Montanelli: temo i risentimenti

Montanelli: temoJ risentimenti Il decano dei giornalisti ai suoi «cari amici ebrei»: non ha senso il processo a Priebke Montanelli: temoJ risentimenti Non mi piace il vento della nuova destra italiana» COME LEGGERE LA STORIA IMILANO NDRO Montanelli indossa due maglioni («Codeste primavere non le capisco più, che sia l'età?»), ha un foglio in macchina, e prima d'alzare il sopracciglio dice: «Vuoi che ti parli del mio rapporto con gli ebrei? Va bene, ma facciamo in fretta, che non ho tempo», come uno che si scoccia facile, però poi racconta per un'ora e più. Con qualche sorriso («Compirò 87 anni dopodomani, accidenti, parliamo d'altro!»), un po' di tristezze, e solo una sigaretta spenta a metà. Direttore, lei ieri sul «Corriere» scriveva ai suoi «cari amici ebrei», a proposito del caso Priebke. «Ai cari amici, sì, perché ci sono nato in mezzo, nella Firenze di un tempo lontanissimo. Io studente di Università, e perciò giovane provinciale di collina, e loro l'elite fiorentina, la pura brillantezza... Perché vede io ho sempre deprecato che in Italia mancassero quelle scuole di democrazia e di eleganza che sono i luoghi della conversazione, i salotti nel senso buono del termine...». Ebbene? «Ebbene, la comunità ebraica di Firenze costituiva l'eccezione. Penso a persone come Castelnuovo, Loria, Memi Corcos, al collezionista Berenson, che mi affascinavano perché avevano visto Parigi e Vienna, avevano famiglie cosmopolite, guardavano il piccolo mondo italiano con distacco e disincanto, occhi del tutto nuovi,.,». Anche ai suoi, di giovane fascista. «Anche ai miei, certo. Pensi alla mia generazione: venuta su in camicia nera praticando il balillismo, fedele a un regime che ti metteva la divisa, così come sognano tutti i giovani». Tutti o quasi tutti... «Tutti o quasi tutti. Io i littoriali li ho fatti con Pietro Ingrao, salvo che lui li ha vinti e io no, ma lo cito per dire di una persona cristallina... Il disincanto è arrivato dopo, quando ho capito che il regime ti offriva solo l'allegro furore delle certezze». E quando vennero le leggi razziali lei era già fuori. «Le leggi razziali! Io non capisco cosa sia venuto in mente a quel cretino... Nell'emanarle Mussolini ci mise una certa voluttà...». Lei ha scrìtto che le leggi razziali erano fuori sintonia con la storia e la sensibilità italiana... «Assolutamente. La comunità ebraica era benissimo integrata in Italia, mi ricordo il sindaco di Livorno che era ebreo, e a Roma, a Venezia, a Firenze, gli ebrei facevano parte a pieno titolo della società alta e bassa. Rimasi sbalordito, come avrei mai potuto rinnegare la mia amicizia con decine di amici ebrei come Nello e Carlo Rosselli?». Lei poi sposò proprio una Rosselli. «Già. E ci sono parecchi ebrei imparentati con la mia famiglia». E' vero che il primo pogrom lo vide in Polonia? «Era il '37, a Cracovia, stavo andando dall'arcivescovo accompagnato da un uomo per bene, Ferrini, presidente dell'Istituto di Cultura italiana. In un quartiere vidi un rastrellamento. Così, appena arrivai, dissi all'ar¬ civescovo quello che stava succedendo. E lui: "Sappiamo, sappiamo, ma la Chiesa non può interferire..." insomma preferiva chiudere gli occhi». Come poi successe al inondo intero, durante l'Olocausto. «Le SS tedesche furono gli esecutori, ma le complicità, i silenzi, furono infiniti». Comprese quelle italiane, non crede? «L'incanaglimento razziale però lo generò il regime, su questo non si discute, anche se ammetto che una certa vena antisemita ha serpeggiato...». Sottotraccia magari, ma pronta a venir fuori e a rifarsi sentire, magari negli anni duri del conflitto arabo-israeliano... «E' vero, lo ricordo che il mio "Giornale" si trovò abbastanza isolato quando si trattò di schierarsi a favore di Israele, ma io non avevo dubbi, anche perché mi ero innamorato di Israele». Successe negli Anni 50, giusto? «Fu all'epoca del mio primo viaggio in Israele. Andai con qualche perplessità e tornai pieno di ammirazione». Perché perplessità? «Perché l'ino ad allora io pensavo che gli ebrei fossero un popolo più adatto a mischiarsi con gli altri popoli che a starsene in proprio. In fondo era la loro sorte da 2 mila anni. Che insomma fossero un vino da taglio, un enzima, un condimento forte per le bistecche degli altri. Ma Tsraele mi obbligò a ricredermi, lì la bistecca erano loro». Lì scopri i kibbuz, la terra strappata al deserto... «Scoprii la sola forma di socialismo volontario possibile, il kibbuz. Scoprii l'ostinazione di un popolo che era sempre stato nomade, perseguitato, senza terra, ma che adesso faceva fiorire la terra... E scoprii due persone con cui sono rimasto amico per tutta la vita, Ben Gurion e Golda Meir. Lui era un autentico dissodatore, un uomo eccezionale che mi diceva: "Montanelli, sopporto perfino il suo filoisraelismo"...». E Golda Meir? «Eravamo davvero amici. Quando mi spararono, qui a Milano, la prima telefonata che mi passarono in ospedale era la sua: "Montanelli! Non posso muovermi altrimenti verrei a trovarti"». Senta, torniamo al caso Priebke. «Quello che avevo da dire l'ho detto. Fare il processo a un uomo di 83 anni che cinquantanni fa vestiva una divisa e obbediva agli ordini del suo Comando, non ha senso». Gran parte della comunità ebraica non la pensa così. «Ho letto, ma condivido l'appello del rabbino Toaff che esige giustizia, ma chiede clemenza». Lei scrive che l'ostinazione della comunità ebraica potrebbe «innescare pericolose reazioni». «Sì, potrebbe suscitare dei risentimenti pericolosi. E lo dico anche se, tornando a casa mia a Roma, visto che abito vicino al ghetto, potrebbero fischiarmi per strada. Non importa, ci sono abituato». Dunque pensa che l'antisemitismo, oggi... «Specialmente oggi, sì... Perché il vento di questa nuova destra italiana non mi piace affatto». Pensa a Alleanza nazionale? «Non precisamente a Fini, ma a certa razzumaglia che gli sta dietro e che non mi dà alcun affidamento». Dunque il processo lei non lo avrebbe celebrato? «L'unica ragione davvero necessaria di questo processo è contrastare l'oblio del genocidio... In quanto a Priebke, santo cielo, l'Argentina non ci ha fatto un favore a restituircelo, ma lo dico, davvero, pieno di affetto verso i miei cari amici ebrei». Pino Corrias «Io innamorato di Israele condivido l'appello del rabbino che esige giustizia ma invoca clemenza» o se, come pare più probabile, sia stata la disperazione a offuscare la sua giovane mente. E' finita bene, ma per qualche minuto Tirana sembrava À New York. Tutto ha inizio dieci minuti f prima delle 14. Dentro il palazzo presidenziale, Scalfaro ha appena concluso il suo in- 1 Capo dello Stato. Cpiù tardi il prefetdei servizi di sicurle, il piano preveisolamento e la prsidente». Scalfaro dentro la macchil'ambasciatore itad'ora dopo viene fcancello laterale.Il deMN