanto alla locandina di Tota a Parigi, con il principe De Curtis e la sfolgorante Sylva Koscma, c'è un'immagine di Brace Lee, accanto alle foto del biondissimo figlioletto settenne, una serie di francoboUi americani dedicati al Far West. Sugli scaffali i suoi libri, le traduzioni in incomprensibili ideogrammi orientali, e tappe di letture da Novelle da un minuto dell'ungherese Orkenyi a Kurt Vonnegut. Comincia a raccontare, Benni, a parlare di immaginazione. L'argomento che lo ha impegnato per 4 mesi, in un ambito seminario bolognese con filosofi e psicologi, uomini di lettere e di cinema. E tanta gente normale. Insegnanti, studenti, pensionati. Vi volevano partecipare 1400 persone. Ma per problemi di spazio (e dopo una polemica col Comune) il luogo scelto ha potuto accoglierne solo duecento. Tutto gratuito, a parte una simbolica tassa di iscrizione per coprire le spese. Parte delle persone che sono rimaste fuori potranno rifarsi in ottobre, quando i seminari riprenderanno. Gli iscritti sono già cinquecento. Al centro degli incontri, l'immaginazione, la facoltà più amata e sospettata della nostra civiltà, da Platone a Bachelard, da Cartesio a Nietzsche, da Cervantes a Borges, da Rabelais a Cortàzar. L'immaginazione spiata da varie prospettive, dalla letteratura alla foiba, dal fischiettio liberatorio al passeggiare col cane. E poi: «I rapporti tra immaginazione e scienza, fantasia e insegnamento scolastico, l'immaginario cibernetico e quello alla luce del camino. E soprattutto, non soltanto l'immaginazione dei professionisti, dei cosiddetti creativi, ma l'immaginazione personale di ognuno, quella con cui ciascuno accoglie, fa risuonare, trasforma l'immaginazione degh' altri, a sua volta contagiando altre immaginazioni o risolvendo piccole situazioni». Perché ha deciso di occuparsi di immaginazione, di discuterla, di insegnarla? «Insegnarla è impossibile. Tutt'al più evocarla, come una divinità buona. L'immaginazione è una grande ricchezza e necessità che in questo momento soffre il trionfo del pensiero tecnocratico. Le parole d'ordine, dalla politica all'economia, dai sondaggi d'opinione alla cultura videocentrica, ci obbligano a pensare non nella complessità del mondo, ma nella parzialità egoista di piccole aziende razionali. Io però credo che presto si tornerà a riunire pensiero e invenzione, visione sintetica e visione creativa. Se no il pensiero è mutilato, incompleto, muore. La politica, la televisione, la società si sono ammalate per mancanza di immaginazione. O ricominciamo a considerare l'immaginazione non solo come utopia o svago, bensì come momento dinamico e conoscitivo del pensiero. Oppure ci rassegniamo alla miseria. Nessuno vuole trasformare il mondo in una processione di pierrot lunari, ma dobbiamo ricordare che l'immaginazione è una risorsa, non un ostacolo alla vita. Dobbiamo ricordarlo soprattutto ai giovarli che sono sempre più consumatori di immagini e sempre meno produttori di immaginazione». Che posto ha l'immagin azione nella sua letteratura? «I libri che ho amato di più sono pieni di immaginazione. Provocatoriamente dico: fate un elenco di cento "libri fantastici" e avrete una storia del mondo precisa come quella dei libri di storia. Quando ero piccolo sono stato contagiato dai racconti dei pescatori della mia terra. Sono loro ad aver inventato l'informazione-spettacolo, non Berlusconi. Ricordo delle itticomachie grandiose, carpe gigantesche che uscivano dall'acqua, pesci parlanti. Storie improbabili, che tutti sapevano finte, eppure ascoltavano rapiti. Pensavo che se un giorno avessi scritto, avrei usato anch'io quella tonalità, quel sortilegio. Poi scoprii come nella scrittura l'immaginazione