Noi, portatori insani di «mal d'Occidente» di Paolo Guzzanti

Noi, portatori insani di «mal d'Occidente» F FUORI DAL CORO =1 Noi, portatori insani di «mal d'Occidente» O scoperto di non essere solo. Siamo gente pudica, che circola senza prendere particolari precauzioni. Siamo quelli, sia detto con umiltà, che lunedi mattina, a lune vuotate e schede contate, non proveranno gioia, né disperazione. Chiunque vinca, chiunque perda. Eppure non siamo dei cinici, né tantomeno qualunquisti. Oserei dire, tutto il contrario. Ma vedendo le piazze piene e le selve di bandiere, proviamo un senso di affettuoso disincanto. Si tratta, è evidente, di un malore. Anzi, di ima cupa sindrome che ci impedisce di condividere sia le rosee speranze che le tremende paure. Di che malattia si tratta? Probabilmente del «mal d'Occidente»: chi conosce il mal d'Africa può intuirne, per estensione e moltiplicazione, l'inguaribile veemenza. Il suo sintomo consiste in una ossessione: i contagiati pretendono, anche in modo petulante, che le parole e i significati della politica italiana siano gli stessi che si usano in Occidente fra l'Elba e la Quinta Strada, dove la democrazia è nata come sistema di regole che sostituisce il regolamento di conti. E' una bella pretesa. Vorremmo che i conservatori dicessero che cosa vogliono conservare, opponendosi ai riformatori, chiamati a produrre riforme. Noi portatori insani di questo mal d'Occidente siamo ottusamente convinti che mi metro sia un metro anche per il fatto che ne esiste un campione (in iridio platino), depositato al museo Pesi e Misure di Sèvres. Se uno vuole, questo un nostro tratto ossessivo, può sempre andare a controllare. Purtroppo però il «mal d'Occidente» è diventato di moda. Accanto a chi ne patisce le nostalgie e le carenze cresce la selva delle imitazioni: la moda si è sovrapposta alla storia. E non è la prima volta. I socialisti massimalisti del primo dopoguerra cantavano: «E noi farem come la Russia, e noi farem come Lenin». Era moda, come sappiamo. Oggi, a chiacchiere, è tutto un inno alla Francia, all'Inghilterra e agli Stati Uniti. Un'orgia di riferimenti, ma ciò che spesso manca è la ragion d'essere delle parole destra e sinistra secondo significati omologati in Occidente, depurati per sempre dei residui tossici di fascismo, del comunismo e del cattolicesimo da guerra fredda. Di qui un groviglio dei nodi che nessuno, con la scusa di non rinnegare e ne riproporre, ha voglia di sciogliere alle radici. E alla fine, ecco perché noi affetti dalla sindrome occidentale siamo così diffidenti, ancora una volta troviamo, girando nelle piazze e seguendo i comizi, che le parole e i nomi delle idee sono oggetti di abbigliamento e che la politica è fatta di tipologie umane, umori, amori e rancori chiamati per dar peso a parole sferzanti ma leggerissime e comunque lontane dal senso omologato in Occidente. Prova ne sia che ciascuno dei due schieramenti ha ima sua destra, una sua sinistra, un suo centro al cui interno si può navigare soltanto a patto di saper riconoscere e classificare creature e umori, apocalittici e integrati, ortodossi e eretici, marrani e scismatici. Con molta pazienza e scaltrezza si possono selezionare e riconoscere gli autentici riformisti e i conservatori. Una sensazione fisica di questa prevalenza del fattore umano su quello politico l'abbiamo avuta alla festa dell'Ulivo, dove era palpabile e persùio coinvolgente la fusione umana di due militanze storicamente lontane e invece sentimentalmente gemelle: quella dei cattolici di sinistra e dei militanti pidiessini. Non si trattava del cosiddetto cattocomunismo, che è un fenomeno politico italiano, ma di un evento antropologico, affine alla genetica più che all'ideologia. Vedendo quei volti, quella commistione e gli atteggiamenti fisici si aveva l'impressione di vedere un viso sconosciuto e allo stesso tempo noto. Era come se, impallidendo nella memoria collettiva, i lineamenti di Enrico Berlinguer e quelli di Aldo Moro, fra loro così rispettosamente estranei, si fossero finalmente disposti su una trama a comporre l'immagine di una sindone comune. Probabilmente tutto ciò è positivo, nel senso che è reale. Ma ho provato a spiegare la cosa a un collega danese che sorrideva con compiacente imbarazzo. Paolo Guzzanti mti |

Persone citate: Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Lenin

Luoghi citati: Africa, Francia, Inghilterra, Russia, Stati Uniti, Sèvres