Dalla Russia con dolore di Vittorio Zucconi

Dalla Russia con dolore Dalla Russia con dolore Per Clinton un menù tutto di tragedie MOSCA A voce gli co1 min eia a rompersi, nella raucedine cronica che affiora dalla appiccicosa umidità russa. La memoria gli vacilla. Il passo, giù dalla scaletta dell'altissimo Air Force One non è più elastico e disumano come era tre giorni or sono. Il circo volante della Casa Bianca guidato da «Potus» e «Flotus» è arrivato a Mosca, e «Potus» che non è una pianta grassa ma sono le iniziali di «President Of The United States» e della sua First Lady, nel gergo della White House - comincia finalmente a dare qualche sintomo di quella stanchezza che ha ormai stroncato il resto di noi cortigiani volanti. Ieri non si parlava d'altro, sulla ali della Casa Bianca Volante che ha deposto ieri le sue stanche ossa e la sua stazzonata biancheria per 48 ore quasi una vacanza - a Mosca. Quando ha firmato il registro dei visitatori allo struggente cimitero dei 470 mila caduti a San Pietroburgo, Bill Clinton ha sbagliato la data. Ha scritto 18 aprile anziché 19 e si è dovuto correggere. Che vergogna. Per sua fortuna, siamo arrivati all'ultima tappa del giro del mondo in 8 giorni. Ma se il sollievo di tutti è visibile, da «Potus» ai facchini volanti che devono caricare e scaricare i tre Jumbo Jet della carovana volante due volte al giorno e da soli, perché nessuno straniero deve toccare le valigie di corte, il gran finale sta chiedendo a tutti un prezzo altissimo. Non parlo, naturalmente, del prezzo monetario, che pure è mostruoso in questa Russia del capitalismo di rapina, dove un minuto di chiamata internazionale costa 10 mila lire e un bicchierino di whisky 30 mila. Il prezzo è morale. E' quel costante richiamo di morte e di tragedia che trasuda dalla terra russa, e si appiccica ai piedi come il fango colloso del terreno in queste giornate di rasputiza, di disgelo. Visitiamo San Pietroburgo, dove Clinton è voluto restare per qualche ora prima di an¬ dare a Mosca per dimostrare che la sua è una visita alla Russia intera e non soltanto una visitastampella per la candidatura elettorale di Eltsin, e le chiese hanno nomi come il Tempio del Sangue Versato, che non è incoraggiante. I luoghi sono il Palazzo d'Inverno, grondante del ricordo e del sangue di quella che la sua guida russa ha chiamato pudicamente «un importante avvenimento nella nostria storia». I panorami che vediamo dal corteo ufficiale che sfreccia tra ali di poliziotti con l'aria smarronata e di passanti intenti a fare la spesa 24 ore al giorno sono la massa torva della fortezza di Pietro e Paolo sulla Neva, progenitrice zarista del futuro gulag stalinista. I preti che salutano Clinton nella chiesa non sono gioviali parroci di campagna o morbidi monsignori vaticani, ma un cupo pope ortodosso, padre Michele, che lo congeda ricordandogli «la tragedia del sangue che sta scorrendo in Medio Oriente», come se Clinton se ne fosse dimenticato. Dovunque andiamo, tra Pietroburgo e Mosca, il ricordo della morte ci accompagna e ci segue. Sarà una coincidenza, ma da quando è in Russia Clinton ha dovuto parlare sempre e soltanto di tragedie. Ha parlato della tragedia nella valle di Cana in Libano, ha dovuto deplorare il massacro dei turisti in Egitto, ha dovuto stigmatizzare le nuove bombe dell'Ira nel Regno Unito. Non basta. Ieri ha dovuto ricordare il primo anniversario della strage terroristica di Oklahoma City, né avrebbe potuto scordarlo, visto che i suoi gorilla del servizio segreto si sono presentati da lui ieri mattina indossando tutti un nastrino ricordo all'occhiello con sei stelle, tanti quanti gli agenti che morirono in quell'esplosione. E quando entra nell'immenso cimitero di Piskaryevoskoye, dove le ossa di 470 mila leningradesi caduti nei 900 giorni di assedio tedesco sono sepolte in mucchi comuni, non ci si può stupire se il Presidente comincia a essere turbato, e se confonde le date. Il cimitero, scavato in grandi fosse dove i becchini trasportavano i corpi prima di stramazzare anche loro stroncati dalla fatica, è uno dei luoghi più strazianti del mondo. Naturalmente piove e Clinton deve deporre una corona e passare in rassegna la guardia d'onore senza impermeabile e senza ombrello. Poi gli verrà la raucedine. Non possiamo dunque criticarlo se sbaglia una data firmando il registro o se, incontrando più tardi il sindaco di Leningrado, come la chiamano ancora tutti i suoi abitanti, si abbandona a qualche osservazione che, in altre circostanze, sarebbe apparsa preoccupante. Quando una piccola banda di dieci sassofonisti comincia a suonare per Clinton, l'Ultimo Imperatore osserva: «Sembrano sessanta». Il sindaco Sobchak lo guarda senza capire. Come sessanta? «Sì, voglio dire che sembrano molti di più». Sobchak assume un'espressione vicina al panico. «No, sindaco, voglio dire che quando suonavo io nella banda del liceo non riuscivamo a fare tanto rumore», insiste Clinton. Sobchak si salva con una battuta. «E' vero, Mister President, ma questa è la Russia. Da noi dieci suonatori suonano come se fossero sessanta e sono pagati come se fossero cinque». E' un bene che il giro del mondo sia quasi alla fine per il circo volante guidato da «Potus». Oggi e domani, lui dovrà raccogliere gli ultimi lampi di lucidità e discutere con le nazioni del G7 e con Boris Eltsin di sicurezza e contrabbando nucleare, dunque di altre potenziali tragedie. L'occasione sarà il decimo anniversario della tragedia di Cernobil. Non biasimatelo, se confonderà ancora una data. C'è un limite al numero di tragedie e di fusi orari che anche un Imperatore può digerire in un viaggio solo. Vittorio Zucconi Sopra, Eltsin abbraccia Major A fianco, Clinton e un soldato