diventa etica, si inchioda agli eventi quotidiani. Come scrittore immaginoso all'inizio ero "mostruoso". La critica sospettava del mio eccesso di invenzione, del mio linguaggio babelico, attento alle sottoculture, agli slang. Ora è più benevola, o quantomeno rispettosa. Forse perché le scritture minimali mostrano i loro limiti». L'amore per l'immaginazione contiene nostalgie per gli slogan del '68, che volevano la fantasia al potere? «Il '68 è stato una grande liberazione dell'immaginazione, di sogni e possibilità di democrazia. Ha fatto bene anche a chi era contro, a chi non era d'accordo. Anche loro sono cambiati. Poi questo patrimonio si è perso, ingoiato dalle nuove strategie politiche e dallo strapotere dei nuovi mezzi d'informazione. Ora penso che avremo ancora alcuni anni brutti. Ma poi tornerà ovunque qualcosa di molto simile a un sessantotto. Woodstock dopo i Network. So che è una previsione paradossale, ma le brutte previsioni dei miei libri - dicono - sono state tutte azzeccate, e quindi per una volta faccio una previsione ottimistica a lunga distanza. Il modeUo economico e telecratico sta morendo a una incredibile velocità. Chi lo impone è sempre più triste, depresso, impotente. Prima o poi la gente capirà che ciò che le viene spacciato come ricchezza è miseria. Il riequilibrio tra unmaginazione e razionalità potrebbe essere il grande movimento di pensiero dei prossimi anni». Montezuma, travolto dall'ottimismo della fantasia, abbracciò Cortez, il suo assassino; madame Bovary si avvelenò l'esistenza nel tentativo di inventarsene una nuova e più ricca. L'immaginazione non è una facoltà che contiene in sé pericoli? «L'immaginazione è avventurosa, esplora nuovi territori e quindi è certamente pericolosa. Nel caso di Montezuma, il suo pensiero mitico è un tentativo di armonia del mondo. Quando l'invasore rompe l'armonia del mondo, questo pensiero è ferito a morte. Montezuma cerca di salvarlo con un ultimo disperato tentativo di armonia. Ma dall'altra parte il cosiddetto "pen- siero razionale" di Cortez non è altro che un immenso pregiudizio, un'allucinazione che non vede la ricchezza della cultura azteca, ma che vuole solo piantare la bandiera del conquistatore». Sì, però l'immaginazione di fronte al cinismo soccombe, viene annientata dalla razionalità... «E' vero: a volte l'immaginazione può portare ad analisi del mondo deboli e astratte. Che però sono anche generose. Riguardo a madame Bovary... non ce l'ha fatta perché nessuno l'ha aiutata. Se l'immaginazione viene condivisa, i sogni impossibili possono trasformarsi in qualcosa di concreto. I sognatori lottano per i loro sogni. Ho letto il diario di una suffragetta di Filadelfia che diceva "io ho soltanto un sogno: un giorno le donne dovranno votare". Lei, per tutta la vita, ha lottato per realizzare questo sogno. Quando scrivo un libro come Elianto mi piace pensare che nascano tanti Elianti. II compito dell'immaginazione è aprire nuovi passaggi nel reale. Abbiamo bisogno di un linguaggio ribollente per descrivere la complessità, l'immensa varietà del mondo. Non chiuderlo nella miseria dei dibattiti televisivi. Perché altrimenti i pochi problemi dei potenti diventeranno i soli problemi per tutti». Secondo lei quali sono i problemi più gravi oggi? «Il veleno sparso in questi anni e il fatto che la democrazia è ridotta a un optional. La nostra coscienza civile si è ridotta al rapporto della lira col marco. Dov'è finita la politica come scienza delle varie soluzioni? Ora si propone ogni volta una soluzione a due teste e ci si scontra su quelle. Io credo invece che ci siano dieci, venti, alternative. Occorre un investimento di immaginazione continua per organizzare e ripensare nuove soluzioni. Non esistono solo gli slogan del Polo e dell'Ulivo sul problema della Giustizia. E sugli immigrati, non possiamo ridurre la discussione al problema se fare entrare o non fare entrare gli extracomunitari». Quali sono le minoranze che la sinistra sta dimenticando? «Non riesce più a immaginare la minima proposta di solidarietà internazionale. Bisogna uscire dall'allucinazione di questo modello economico gangsteristico-bancario. Ripensare al termine benessere. Avere il coraggio di sostenere idee impopolari, che forse ti fanno prendere voti, ma che alla lunga risulteranno vere, e sentite oneste. Sulla questione dei diritti degh immigrati, la sinistra ha parecchio ceduto. Esiste ancora una condizione operaia: in termini di infortuni sul lavoro siamo un Paese da Terzo Mondo». Uno dei vizi che attribuisce alla sinistra è quello di aver perso la carica immaginifica? «Di essersi rassegnata alla miseria di questa politica. E' lecito e possibile avere strategie politiche, dare importanza ai sondaggi e alla tv. Però non può essere solo questo che ti guida. Perché se una sinistra dice: "Il 51% è reale, mentre il 49% è utopico, fa perdere, non serve", allora significa che anche la sinistra è diventata conformista. Mettendo insieme tante minoranze, ottieni una maggioranza. In Italia, oltretutto, sembra che ci sia una sola maggioranza: i maschi tra i trenta e i sessantanni, riccastri, che vogliono fare i cazzi loro, macinare sempre più soldi, mostrarsi, comandare. Il resto sembra non contare. Improvvisamente sembra che stare all'opposizione sia diventata una cosa sterile, inutile, disdicevole. La sinistra ha smarrito quella che è una delle sue ragion d'essere, difendere da sempre le minoranze. Tra Galileo e l'Inquisizione, mi pare che qualche volta scelga l'Inquisizione. Perché tutto ciò che appare di nuovo viene trattato con atteggiamento inquisitorio, come l'Inquisizione faceva con Galileo. 11 rapporto planetario con i Paesi poveri è la sfida del futuro. E per affrontarla, i parametri bergamocentrici o bisciocentrici non saranno sufficienti, occorrerà immaginare nuove soluzioni». Per questo non è andato alla convention dell'Ulivo? «Nel momento delle elezioni gli intellettuali diventano improvvisamente importanti. Dopo tornano ornamentali. Non ci sono andato, non per una scelta astiosa, ma perché preferisco lavorare con i gruppi che abbiamo qui, con il volontariato. Questo per me è fare politica culturale. Nelle abbuffate delle convention, accanto alle persone serie, ci sono molti che ricordano di essere di sinistra solo quel giorno lì. Io alla convention della mia sinistra, immaginaria, che non coincide con quella parlamentare, ci vado tutti i giorni». In alcune dichiarazioni hanno cercato di farle dire che non andrà a votare. Che cosa farà domani? «Con un'apnea da cetaceo andrò a votare. Però il fatto di vincere o perdere non cambierà per niente il mio sforzo di immaginare una politica diversa. Il veleno sparso in Italia non si cancella solo con una vittoria elettorale. Ci vorranno anni per bonificare la politica, per immaginarne una nuova. La vittoria non è, di per sé, una soluzione magica. Così come la sconfitta non significa che non c'è più niente da fare. La vera sconfitta è credere che le idee siano importanti una volta ogni cinque anni». Bruno Ventavoli OGNA occola o, poi ncia a pareti Tracce si che magma oi roettera e una canto gi, con goranmagine to del tenne, ricani Dai libri alde «Golconde» di Magritte; a sinistra Stefano Benni ^^^^^^^^^^^^^^^^ Lo scrittore ha tenuto un seminario di quattro mesi a Bologna con filosofi e letterati

Luoghi citati: Bologna, Filadelfia, Italia, Parigi